FANTASCIENZA STORY 53

GLI ULTIMI GIORNI DEL MONDO (1959) – PARTE 03

Non esiste speranza per l’uomo.

Abbiamo già potuto constatare quanto gli esperimenti innovativi rappresentino per l’uomo, questo almeno secondo la cinematografia di fantascienza, una frontiera invalicabile verso la quale non ci si deve dirigere e, quando questo avviene, i risultati sono sempre deleteri per i pionieri che hanno osato sfidare l’ignoto dello spazio interno ed esterno che circonda l’essere umano.

Dal potere dell’invisibilità al teletrasporto, dalla rigenerazione delle cellule alla clonazione, le sfide verso le forze e della natura sono da considerarsi blasfeme, violano il regno di Dio e le sue leggi Divine. Questa rappresentazione arcaica e ottusa, noi già lo sappiamo, non è dovuta a uno scopo di monito o a un intendimento educativo ma solamente a una questione commerciale. Questa sfida dà la possibilità di “creare una storia”, di mostrare dei momenti angoscianti, drammatici e spettacolari, ma altrettanto spesso ridicoli, i quali, comunque, permettono di elaborare un soggetto, di scrivere una sceneggiatura e quindi di dirigere un film.

Gli esempi in questo senso sono innumerevoli: dalla pentalogia della Mosca, a The Wasp Woman fino a Philadelphia Experiment, da L’Uomo Invisibile e tutta la sua genia a Stati d’allucinazione, ma solo per citare rapidamente alcuni esempi. Nemmeno lo spazio è stato sicuro per l’uomo. Se dovessimo dar retta ai nostri soggettisti saremmo rimasti tranquilli e nascosti sul nostro pianeta evitando così di trasformarci in gelatine striscianti come in L’Astronave Atomica del Dottor Quatermass o nell’essere decomponibile de L’Uomo di Cera o posseduti come in The Astronaut’s Wife o in vampiri assetati di sangue come nel caso de Il Primo Uomo nello Spazio di cui ci occuperemo prossimamente.

Quanti pericoli per l’uomo!

Fortunatamente per lui e per noi ci sono sempre dei pionieri disposti a rischiare la vita per il progresso dell’uomo… o per la sua perdizione… ma questa è un’altra storia…

UOMINI COCCODRILLO (The Alligator People)

Il Dottor Erik Lorimer (Bruce Bennett, 1906 – 2007) giunge in macchina alla Clinica Webley. Il medico ha un appuntamento con il suo collega e amico, il Dottor Wayne McGregor (Douglas Kennedy, 1915 – 1973) della sezione di Neuropatologia. Erik entra nell’ambulatorio e l’amico gli viene incontro sorridendo e porgendogli la mano.

Wayne: “Erik…”

Erik: “Wayne…”

Wayne: “Sei stato gentile a venire col daffare che hai.”

Erik: “Mai troppo occupato per un caso fuori del comune, lo sai bene.”

Wayne: “Grazie, apprezzo il tuo interessamento.”

Erik: “Per telefono dicevi di avere un problema serio con una ragazza.”

Wayne: “Sì, una delle nostre infermiere…”

Erik: “Graziosa?”

Wayne: “(annuendo) La sua cartella clinica.”

Lorimer la prende e comincia a esaminarla.

Erik: “Jane Marvin…”

Wayne: “Così si fa chiamare. Professionalmente è a posto.”

Erik: “E attraente…”

Wayne: “Tutto cominciò quando si offrì di aiutarmi nelle ricerche sulla tecnica della Narcoipnosi.”

Erik: “La vedremo subito?”

Wayne: “Ah, immediatamente!”

Erik: “Bene…”

Wayne: “(parlando all’interfono) Jane, vuol venire per favore?”

Jane: “Sì, professore.”

Wayne: “Sembrava perfettamente normale. Solo in seguito intuii qualcosa di strano nel suo passato.”

L’infermiera Jane (Beverly Garland, 1926 – 2008) entra in quel momento nello studio.

Jane: “Professore…”

Wayne: “Jane, voglio presentarle il Dottor Lorimer. Eravamo nella stessa squadra di calcio all’Università. Io centrattacco…”

Jane: “Come sta, Dottore?”

Erik: “Piacere di conoscerla.”

Wayne: “Vorrei che il Dottor Lorimer fosse presente alla nostra seduta sempreché, s’intende, lei non abbia niente in contrario.”

Jane: “No, perché dovrei?”

Wayne: “Bene…”

Il Dottore fa distendere la ragazza sul lettino e le inietta del Pentotal. La donna comincia a contare lentamente e si addormenta rapidamente.

Erik: “Non ho mai visto un soggetto mentire sotto il Pentotal.”

Wayne: “Neppure io.”

Erik: “E allora quello lì?” (indica la macchina della verità)

Wayne: “Vedrai, aspetta…”

L’esperimento comincia e il medico accende il registratore.

Wayne: “Il suo nome?”

Jane: “Joyce… Egton… Joyce Egton Webster…”

Wayne: “Dunque, è sposata?”

Jane: “Sono stata… la Signora Webster… cioè…”

Wayne: “Sì?”

Jane: “Non sono certa… di esserlo stata davvero… di nome sì… ma forse… soltanto di nome…”

Wayne: “Cerchi di ricordare, Joyce, ogni cosa…”

Jane: “Ogni cosa…?”

Wayne: “Appunto, Joyce, dall’inizio.”

