1.
Cominciò da sotto le unghie. In un primo momento l’uomo non capì bene cosa stesse accadendo, ma cominciò proprio da sotto le unghie. Le unghie delle mani. Quelle della mano destra, per essere precisi. Era una splendida domenica di agosto, e al risveglio, l’uomo, dopo essersi stiracchiato nel suo letto come sempre, si era girato su un fianco accanto alla donna con cui aveva condiviso gli ultimi sedici anni della propria vita, era sceso dal solito lato del letto, aveva appoggiato a terra per primo il solito piede e aveva percorso l’abituale, breve tragitto che conduceva al bagno. Proprio come di consueto, aveva espletato le sue funzioni corporee, e, come sempre faceva, si era voltato verso il piccolo lavandino con la piccola specchiera a muro. Senza pensarci, aveva preso il suo spazzolino color lavanda e aveva fatto il gesto di versarci su la medesima quantità di sempre di dentifricio all’eucalipto (il suo preferito)… E allora, protesa proprio da sotto l’unghia del pollice della mano destra l’aveva vista: una grossa, spessa, panciuta e rigogliosa foglia color smeraldo. Ancora avvolto nel dormiveglia, sul momento l’uomo non si era reso conto di cosa stava osservando. Poi, rivoltando il dorso della mano e piegando leggermente le dita all’indentro, si era accorto del resto: altre quattro foglioline, più piccole di quella del pollice ma non meno rigogliose, spuntavano da sotto le unghie dell’indice, del medio, dell’anulare e del mignolo. Una per ciascun dito. A quel punto non si può dire il panico che afferrò d’un tratto l’uomo come una tenaglia. Pensando a un assurdo difetto della specchiera, l’uomo ne afferrò un’anta, la aprì di scatto e con la furia di chi sta per finire sotto un treno in corsa, si mise a cercare tra i cosmetici della moglie, che ancora dormiva, ignara, avvolta nelle lenzuola nella camera accanto. Fra i vari trucchi della donna e le medicine, impedito nell’azione dalle foglioline che continuavano a incastrarsi e a impigliarsi nei tappi dei rimmel e del guttalax e sulle chiusure dei rossetti e degli sciroppi, l’uomo infine riuscì a prendere un piccolo specchio apribile. Il cuore gli martellava a stantuffo nel petto quando, dopo numerosi tentativi, si udì un click! e l’uomo riuscì finalmente a guardarsi attraverso il piccolo specchio. Era sempre lui, il solito se stesso: lo stesso collo magro, le stesse labbra poco attraenti, lo stesso naso né troppo diritto, né troppo storto, gli stessi occhi un po’ incavati, la stessa barba incolta che come sempre pareva avere un disperato bisogno di una spuntata… Lo stesso tutto nella stessa faccia qualunque di sempre. Poi l’uomo poggiò lo specchietto sul bordo del lavandino e protese in avanti le mani. Erano sempre lì: cinque dita con annesse altrettante foglie. Verdissime e tremolanti. Così come era tremante il suo cuore, dopo che, per un soffio, all’uomo non gli era esploso nel petto per un infarto fulminante. Non c’era proprio niente da fare: le foglie erano lì e proprio non si trattava di un sogno. Né di un incubo, né dei postumi di una sbornia (ma, andiamo, erano anni che l’uomo non toccava nemmeno un goccio…), né tanto meno di un’illusione ottica: le sue unghie non erano semplicemente verdognole o sporche. E non vi era neanche qualcosa di incastrato sotto. Magari ci fosse stata una spiegazione plausibile in quel momento! Una spiegazione qualsiasi! No, quelle che spuntavano da sotto le sue povere unghie, ben curate e rosee come di consueto, erano proprio delle foglie. E a una più attenta osservazione l’uomo aveva distintamente capito che quelle foglie non erano appiccicate o incollate (l’uomo aveva anche sperato in uno scherzo), ma c’erano… c’erano, e si vedevano proprio bene: cinque piccoli, minuscoli gambi che le collegavano alla carne. Le foglie erano una parte del suo corpo, erano sue propaggini, l’estensione delle sue stesse membra, erano parte stessa delle sue dita. Così come la sua testa era adagiata su di un collo, il quale poggiava a sua volta su di uno sterno, che era incastrato fra due spalle, a una delle quali era fissato un braccio, che proseguiva con un avambraccio, cui era attaccata una mano, che culminava con delle dita, allo stesso modo la prosecuzione naturale del suo essere, in quel momento, erano quelle incredibili, assurde foglie… Nessun equivoco. Nessun sogno. Nessuna visione. Nessuno scherzo. Non c’era più alcuna possibilità di errore: la sua vita era finita.
