GLI ULTIMI GIORNI DEL MONDO (1959) – PARTE 01
L’ULTIMA SPIAGGIA (On the Beach)
Ecco, ora è finito tutto. Niente più guerra, niente più pace, niente… il nulla si sovrappone al nulla, nubi foriere di morte attraversano un cielo carico di radioattività. Gli uomini agonizzano, nelle tenebre errano cose deformi, cieche, senza vita. Ombre vaganti dai ricordi confusi.
E’ la fine del mondo, una fine triste, senza sangue, senza croci. Come una candela che si spegne, l’uomo se ne va per una strada senza ritorno abbandonando il suo cammino nell’universo. Ha compiuto la sua ultima opera: ha ucciso se stesso. E’ giusto: ora il circolo si chiude, come un sipario su una scena finita. Resta la scenografia, spoglia, pronta ad accogliere altri attori, altri interpreti… e ancora una volta la commedia si ripete… dell’uomo resta solo un vago ricordo: l’ultima impronta sull’ultima spiaggia rimasta.
Una guerra atomica ha sconvolto il mondo. Ogni forma di vita umana è praticamente scomparsa. Solo l’Australia, per il momento e per poco tempo, è stata risparmiata dai venti radioattivi, ma la fine è ormai vicina. I superstiti trascorrono le loro giornate cercando di non pensare al futuro. Il comandante di un sommergibile atomico americano di stanza a Sidney, Dwight Towers (Gregory Peck, 1916 – 2003), viene inviato, per ordine dell’ultimo comando ancora rimasto in attività, quello australiano, a esplorare le zone devastate, sia per rilevarne l’incremento radioattivo, sia per ricercare eventuali superstiti e, soprattutto, per scoprire la causa di un misteriose messaggio in “Morse”, incomprensibile, che da molti mesi captano le riceventi del comando stesso.
Ma come è cominciato il massacro dell’umanità? Il film non lo spiega chiaramente e, francamente, la cosa non riveste una grande importanza, così come anche il fatto che la morte radioattiva risparmi l’Australia fino all’ultimo il che sarebbe meteorologicamente sbagliato, però, fra tutti, cogliamo questo significativo colloquio fra uno scienziato, Julian Osborne (Fred Astaire, 1899 – 1997) e un giovane militare, Peter Holmes (Anthony Perkins, 1932 – 1992).
Holmes: “Chi crede l’abbia cominciata, la guerra?”
Osborne: “Albert Einstein.”
Holmes: “Lei scherza…”
Osborne: “Volete sapere chi credo l’abbia cominciata?”
Holmes: “Già.”
Osborne: “Il guaio è che volete una risposta semplice. Nessuno può darvela. E’ incominciata quando si accettò il principio idiota che la pace potesse essere mantenuta affidando la propria difesa ad armi che non si potevano usare senza commettere un suicidio. Tutti avevano le bombe atomiche, le contro-bombe, le contro-contro bombe… non siamo più riusciti a controllare tutti questi ordigni… io lo so, li ho costruiti… Dio mi perdoni… In qualche posto qualche povero cristo, mentre guardava lo schermo radar, ha creduto di vedere qualcosa. Se avesse esitato un millesimo di secondo il suo paese sarebbe stato spazzato via… Così premette un pulsante e, in meno di… il mondo impazzì…”
Questo teorema della guerra atomica scatenata per errore verrà ripreso spesso nelle pellicole a venire e, a dire la verità, quasi sempre con esiti dignitosi.
Uno dei momenti migliori della pellicola, a parte l’angosciante ma toccante finale, è la sequenza nella quale il marinaio Ralph Swain (John Meillon, 1934 – 1989) fugge dal sottomarino mentre tutto il resto dell’equipaggio osserva da lontano il porto silenzioso di New York, una città deserta nello sfondo come tutte le altre che incontreranno. Il giorno successivo il sottomarino sta per ripartire, ma prima di andarsene per sempre, il Comandante Dwight parla, attraverso l’altoparlante esterno, al marinaio che sta pescando seduto in una barca.