Jane: “Incontrai Paul in Corea… Era Tenente… Io infermiera militare… Decidemmo di sposarci quando fossimo stati congedati…”

Un treno nella notte. Uno scompartimento dove, davanti a due novelli sposi, l’inserviente sta aprendo una bottiglia di champagne per poi lasciarli soli. Joyce (ma che noi conosciamo come Jane) guarda suo marito, Paul Webster (Richard Crane, 1918 – 1969).

Jane: “Oh, Paul… Vuoi dirmi infine perché abbiamo dovuto aspettare tanto?”

Paul: “Perché? Ah, venir giù con l’aeroplano non è uno scherzo!”

Jane: “Oh, ricordo ancora quel telegramma… e soprattutto ricordo le terribili parole del medico quando telefonai…”

Paul: “Che cosa, esattamente?”

Jane: “Beh, secondo lui mio caro, eri più di là che di qua, letteralmente in pezzi… Ma che dico? In poltiglia, in polvere…”

Paul: “E non credi che fosse vero?”

Jane: “E come potrei? Guardati: non hai neanche un segno, neanche una cicatrice, sei più irresistibile di allora e nessuno crederebbe che tu sei stato vittima di una catastrofe aerea.”

Paul: “Eppure era vero, Joyce, altroché… dovrei essere morto.”

Jane: “Oh, non dici sul serio…”

Paul: “Senti, Joyce, tu hai diritto di sapere. Avrei dovuto parlartene molto prima.”

Jane: “Parlarmi di che?”

Paul: “Di quello che è accaduto veramente, del perché di questa attesa. Il fatto, vedi…”

Bussano alla porta dello scompartimento e l’inserviente (Dudley Dickerson, 1906 – 1968) porta loro degli altri telegrammi. I due si dividono il pacchetto e cominciano ad aprirli ma, davanti a uno di essi, Paul sbianca in volto, si alza ed esce per parlare con il Capotreno (Hal K. Dawson, 1896 – 1987).

Paul: “Tra quanto la prossima?”

Capotreno: “Uhm… vediamo… Uhm… Trentatré minuti… No, no trentacinque, siamo in ritardo di due minuti.”

Paul: “Niente prima?”

Capotreno: “Solo una breve fermata per caricare la posta, appunto stiamo rallentando…”

Paul: “Ci sarà un telefono!”

Capotreno: “Sì, sìi… ma non fermiamo che mezzo minuto, non c’è tempo di scendere dal treno!”

Paul: “Devo telefonare!”

L’uomo si allontana e Jane raggiunge il marito sulla porta dello scompartimento.

Jane: “Paul, che c’è? Ti prego, che diceva quel telegramma?”

Il treno sta rallentando e Jane cerca di sapere da Paul cosa stia succedendo, l’uomo si volta verso di lei e la bacia teneramente allontanandosi poi velocemente verso l’uscita. Jane lo vede sul marciapiede della stazione mentre guarda ancora una volta il misterioso telegramma ignorando gli avvertimenti di fare in fretta che la ragazza gli lancia dal finestrino. Il treno riparte e Jane è fermata dal Capotreno, mentre sta per scendere a sua volta.

Studio del Dottor McGregor.

Jane: “Ho visto il volto di mio marito per l’ultima volta.”

Wayne: “E dopo che cosa avvenne?”

Jane: “Ero distrutta… Scesi alla fermata successiva, tornai indietro in cerca di Paul ma non trovai tracce di lui, niente. Nessuno aveva telefonato, nessuno lo aveva visto… era come svanito…”

Wayne: “Avanti, prosegua.”

Jane: “Forse era realtà o soltanto un incubo… Un uomo che credevo di conoscere, che avevo sposato poteva sparire in tal modo? Mi rivolsi a tutti coloro che l’avevano conosciuto, mi recai al suo ultimo indirizzo, interessai la Polizia, assunsi investigatori privati, entrai in contatto con l’Esercito ma non ne ricavai che un vecchio recapito d’albergo…”

Erik: “Ma nel luogo di nascita e la sua famiglia?”

Jane: “Era nato in Georgia, ma dove? E non mi aveva mai parlato della  famiglia, né io gli avevo chiesto… lo amavo… Era la sola cosa importante…”

Wayne: “E non riuscì a sapere niente?”

Jane: “Mesi dopo, cercando fra le sue carte come centinaia di altre volte, trovai un distintivo…”

Wayne: “E le fu d’aiuto?”

Jane: “Mi misi in contatto con l’Associazione… scrissi… Mi risposero che Paul aveva appartenuto alla loro sezione… nell’Università Statale della Louisiana. Così mi recai là… Potei consultare i registri e trovai un indirizzo… Paul l’aveva dato al momento dell’iscrizione…”

Wayne: “Qual era l’indirizzo?”

Jane: “Bayou Landing, una stazione secondaria tra le paludi della Louisiana, nessun altro era sceso lì, un luogo deserto, sinistro. L’unico segno di vita dei vagoni su un binario morto, sembravano soli e fuori di posto quanto me.”

La donna vede una cassa davanti all’uscita della stazione. Contiene del materiale radioattivo: Cobalto 60.

C’è da supporre che l’imballo sia sicuro ma resta il fatto che Jane si siede forse un po’ incoscientemente sulla cassa come per aspettare qualcuno… e qualcuno arriva su uno scassato furgoncino con la scritta “Cypresses“. Da esso scende un uomo dall’aspetto volgare e trasandato.