2.
Il responso del dermatologo, esimio primario della migliore clinica della regione, poteva essere riassunto solamente in un enorme punto interrogativo. Mai, nella sua carriera medica, né in quella accademica, che aveva abbandonato per dedicarsi agli infinitamente più lauti guadagni che permetteva l’impresa privata, mai l’esimio chirurgo era incappato in un caso così singolare e stupefacente. Già, perché “incappato” era proprio la parola che quello usò per definire la sorpresa e insieme l’eccitazione inaspettata che gli aveva provocato quel caso così insolito. Sotto gli occhi terrorizzati dell’uomo e di sua moglie, il dottore non si servì di strumenti avanzati. Non si servì del bisturi. Non usò l’anestesia. Non si servì nemmeno del laser. Dopo aver visitato accuratamente le unghie dell’uomo e averle divaricate leggermente con l’aiuto di un paio di pinzette, resosi conto che effettivamente quei due non lo stavano prendendo in giro, l’esimio dottore in medicina si voltò un attimo su di un piatto porta strumenti e con una lieve torsione del busto rivelò delle modestissime forbici. Forbicine da unghie, per l’esattezza, con cui, dopo aver ordinato all’uomo di stare assolutamente immobile, si mise a scavare nelle dita del paziente. Tac, tac, tac, tac, tac. E un Ahi! fu tutto quello che uscì dalla bocca dell’uomo, mentre il chirurgo tagliava, e con la massima delicatezza asportava ciò che giaceva sotto le sue unghie: cinque foglioline attaccate a cinque minuscoli gambi, i quali terminavano in quelle che potevano essere definite agli occhi dei tre come cinque microscopiche radici imbevute di sangue. Ecco tutto. L’operazione era durata sì e no un minuto. Un’ombra di sollievo si disegnò sul viso dell’uomo quando il medico, visibilmente soddisfatto, gli mostrò il risultato dell’operazione disteso accuratamente sul piattino metallico. – Non ricresceranno più, vero? Disse l’uomo. – E perché dovrebbero? Rispose il chirurgo ostentando grande fiducia nella propria diagnosi. E la moglie, alle loro spalle, intanto aveva preso a piangere di gioia. – Mi ascolti bene. Continuò l’uomo in camice bianco. – Evidentemente si è trattato di un’infezione a un batterio sconosciuto. La sottoporrò alle analisi del caso, ma in questo momento non vedo più il motivo per preoccuparsi. I corpi estranei che si erano intromessi nel suo corpo sono stati estratti. Potrebbe trattarsi della scoperta scientifica del secolo, e per questo li conserverò per studiarli accuratamente con la mia equipe. Chissà quali vaccini potremo tirar fuori da una cosa del genere… – Sì… Soggiunse l’uomo. – Ma che cosa erano? Il dottore si mise seduto. – Lei si ricorda di aver fatto cose particolari negli ultimi giorni? Di essere andato in posti dove normalmente non va, soprattutto di aver toccato cose… piante, direi, sì soprattutto piante, fiori, arbusti, alberi… che possano aver immesso in lei delle… spore? Oh, Signore, qui servirebbe più un botanico, altro che un chirurgo! Prego, mi risponda, è importante. – Ti prego, ricorda! Disse la moglie. – Ma… no… direi di n… Cioè, non sono stato in nessun posto particolare… e non mi pare proprio di aver toccato nulla di st…. – Forse. Lo interruppe il