Swain: “Ehilà, Comandante. Pensavo foste partiti.”
Dwight: “Preso niente?”
Swain: “No, ma ho appena incominciato. Ne prendo sempre qua fuori.”
Dwight: “Come ti senti?”
Swain: “Okay. Lo stomaco mi ha dato un po’ fastidio, ma ho preso dell’Alka-Seltzer in una farmacia. Devo avere inghiottito dell’acqua salata.”
Dwight: “Com’è la situazione in città?”
Swain: “Tutti quanti morti, credo. I miei lo sono. Ho smesso di indagare dopo un po’… ehi, ho una cassa di birra qua, ne volete?”
Dwight: “No, grazie.”
Swain: “Comandante… quanto tempo ci vorrà prima che mi senta male?”
Dwight: “Pochi giorni, una settimana… Non c’è una regola fissa.”
Swain: “Beh, il tempo è buono… se solo il vento calasse un po’… Comandante, non è che volessi mancarle di rispetto, ieri, vorrei che lo capisse, ma… preferisco farla finita qui, a casa, che in Australia… Mi capisce?”
Dwight: “Sì, capisco quel che vuoi dire. Possiamo fare qualcosa per te, prima di partire?”
Swain: “Sto a posto.”
Dwight: “Non torneremo più.”
Swain: “Lo so.”
Dwight: “Ti sentirai molto male… hai qualcosa da prendere?”
Trattenendo le lacrime a stento, il marinaio risponde:
Swain: “Posso scegliere tra duecento farmacie… Auguri.”
Dwight: “Buona fortuna anche a te… e attento al risucchio delle onde.”
Dopo aver constatato che il misterioso messaggio radio non era altro che una bottiglietta di Coca Cola rimasta impigliata in una tenda della finestra e che il vento faceva battere contro i tasti di un telegrafo, il sommergibile torna in Australia in attesa della fine.
Appassionato di macchine da corsa Osborne, lo scienziato, corre e vince l’ultima gara automobilistica della storia dell’uomo. Quindi, portato dal vento, il male comincia a propagarsi. Viene distribuita a tutti i cittadini una pillola per alleviare le sofferenze. Osborne chiude a chiave la porta del garage e avvia la sua macchina a tutto gas. Holmes si sdraia nel letto, vicino alla moglie Mary (Donna Anderson) e alla figlia nata da poco, per morire insieme.
Dwight si dirige con il sommergibile verso il largo, così come hanno richiesto i suoi uomini mentre, sulla riva, la donna che ama, Moira Davidson (Ava Gardner, 1922 – 1990), lo guarda allontanarsi seduta in macchina e, con il viso rivolto verso l’oceano, prende la pillola mortale.
Nelle strade deserte refoli di vento radioattivo sollevano carte, pezzi di giornale. Le vie sono vuote: tutti sono morti nelle proprie case accanto ai propri cari, accanto alle cose di sempre. Un grande silenzio scende ora sul mondo: l’uomo è uscito di scena…
Toccanti queste scene finali delle strade deserte, delle case spente e abbandonate mentre un senso di disperazione e di morte pervade ogni immagine.
La pellicola, tratta dal romanzo di Nevil Shute (1899 – 1960) L’ultima spiaggia (pubblicato da Oscar Mondadori N.49, Milano) e magistralmente diretta da Stanley Kramer (1913 – 2001), annovera, come abbiamo visto, un cast di tutto rispetto. La versione che circola è quella voluta dai produttori con molte scene tagliate. Il film può considerarsi il vero capostipite della guerra atomica per errore che verrà poi sostituita dagli orrori di una fine ecologica. La fotografia è in bianco e nero ed è curata dall’italiano Giuseppe Rotunno; gli esterni sono ripresi in Australia e il sommergibile, stante il rifiuto della Marina statunitense a fornire un vero mezzo a propulsione nucleare, fu in realtà il HMS Andrew, natante britannico a propulsione tradizionale.
(1 – continua)