Gli abiti avrebbero bisogno di una ripulita e probabilmente anche lui stesso. Si chiama, lo sapremo dopo, Mannon (Lon Chaney Jr., 1906 – 1973).

Mannon: “Buongiorno, buongiorno… Stai aspettando qualcuno carina?”

Jane: “No… ma ho pensato che… che sarebbero venuti a prendere questa cassetta.”

Mannon: “Eccomi qua… Ah, strano che una come te compaia da queste parti.”

Jane: “Conosce un posto, credo sia una piantagione, chiamata “I Cipressi”?”

Lui annuisce.

Jane: “Le dispiacerebbe condurmici? La ricompenserò.”

Mannon: “Laggiù non ricevono mai visite. T’aspettano per caso?”

Jane: “No, non esattamente, ma dovrebbero conoscermi.”

Mannon: “Meglio per te, bella… e anche per me. Coraggio, monta… su, accomodati.”

Jane si siede nel posto di fianco al guidatore mentre Mannon carica la cassa. L’uomo ha un uncino al posto della mano destra. Il personaggio ha delle caratteristiche molto simili a quelle di Capitan Uncino della fiaba e non solo per la menomazione alla mano sinistra ma anche per il fatto che essa è dovuta al morso di un alligatore.

Sfortunatamente per lui non c’era nessuna sveglia ad avvisarlo dell’arrivo del rettile… (La protesi è stata innestata sul braccio sano di Chaney e tenuta ferma dal pugno chiuso dell’attore… e si vede benissimo!). Dopo aver caricato la cassa l’uomo mette in moto il furgone e si avvia lungo una strada dissestata in mezzo alla palude e agli alberi.

Mentre l’uomo si ferma per togliere un ramo che ingombra la strada, Jane vede due uomini che stanno catturando un alligatore e lo fanno con molta fatica perché la robusta bestia si ribella e infligge colpi di coda ai suoi catturatori. Mannon risale in macchina e nota lo sguardo con cui Jane sta osservando la scena.

Mannon: “Non avevi mai visto niente di simile eh?”

La ragazza fa cenno di no.

Mannon: “Non eri mai stata qui nella Louisiana?”

Jane: “È lugubre, è così ostile!”

Mannon: “Già, ostile! Sai quanto ti ci vorrebbe per perderti se uscissi dalla strada per cento metri? Ah, ah… Forse dieci minuti e se anche la palude ti risparmiasse ci sarebbero sempre… sì, sempre gli alligatori… Luride, perfide e schifose cose!”

Mannon riavvia bruscamente e, poco tempo dopo, Mannon investe volutamente un alligatore che taglia loro la strada. La bestia corre via rituffandosi nella palude mentre l’uomo, dopo aver fermato il camion per godersi la scena, sta ridendo sgangheratamente.

Jane: “Perché lo ha fatto, dica? Non voleva mica aggredirlo!”

Mannon: “Ah, no? E questo chi me lo ha regalato? …In ogni modo, bella, ci vuole altro per loro!”

I due arrivano alla tenuta de “I Cipressi”. Jane scende e bussa davanti alla elegante casa colonica. Un maggiordomo, rigorosamente di colore, Toby (Vince Townsend Jr., 1906 – 1997), le chiede le ragioni della sua visita e mentre la ragazza sta cercando di spiegarsi, un’anziana signora che sta scendendo dal piano superiore aiutandosi con un bastone, la invita a entrare. Come tra poco sapremo la donna si chiama Winnie (Lavinia) Hawthorne (1901 – 1976) ed è la proprietaria della tenuta.

Winnie: “Dunque, desidera?”

Jane: “È la sua casa?”

Winnie: “Ma certamente.”

Jane: “Forse lei mi può aiutare. Vede, mio marito è scomparso alcuni mesi fa la sera… la sera stessa del nostro matrimonio. Ho fatto ricerche ovunque, ho tentato ogni strada e… questa è l’ultima speranza.”

Winnie: “Le assicuro che non capisco…”

Jane: “All’Università ho consultato i registri e l’indirizzo che risulta è appunto Bayou Landing, Villa dei  Cipressi.”

Winnie: “Posso chiederle il suo nome?”

Jane: “Io sono la Signora Webster.”

La donna lancia un rapido sguardo a Toby poi quasi assale la ragazza negando di conoscere Paul Webster e invitandola ad andarsene ma poiché non c’è altro treno fino al giorno successivo, è costretta a offrire ospitalità a Jane raccomandandole però di non uscire dalla camera per nessun motivo e l’affida alle cure della sua cameriera Lou Anne, da noi più semplicemente tradotto in Luana (Rooby – Ruby – Goodwin, 1903 – 1961).

Il tardo pomeriggio si trasforma in sera e, dalla finestra della sua camera, Jane sta pensando agli avvenimenti della giornata.

Jane: “<La notte parve aumentare l’aria di mistero che incombeva su “I Cipressi” e rese più acuti tutti i dubbi e tutti i timori che, alla luce del sole, avevo cercato di combattere sia pure senza convinzione e con scarso risultato. Quale segreto nascondeva la Signora Hawthorne in quella casa strana e inospitale? Perché  mi aveva intimato di non lasciare la camera?>”

Degli spari rompono il tranquillo silenzio della sera e Winnie ordina quasi istericamente a Toby di andare subito da Mannon e fermarlo, almeno fino a che Jane sarà lì con loro. Anche la ragazza ha sentito gli spari e cerca di uscire dalla camera trovando però la porta chiusa a chiave. Toby ha raggiunto Mannon che sta sparando agli alligatori con una mira che definire pessima è usare un eufemismo visto che li sbaglia da pochissimi metri. L’uomo è palesemente ubriaco e Toby riesce, anche se con fatica, a farlo smettere.