medico. – Forse non le ha prese direttamente da una pianta. Forse queste “spore” si trovavano già da qualche parte… Lei… Lei fa lavori di giardinaggio? Coltiva mai il suo giardino, o cose simili? Sì, insomma, lei… ha mai toccato della terra? L’uomo rimase immobile per un secondo, come se fosse appena stato trafitto da una lancia invisibile. – Sì! Ho toccato della terra, o meglio… era della sabbia! Circa una settimana fa, stavo attraversando il parco pubblico, quello che si trova di fronte a casa mia, e mi sono cadute le chiavi nella sabbia del box dove giocano i bambini. E’ un mazzo di chiavi piuttosto pesante, quindi è andato sul fondo… Non pensavo che… Le parole rimasero nell’esofago dell’uomo. – Adesso se non le dispiace vorrei prelevare un campione della sua pelle per osservarla con calma nel mio laboratorio… Disse la figura in camice e l’uomo era diventato del colore di un’acacia. – No! Urlò l’uomo mentre protendeva le sue mani all’altezza del viso per osservarle meglio. – No! E aveva gli occhi sgranati mentre una fittissima rete di capillari color verde intenso saliva dalle dita sempre più su, in direzione della parte più interna e intima della sua stessa anima.
3.
Non era stato l’unico professore al quale i coniugi si erano rivolti. Numerosi altri luminari avevano visitato l’uomo, erano rimasti allibiti (qualcuno di essi era addirittura trasalito), avevano tentato di strappargli per sempre quelle assurde propaggini che lentamente lo stavano divorando. E avevano tutti miseramente fallito. Quella terribile infezione, la malattia, il contagio di cui l’uomo era stato la prima vittima al mondo di un’incredibile nuova peste verde era esplosa nuovamente dentro di lui dopo ogni tentativo, dopo ogni estrazione, dopo ogni “cura”. Subito dopo essere stato visitato dal primo dermatologo, le foglie da sotto le unghie dell’uomo erano ricresciute. E ciò era avvenuto a una velocità molto superiore a quella che avevano impiegato per affacciarsi dalle carni dell’uomo la prima volta. Ma non solo, anche l’altra mano e le sue dita avevano seguito lo stesso iter mutante della mano destra, e ora la situazione degli arti superiori era tristemente la stessa da entrambe le parti. Dopo quel primo medico, si erano avvicendati gli esponenti più conosciuti praticamente di ogni branca della medicina conosciuta di tutto il Paese. Tutti senza il benché minimo risultato. O meglio, con l’unico evidente risultato che, dopo ogni intervento esterno, quell’infezione, quel cancro o la “peste verde”, come aveva cominciato a chiamarla apertamente l’uomo, si era estesa via via sempre più dentro al suo corpo. L’uomo si era dovuto sottoporre a ogni test ed esame che lui avesse mai sentito nominare e molti altri di cui non sospettava nemmeno l’esistenza. L’ultimo di questi personaggi in camice bianco lo aveva rispedito a casa mettendosi letteralmente le mani nei capelli. Ed era lì, a casa, che l’uomo passava adesso le sue intere giornate, e vedeva il male salire. Sempre più solo, con l’unica eccezione della compagnia della moglie, l’uomo aveva preso a vivere alla stregua di un eremita. E proprio lì, fra le mura della casa silenziosa, si era presentato un altro fatto allucinante: l’uomo