Luana ha portato la cena in camera di Jane e la ragazza cerca di farla parlare ottenendo solo di sentirsi dire che la casa è maledetta, che la Signora Hawthorne ha stretto un patto con il diavolo e che deve quindi andarsene al più presto da lì. Uscendo la donna dimentica la chiave nella toppa e Jane ne approfitta per impossessarsene e chiudere di sua volontà la porta della camera.

Il telefono squilla nella casa e Winnie va a rispondere.

Winnie: “Sì?! Oh, sei tu finalmente…”

Dall’altro capo del filo un individuo di mezza età in camice bianco. Si trova evidentemente in un laboratorio e, accanto a lui, c’è un alligatore strettamente legato su un lettino. Il nome dell’uomo è Mark Sinclair (George Macready, 1899 – 1973).

Mark: “Perché, Winnie, che c’è?”

Winnie: “Sua moglie, Mark. È arrivata!”

Mark: “E come ha fatto?”

Winnie: “Poi ti dirò. Puoi immaginare il mio stato d’animo e adesso dobbiamo decidere in merito a lui. Vengo subito da te, aspettami, ti prego.”

La donna depone il ricevitore e Jane, dalla sua camera, la vede uscire in macchina. Si dirige alla clinica del dottore, anch’essa situata nella foresta. All’interno di una delle camere, degli infermieri, John Merrick (John Frederick, 1916 – 2012) e Lee Warren, stanno cercando di tenere fermo un paziente (Bill Bradley) il quale indossa un pesante saio e una curiosa maschera chiusa sul davanti con della stoffa. Più che dei malati sembra di trovarsi davanti a un sacerdote da setta demoniaca e il tutto ricorda molto da vicino la mascheratura che sarà poi usata dagli uomini-schiavi del film The Black Hole. L’infermiere immobilizza il paziente piazzandogli un cazzotto ben assestato e quindi l’uomo viene rimesso a letto. Il Dottor Sinclair gli pratica un’iniezione calmante.

Mark: “Poveretto… Che ragione avevi di picchiarlo?”

I Infermiere: “È il sistema più sbrigativo.”

Mark: “Ma sono uomini! Perlomeno lo sono ancora. Come è successo?”

I Infermiere: “L’unica ipotesi, professore, è che abbiano tardato a  metterlo in acqua.”

Mark: “Allora idroterapia a spruzzi, in aggiunta.”

II Infermiere: “Sì, Professore.”

Winnie entra nella clinica chiamando Mark a gran voce e si dirige verso il laboratorio incontrandolo mentre il medico sta rientrando.

Mark: “Ah, buonasera. Abbiamo avuto delle complicazioni, le solite, con il numero sei…”

Winnie: “Va meglio, adesso?”

Mark: “Sì, è tranquillo.”

Winnie: “Quella donna però ho idea che non lo sia affatto.”

Mark: “Si è informata all’Università?”

Winnie: “È la sola cosa a cui non avevamo pensato, la sola!”

Mark: “Devo dirtelo? Sapevo che prima o poi la moglie di Paul ci sarebbe piombata addosso ed è molto grave che sia accaduto proprio ora, in questo momento. Capisci Winnie?”

Winnie: “Supponi che ne parli alla Polizia, ci pensi? Non avremmo più speranze.”

Mark: “Ma davvero ne abbiamo? Io non lo so più. Sono scoraggiato ormai, tremendamente, credimi.”

Winnie: “Ma dicevi che il trattamento al Cobalto…”

Mark: “Sì, le reazioni ai raggi X sono confortanti e delle reazioni di Cobalto 60 potrebbero essere anche più efficaci.”

Winnie: “E dunque? Dato che la bomba al Cobalto è arrivata…”

Mark: “No, non è questo. Prima di tentare sopra un essere umano occorrono mesi di prove, centinaia di esperimenti su cavie. Abbiamo… abbiamo già rischiato una volta e nessuno ne conosce meglio di me il tragico risultato.”

Winnie: “Io ho molta fiducia, Mark, moltissima fiducia e anche tu devi averne, è soltanto una questione di tempo! L’essenziale, per ora, è che lei se ne vada.”

Mark: “Sicuro, ma prima voglio parlarle. È assolutamente indispensabile accertarsi che non sospetti di nulla, che pensi davvero di essersi sbagliata…”

Intanto un’ombra si avvicina alla casa di Winnie e penetra con passo sicuro all’interno.

Si avvicina al pianoforte e comincia a suonare le note di un motivo che fanno sobbalzare dal letto Jane, al piano di sopra. La donna apre la porta e scende le scale.

Jane: “<E tutto a un tratto udii il suono di un pianoforte. Mi pareva di conoscere quel motivo… Lo conoscevo… Chi altri dunque viveva in quella casa? Chi poteva suonare nel cuore della notte? Non riuscivo a liberarmi della convinzione d’essere vicina, sempre più vicina a una rivelazione tremendamente paurosa. Dovevo cercare, dovevo trovare…>”

La donna apre la porta e un fascio di luce investe la sagoma al pianoforte che si gira tranquillamente per poi irrigidirsi alla vista di Jane e fuggire precipitosamente. Jane resta sola nella penombra e osserva le impronte fangose lasciate sul tappeto.

Jane: “<Chi era, chi era quell’uomo al pianoforte? E perché quella fuga quando mi aveva vista? Impronte di fango… eppure non aveva piovuto… e la tastiera… bagnata dalle sue dita…>”

La macchina con alla guida Winnie sta tornando verso la piantagione. Una figura si para davanti ad essa e la donna frena. Si tratta dell’individuo visto prima davanti al pianoforte: è Paul, il viso deturpato ma ancora riconoscibile, la voce roca.

Paul: “Com’è  arrivata qui?”

Winnie: “Non lo so. (come, non lo so? Jane glielo ha spiegato e lei lo ha spiegato a Mark… crisi arteriosclerotica o paura di una sgridata da parte di Paul?) È comparsa quest’oggi all’improvviso convinta che tu sia qui.”

Paul: “E tu l’hai fatta restare?”

Winnie: “Beh, non potevo affogarla nella palude, né rifiutarmi di ospitarla. Non ci sono treni fino a domani. Come lo hai saputo?”

Paul: “L’ho vista da basso.”

Winnie: “Da basso?! L’avevo chiusa in camera!”

Paul: “Deve andarsene domattina col primo treno!”

Winnie riavvia la macchina e torna a casa. Giunge il mattino e con esso il Professor Sinclair il quale, usando un mezzo anfibio, prima attraversa un tratto di palude poi, guidandolo come un veicolo qualsiasi, arriva davanti alla veranda della piantagione sotto la quale c’è Jane che sta fumando nervosamente. L’uomo scende con in mano una tipica borsa da dottore.

Mark: “Sono il Professor Sinclair, Mark Sinclair. Diciamo… un medico di palude… Quello là è il mio calesse… anfibio, già…”

Jane: “Vedo… Un lavoro pesante il suo.”

Mark: “Perché dice questo?”

Jane: “Perché… la zona è tutt’altro che salubre, mi pare.”

Mark: “Ah, sì, sì, capisco… Tuttavia non è esattamente come pensa lei o noi due non saremmo qui.”

Jane: “Davvero?”

Mark: “Vede, alcuni milioni di anni fa, la maggior parte della Terra aveva questo stesso aspetto: una vasta, immensa palude. Era la culla della vita, la nostra culla, tutta… tutta fango e limo… proprio come il genere umano.”

Jane: “Cinico e materialista, non è vero?”

Mark: “Soprattutto deprimente, ne convengo. Mi adeguo al paesaggio, tutto qui… Ah, è… è in casa la Signora ?”

Jane: “Non l’ho ancora vista. Che c’è, sta male?”

Mark: “Beh, no, non direi. Winnie… la Signora Hawthorne, ha una natura assai emotiva e un medico, in questi casi, specie se amico…”

Jane: “Comincio a capire.”

Mark: “Capire che cosa?”

Jane: “Perché mi ha chiusa in camera ieri sera.”

Mark: “Come, chiusa in camera?! Ma lei non è qui come ospite?”

Jane: “Solo in un certo senso. Sono la Signora Webster, la moglie di Paul Webster… Questo nome non le dice niente?”

Mark: “No. Perché?”

Jane: “Pensavo… Mi ascolti, Professore… Da mesi e mesi io sono alla ricerca di mio marito. È una storia incredibile… peggio che incredibile…”

Mark: “E vuol trovarlo quaggiù?”

Jane: “La sola traccia che sia riuscita a procurarmi è appunto questa: I Cipressi.”

Mark: “Ed è venuta fin qui, ha percorso miglia e miglia dietro un indizio così sottile?”

Jane: “Se le dico che era il solo, il solo!”

Mark: “Mi pare molto difficile da credere… No, lei doveva avere altri elementi…”

Jane: “Perché, ce ne potrebbero essere? È questo che intende?”

Mark: “Ma certo che no. Io volevo unicamente…”

Jane: “Lei conosce Paul, non è vero? Lo conosce… Mi dica che cosa si cerca di nascondermi? Qual è la ragione di questo mistero?”

Mark: “Cara Signora, lei è visibilmente sovreccitata… più che comprensibile, date le circostanze… Vorrei poterla aiutare… Ehm, preghi la Signora Hawthorne di scusarmi e le dica che ripasserò, grazie.”

Mark torna alla sua clinica dove gl’infermieri stanno aprendo la cassa contenente il Cobalto 60.

Mark: “Sii molto cauto. Genera tremila unità Curie di energia Gamma. Vale a dire sei milioni di elettro volt di raggi X. Pochi secondi di esposizione diretta sarebbero fatali… Attenzione, la calo giù.”

Da dietro l’ampia vetrata il Professor Sinclair aziona una leva e il Generatore di Raggi X scende dal soffitto.