aveva sentito dell’acqua fluirgli sotto il collo e la nuca. Stava sognando di immergersi in un grazioso e placido acquitrino di montagna. Le sue braccia erano per metà sotto la superficie cristallina e l’uomo aveva appena cominciato a osservare le trote salmonate fare allegri mulinelli fra le sue radici, che intanto si stavano formando nell’acqua, quando si svegliò di soprassalto, bagnato, spaventato e infreddolito. Il grido di autentico orrore che lanciò la donna una volta accesa l’abat-jour sul comodino, a un bambino in età scolare avrebbe sicuramente generato incubi per anni. Mentre infatti l’uomo rimaneva sdraiato sul letto ad acqua, incredulo più che spaventato, la donna era saltata in piedi e osservava terrorizzata l’acqua che usciva in bianchi zampilli dalle due aperture che i gomiti dell’uomo avevano scavato, strappando letteralmente via la superficie del materasso durante i movimenti notturni. Nella fioca luce che la lampada riusciva a proiettare sulla sagoma contorta del marito, la donna non riconosceva più la figura dell’uomo che aveva trascorso con lei tanti anni della sua vita, ma ormai una caricatura umana: una creatura assurda che pareva per il resto del tutto riconducibile a un uomo, ma che aveva al posto delle braccia, ostinatamente protese verso l’alto, qualcosa che adesso non era possibile se non come due contorti rami carichi di fogliame.
4.
Un giorno, ai primi di novembre, mentre stava seduto al tavolo da pranzo cercando quasi senza risultato di afferrare una tazza di brodo preparata dalla moglie, l’uomo si accorse di una cosa: all’improvviso, senza neanche sfiorarla, una foglia gli si era staccata dalla parte superiore del suo braccio/ramo destro ed era finita proprio dentro la tazza del brodo. Di lì a poco, altre foglie si separarono dalle sue estremità superiori, cadendo silenziosamente sulla tavola da pranzo e ai suoi piedi. – Oh mio dio! Gridò la moglie mentre si alzava di scatto dalla sedia e si gettava a fianco del marito. – Vieni! Vieni, caro, e guardati! Guarda cosa ti succede! Continuava a esclamare la donna senza tregua, e intanto lo trascinava verso il grande specchio composito della scarpiera nell’ingresso. Davanti allo specchio l’uomo vide che ben poche delle foglie rimanevano ancora attaccate addosso. E che tutte le foglie rimanenti erano marroni e avvizzite. Nell’arco di pochi minuti anche tutte le altre foglie giacevano sul pavimento della casa, e sia l’uomo che la donna erano convinti che, finalmente, quell’incubo stesse terminando e che il corpo del malato avesse intrapreso con decisione la via della “guarigione”. Invece non accadde niente. E i rami/braccia rimasero attaccati all’uomo più solidi di prima, con l’unica differenza che ora erano privi di foglie. I mesi passarono. Così come era improvvisamente arrivato l’autunno sparì, preparando il terreno a un inverno altrettanto insolito perché stranamente mite e anch’esso breve. L’uomo si stava adattando con l’estrema lentezza della senilità all’idea che mai si sarebbe liberato da quella maledizione. Quando la primavera arrivò, in anticipo come non mai, nuove foglie presero a spuntare dai rami dell’uomo, più verdi e ancora più robuste di prima.
5.