Jane sta frugando nello studio tra le carte di Winnie la quale scende in quel momento dal piano superiore e chiede a Luana perché la valigia della ragazza sia ancora di sopra. La domestica le risponde che Toby era pronto per accompagnarla in stazione ma che lei si è rifiutata e che ora si trova nello studio. Come una furia l’anziana signora si precipita nella stanza e apostrofa Jane che le risponde per le rime accusandola alla fine di aver assassinato Paul. A quest’ultima dichiarazione la donna non ce la fa più, scoppia a piangere e confessa a Jane di essere la madre di Paul. È di nuovo sera e sta piovendo a dirotto. Paul rientra in casa per trovarsi di fronte improvvisamente ancora a Jane. L’uomo fugge nascondendosi nella palude mentre la donna lo insegue sotto la pioggia scrosciante chiamandolo a gran voce. Mannon sente le grida e raggiunge Jane che, in quel momento, è stata presa di mira da un serpente. L’uomo porta nella sua capanna la ragazza e l’assale selvaggiamente. Alle urla di lei l’uomo la colpisce con un pugno ma interviene Paul che atterra il bruto quindi porta via Jane mentre Mannon, riavutosi, gli urla dietro minacciando di ucciderlo. Paul ha riportato a casa sua moglie ancora svenuta e Winnie ordina a Toby e a Luana di occuparsi di lei, poi parla dolcemente al figlio.

Winnie: “Paul, non credi che ora dovremo dirle tutto?”

Paul: “No, mamma, questo mai!”

Winnie: “Bisogna pur metterla in guardia dopo quanto è successo.”

Paul: “Io l’amo, non capisci?”

Winnie: “Appunto per questo, Paul. Parlale, ti prego.”

Paul: “Non posso…”

Winnie: “Meglio telefonare a Mark, lui ci consiglierà.”

Paul: “Perché non mi lascia morire, piuttosto!”

Winnie: “Ma perché il tuo caso, figliolo, non è disperato, non come tu credi.”

Paul esce. A questo punto una piccola parentesi: durante questo colloquio e quello successivo, Jane, o Joyce, se preferite, è svenuta nella propria camera e, anche in altre occasioni non era presente. Come fa a sapere quello che è successo, ciò che è stato detto, visto che lo sta raccontando ai due psichiatri? Chiusa la parentesi e torniamo da Paul che è andato alla Clinica di Mark.

Mark: “Paul?!”

Paul: “È arrivato, vero?”

Mark: “Il Cobalto 60? Sì, ieri.”

Paul: “Quando lo proverai?”

Mark: “Oh, non per ora. Ho già spiegato a tua madre. Unita al Generatore dei Raggi X la bomba raggiungerà una potenza di un Betatrone, un miliardo di Elettro volt, perciò senza una lunga serie di esperimenti…”

Paul: “Ma non c’è tempo, Mark, non c’è tempo…”

Mark: “Non posso assumermi questo rischio dopo tutte le catastrofi che ho provocato…”

Paul: “E non pensi al male che stai facendo a mia moglie? Sei stato proprio tu a dire che i raggi X mi avrebbero giovato…”

Mark: “Sì, in base a taluni indizi…”

Paul: “E dunque combinando i raggi X con le radiazioni Gamma del Cobalto mi potresti guarire del tutto.”

Mark: “A meno che non ti uccidessi… o… peggio ancora. No, no non lo posso fare! È troppo pericoloso…”

Paul: “Se io e gli altri siamo ancora vivi è solamente per merito tuo. Meglio forse che fossimo morti tutti… ma dal momento che non è così, hai il dovere di tentare e tentare su di me per primo, ma subito, subito, costi quello che costi!”

Mark: “Non questa notte! Mi occorre un giorno almeno per provare su un alligatore vivo e, a parte questo, fissare un limite di controllo, come te lo devo spiegare, Paul? Non ho la minima idea di quello che può accadere!”

Paul: “Domani sera!”

Mark: “Domani sera… Paul , tua madre mi ha telefonato di Joyce. Perché non vuoi parlarle?”

Paul: “Non posso. L’idea che lei mi veda in questo stato è troppo atroce, troppo.”

Mark: “Capisco, ma le ho detto di venire da me, oggi.”

Paul: “Ma…”

Mark: “Deve sapere, “Mark”, è necessario.”

No, non è un errore di trascrizione, il doppiatore italiano si è sbagliato dicendo “Mark”, invece di “Paul”. L’errore è rimasto, cose che capitano. Prendiamo spunto da questa pausa narrativa per dire anche come il make-up di Paul è (incredibile!) di Dick Smith (1922 – 2014) e sia qualcosa di incommensurabilmente mal fatto. Sotto il collo dell’attore si vede benissimo la gomma che lo ricopre ma il peggio deve ancora venire…

Intanto un alligatore viene prelevato da attenti inservienti e caricato su una lettiga per portarlo sotto il Generatore di Raggi X. Intanto Jane è entrata nella clinica giusto in tempo per incontrare due dei pazienti mascherati e ricevere dall’infermiere la disposizione di accomodarsi nello studio del Professore. Dalla grande vetrata Jane vede Mark e la sua équipe legare al lettino il rettile poi lo scienziato entra nello studio e irrora di raggi il pupazzo (evidente) dell’animale. Il raggio stesso è mal dipinto sul fotogramma.

L’irradiazione termina.

Mark: “Basta così. Toglietelo da lì e isolatelo. Fra un’ora e mezza controlleremo i risultati e tenetene pronto un altro… (rivolto a Jane) La prego di voler scusare questo imprevisto, Signora Webster, dagli esperimenti di oggi dipendono tutte le mie ricerche. Dunque lei è infermiera diplomata…”

Jane: “Sì, Professore.”

Mark: “Bene. Quindi sa dei processi vitali negli ordini superiori e inferiori. Nelle specie come la nostra, a sistema nervoso altamente sviluppato, le funzioni organiche sono controllate principalmente dal cervello e dai nervi, ma negli esseri dotati di un sistema nervoso meno complesso i processi vitali sono governati da sostanze chimiche secrete da ghiandole a secrezione interna e immesse nel sistema circolatorio…”

Jane: “Come gli ormoni…”

Mark: (annuendo) Nel corso dei miei studi giovanili rimasi fortemente impressionato dalla forza cicatrizzante di un singolo ormone: l’idrocortisone e potei sperimentare quanta maggiore efficacia esso assumesse in quegli organismi a sistema nervoso semplificato la cui esistenza è regolata, appunto, da questo ormone. Per esempio alcune piccole lucertole, se appese, perdono completamente la coda ma in un tempo molto breve, a volte in pochi giorni, ricuperano per intero la loro appendice e due o tre specie possono addirittura sviluppare di nuovo uno degli arti, se l’hanno perduto (le indica i tabelloni anatomici alle pareti). Guardi, non è inquietante? Ecco due cartilagini simili, si direbbero dello stesso organismo, eppure no, questa è di un uomo e quella di un alligatore…”

Jane: “Davvero impressionante, Professore, ma lei non doveva parlarmi di Paul?”

Mark: “È precisamente di Paul che sto parlando. Ormai il mio intento era uno solo: estrarre appunto questa miracolosa sostanza rettilea e servirmene per curare ferite umane. La Signora Hawthorne, si chiamava ancora Webster allora, si risposò dopo la morte del padre di Paul. La Signora Hawthorne, dunque  finanziò le mie ricerche e costruì questa clinica.”

Jane: “Ma i risultati?”

Mark: “Ecco, isolai una proteina chimica dalla glandola pituitaria anteriore di un coccodrillo… un alligatore della specie comune…”

Jane: “Un alligatore?!”

Mark: “…E iniettai quella sostanza nelle vene di alcuni volontari orrendamente feriti, vittime senza speranza di mutilazioni crudelissime. L’effetto fu addirittura miracoloso. Non soltanto essi sopravvissero ma in un tempo brevissimo ricuperarono la loro integrità. I loro corpi quasi distrutti si ricostruivano…”

Jane: “Fu così anche per Paul?”

Mark: “Lei sa dell’incidente. Non sto a dirle in quali condizioni lo portarono qui… Il volto sfigurato non molto dissimile da un teschio…”

Jane: “Certo è straordinario… Io stessa non volevo credere che le sue condizioni fossero state tanto disperate.”

Mark: “Può immaginare il mio entusiasmo. Ero convinto di avere debellato per sempre l’eterna nemica.”

Jane: “Chiunque l’avrebbe creduto!”

Mark: “Ma, quasi un anno dopo…”

La porta dello studio si apre ed entra uno degli infermieri.

II Infermiere: “Professore, c’è bisogno di lei. Siamo daccapo.”

Mark: “Mi aspetti, torno subito… Anzi, venga, così potrà vedere.”

Il Professore e Jane vanno nella stanza del paziente numero sei che giace sul letto tenuto fermo dagli altri infermieri. Il volto scoperto, deturpato da una pelle squamata (e ancora una volta mal fatta).

I Infermiere: “Un altro sedativo, Professore?”

Mark: “No. Temo che i tessuti cerebrali siano colpiti. Provi gli ultravioletti.”

I Infermiere: “Come crede. Avanti.”

Jane: “Chi è, Professore?”

Mark: “Non è fin troppo evidente? Uno dei miei miracolati.”

Jane: “E, dica, quei sintomi?”

Mark: “Sono i postumi. Cominciano a manifestarsi in vari modi circa un anno dopo il trattamento.”

Jane: “Ma perché, come?”

Mark: “Non lo immagina? C’è una secrezione addizionale nell’estratto di pituitaria oltre a quella dell’ormone. Qualche cosa che io ignoravo ma a suo modo ancora più potente.”

Jane: “E gli ultravioletti?”

Mark: “Gli ultravioletti hanno una notevole influenza depressiva sui rettili… Li fanno cadere in letargo…”

Jane: “Rettili?! Non vedo che… Vuol dire che… costoro si trasformano… in alligatori?”

Mark: “In effetti potremmo chiamarli Uomini Coccodrillo.”

Jane: “E Paul?

Mark: “I suoi sintomi sono stati tardivi ma, in seguito alle analisi definitive, fui costretto a interrompere il suo viaggio di nozze… Si è calmato, andiamo…”

Mark accompagna Jane alla macchina.

Jane: “Non c’è nessuna speranza per loro, proprio nessuna?”

Mark: “Sì, probabilmente ce n’è una, ma molto debole, un vero salto nel buio e pericolosissimo. Suo marito è deciso a tentare l’ultima opportunità questa sera.”

Jane: “E cioè?”

Mark: “Radiazioni massive. Raggi Gamma emessi da una bomba al Cobalto combinati con raggi X ad alta intensità. Abbiamo già osservato in Paul reazioni piuttosto positive all’azione dei raggi X  ma che accadrà con i Gamma? Non lo so…”

Jane: “Voglio esserci anch’io!”

Mark: “Glielo sconsiglio in modo assoluto, signora…”

Jane: “Voglio essere presente! Voglio vedere Paul, voglio parlargli prima… e lei non può rifiutarmelo!”