E anche il “cambiamento” riprese vitalità. Un giorno l’uomo si era risvegliato con uno strano dolore alla schiena. Mentre si faceva la doccia, convincendosi mentalmente che il malessere fosse da attribuire al cambiamento improvviso del clima (a più riprese le sue ossa avevano sofferto a causa dell’umidità), l’uomo, strofinandosi la schiena con quel poco di scioltezza delle articolazioni che ancora i due rami che ora aveva per braccia gli permettevano, trovò qualcosa. Una scorza che fino a quel momento non aveva sentito. Nonostante la trasformazione, gli era rimasto il senso del tatto in quantità sufficiente e, grattando con la punta di un ramo proprio in quel punto, l’uomo poté toccare e rendersi conto che qualcosa di disgustosamente nuovo gli si stava sviluppando proprio in mezzo alla schiena. L’acqua… L’uomo non si era reso conto che quell’abitudine consolidata di tutte le mattine, quel semplice gesto di farsi la doccia al risveglio, utilizzando l’acqua purificata che lui stesso produceva attraverso il filtro che lui stesso aveva installato al suo pozzo, per quella sua nuova e sepolta natura vegetale altro non rappresentava che uno stimolo ulteriore a crescere e a svilupparsi. Qualsiasi fosse l’assurdo contagio che animava l’uomo dall’interno, trasformandolo ogni giorno di più in verdura, era certo che in quella maniera lui non aveva fatto altro che incoraggiare questa crescita. L’acqua… L’uomo si stava innaffiando già da un mese abbondante con acqua destalinizzata (e poco altro fra balsami, shampoo e saponi) quando il ramo cominciò a spuntare fuori dal centro della sua schiena, rendendosi percepibile al tatto. I capelli dell’uomo, intanto, avevano assunto il colore del muschio di un bosco secolare.
6.
Una dura scorza si era formata tutta attorno al busto dell’uomo. Se l’accostamento non sembrasse indelicato, si sarebbe anche potuta definire come una sorta di panciera estremamente rigida. Così dura che egli non riusciva nemmeno a sedersi, ma era costretto a deambulare per casa senza mai poter abbandonare la posizione eretta. Ancora più insolito era però costituito dal fatto che l’essere obbligato a stare sempre in piedi non lo infastidiva, né lo affaticava o annoiava: sentiva, anzi, da qualche settimana una nuova forza scorrergli nelle vene, specialmente in prossimità delle caviglie e delle cosce. Una forza del tutto insospettata e per l’uomo assolutamente nuova. [i]Sono diventato un cavallo[/i]. Pensò l’uomo un giorno. [i]Robusto e docile come un cavallo che è stato selvaggio e poi è addomesticato.[/i] Un sorriso quasi di autocompiacimento si disegnò sulle sue labbra ma fu subito rimosso quando l’uomo vide la moglie entrare nella stanza con l’aspirapolvere. [i]Un cavallo marrone e verde[/i]. Continuò a riflettere l’uomo quando la moglie uscì dalla stanza per proseguire le faccende di casa. [i] Sono un animale che sta sempre in piedi, proprio come un cavallo. Un animale, un essere che se cade o si sdraia a terra muore[/i]. Fantasticava. [i]Anche quando dorme, questo essere deve stare in piedi. Vigile e attento. Pronto a cogliere il fruscio del mondo[/i]… Nonostante che i movimenti dell’uomo fossero diventati molto più lenti e impacciati a causa dell’ingombro degli arti superiori, della difficoltà nella torsione del busto e di uno strano formicolio a quelli inferiori, di fatto, altri sensi gli si erano sviluppati invece in maniera prodigiosa. L’uomo era diventato molto più attento a tutto quanto gli si svolgeva attorno: non solo riusciva a pronosticare ogni movimento della moglie, senza assolutamente vederla né udirla, in ogni stanza della casa, ma anche poteva percepire distintamente ogni spostamenti proveniente dall’esterno, come le persone che transitavano sul marciapiede di fronte, i piccoli animali, insetti compresi, che si avvicendavano nel giardino sul retro, la posizione precisa dei vicini di casa all’interno delle loro stesse abitazioni, la direzione da cui spirava e l’intensità (pur egli restando fra quattro mura) del vento…
7.
Avvenne quasi un anno esatto dopo il manifestarsi dei primi sintomi. E avvenne di notte. Dal sonno leggero cui ormai si era abituato, ennesimo “dono” del suo nuovo status, l’uomo si risvegliò che era notte piena. Si impossessò di lui un desiderio ineludibile di uscire a vedere le stelle. Un desiderio antico e profondo come il mare, antico come la roccia, profondo come il centro della terra. Attraversò il corridoio dove la moglie lo aveva relegato perché non distruggesse con movimenti inconsulti tutte le suppellettili della casa. Cercò invano di girare la maniglia della porta dell’ingresso, ma essa era troppo piccola e continuava a sfuggirgli. Così decise di abbatterla. Un paio di spallate – legno contro legno – e la porta era un ricordo sul quale l’uomo passò trascinandosi con un po’ di fatica. Messi entrambi i piedi sul prato antistante la casa, l’uomo si voltò e osservò per qualche secondo, avvilito, quello che aveva appena fatto. Proseguì lentamente verso il retro della casa, dove un cancelletto – per fortuna aperto – conduceva in un vicolo. Attraversando il vicolo, l’uomo udì gli animali del vicinato risvegliarsi anche loro e chiamarlo. Ma non gli diede conto e proseguì per la sua strada. Oltrepassato il vicolo e una folta siepe, arrivò dove sentiva che doveva arrivare: uno spiazzo, né esteso né angusto lontano dalle case, dove era finalmente possibile osservare il cielo liberamente senza l’ostruzione di tetti o pali elettrici. Lì, scrutando le stelle, l’uomo sentì il suo passo divenire ulteriormente lento e pesante, e si fermò completamente una volta raggiunto il centro di quel terreno. Un terreno duro, brullo e spoglio, ma anche il peggiore dei braccianti avrebbe capito che, con un po’ di volontà, sarebbe stato possibile trasformare quello spazio di poco conto in un piccolo paradiso terrestre. Passo dopo passo, l’uomo percepiva distintamente l’aumento della forza, della linfa vitale, dell’energia pura che le stelle propagavano nel suo midollo, e in tutte le estensioni del suo essere, in ogni sua singola e mutante nuova cellula. Egli scrutò attorno per vedere se il luogo era davvero quello giusto e con estrema, convinta lentezza cominciò a prepararsi. Nessuna persona era lì ad assisterlo. E anche gli animali se ne stavano alla larga, per il pudore di un fatto così eccezionale. Con movimenti assoluti e solenni egli prese a spogliarsi. Verso l’alba, egli scostò con la punta dei piedi un po’ di terriccio. Poi ancora e ancora altra terra e altro terriccio. E alla fine vi era immerso fino alle ginocchia. Le sue gambe e i suoi piedi assaggiarono la terra nel profondo e a loro piacque. Radici forti e robuste la abbracciarono con voluttà e rispetto come un amante fa con la donna che non gli si è mai concessa, e mentre anche il resto del suo corpo terminava il cambiamento, ormai si era fatto giorno. Allora qualche timido spettatore si fece avanti per prendere atto del prodigio: usignoli e altri uccelli gli volarono sopra i rami, una fila di formiche si fece avanti fra le piante rade, un gatto guardingo lo osservava da dentro la siepe. Ma non era abbastanza e l’uomo disse – Addio. E tutto cambiò e la sua bocca tacque e si serrò e le sue orecchie sparirono diventando delle piccole cavità, gli occhi si chiusero su loro stessi. Le sue articolazioni erano i nodi di un corpo ormai privo di dolore; i suoi piedi erano radici che arrivavano nel sottosuolo solo fino a dove serviva; le sue vene e i suoi capillari erano le venature del legno; i suoi capelli, la peluria, le unghie e i suoi denti erano foglie e rami protési a cercare un dialogo col vento. Finalmente una colonia di formiche rosse arrivò e si insediò alla base del tronco, creandovi la sua casa, e usignoli e altri uccelli cominciarono a posarsi sui suoi rami. Il gatto guardingo si stava lentamente avvicinando, attratto dalla vista di un picchio che aveva cominciato a lavorare il tronco proprio dove prima l’uomo era solito portare la barba. Ah! Finalmente… Pensò lui nel legno, mentre la pelle era la scorza di un nuovo albero senza nome.