Mark: “È giusto. Non posso, non ne avrei il diritto del resto.”

Lo scienziato le apre il portello della macchina. È giunta la sera e Paul va alla clinica e si trova davanti ancora una volta e inaspettatamente a Jane. L’uomo si gira di scatto ma la ragazza lo ferma.

Jane: “Paul, ti prego, non fuggire di nuovo. So perché sei qui, il Professore me lo ha spiegato, ci sarò anch’io… Oh, Paul, niente è mutato, te lo giuro, sono sempre tua moglie e ti amo… Oh, Paul… caro…”

Paul: “Sai dell’esperimento di questa sera?”

Jane: “Non… non solo questo. Il Professor Sinclair mi ha detto dei raggi X e di come ti abbiano giovato e mi ha detto anche del Cobalto… vedrai Paul, vedrai, tutto andrà bene!”

Paul: “Sei sincera, Joyce?”

Jane: “Ritornerai attraente come prima, ne sono sicura.”

Finalmente l’uomo si gira a guardarla.

Paul: “Joyce, tu sai quanto ti ami e piuttosto che farmi vedere così  da te avrei preferito morire!”

Jane: “Oh, Paul, perché? Non devi dirlo!”

Mark e Winnie entrano nello studio.

Mark: “Siamo… siamo pronti… Se tu non hai cambiato idea…”

Paul: “Non ho cambiato idea!”

Mark: “Va bene… (si avvicina al vetro e parla ai suoi assistenti nel laboratorio dietro la vetrata dando un ordine che poi esegue lui stesso premendo un pulsante)… Potete calare.”

Il Generatore scende e si posiziona.

Mark: “Andiamo, Paul?”

Paul: “Andiamo.”

Winnie: “Oh, Paul, pensi davvero che non ti resti altro da fare? Perché non rinunci?”

Paul: “Qualsiasi cosa possa accadere sarà sempre meglio di così.”

Si avvicina alla moglie e le tocca leggermente una spalla. Jane alza gli occhi e lui ritira la mano ma la ragazza prende le sue mani, deformi anch’esse, tra le sue. Paul si avvia con Mark nel laboratorio.

Jane si accascia piangendo su una poltrona.

Jane: “Oh, Paul…”

Winnie: “Mi dispiace di essere stata scortese ma Paul tutto poteva sopportare tranne l’idea che lei venisse a sapere. Ora che la conosco, però, credo che avesse torto, mi dispiace, mi dispiace tanto…”

Jane prende sottobraccio la donna e assieme si mettono davanti al quadro dei comandi e al vetro che dà nella stanza del Generatore.

Nel frattempo Mannon, ubriaco fradicio, entra nella casa di Winnie cercando a gran voce Paul. Luana cerca di mandarlo via e l’uomo pensa di trovarlo assieme ai suoi simili alla Clinica. Esce come una furia nella notte…

Mark sta intanto spiegando alle due donne come intende procedere.

Mark: “Controlli e durata devono essere assolutamente esatti. Quando si cura con la radioattività e milioni di Volt di energia, il minimo scarto dal tempo fissato, persino pochissimi secondi in più, possono essere fatali.”

Jane: “Quanto durerà l’esposizione?”

Mark: “Non più di trenta secondi, è il massimo assoluto stabilito in base alle prove sugli alligatori in modo definitivo. Trenta secondi. Non di più.”

Lo scienziato entra nella sala del Generatore dove c’è Paul assicurato con delle cinghie al lettino. Forse la cosa migliore di questa pellicola è di aver rinunciato alla fin troppo facile via di mostrarci il solito scienziato pazzoide alle prese con esperimenti proibiti. Nel concetto di questo film l’annoso discorso della sfida a Dio e alla Natura resta, e lo vedremo subito, ma Mark Sinclair è sopra ogni altra cosa un uomo disperato e triste per ciò che ha fatto credendo solo di fare del bene e questo discorso che segue è la prova di tutto quello che abbiamo detto.

Mark: “Paul…”

Paul: “Sì.”

Mark: “Non sono mai stato capace di chiederti perdono…”

Paul: “E per quale ragione avresti dovuto? Nessuno di noi sa tutto, nessuno di noi è Dio.”

Mark: “Forse io ho creduto di esserlo, Paul, e questo è il castigo…”

Paul: “Dimentica.”

Mark: “Come ti senti?”

Paul: “Bene.”

Mark: “Tieni gli occhi chiusi e rilasciati.”

Lo scienziato torna nello studio e avvia l’irrorazione dei raggi.

Mannon è arrivato alla Clinica ed entra nello studio senza che nessuno pensi seriamente a fermarlo. Ci prova Mark a scacciarlo ma l’uomo lo colpisce violentemente con un pugno mentre, implacabili, le radiazioni colpiscono Paul. Ghignando Mannon entra nel laboratorio dove già stanno addensandosi le prime volute di fumo dovute al circuito sovraccarico e tra queste Mannon vede sdraiato sul lettino una figura orribile: un uomo con la testa di coccodrillo. La creatura (la interpreta Boyd Stockman, 1916  - 1988) strappa le cinghie e sta per lanciarsi su Mannon il quale cerca di colpire il mostro ma l’uncino s’impiglia su un cavo elettrico e lo fulmina. L’essere non può parlare ma è evidentemente ancora umano perché si precipita nello studio senza assalire nessuno e anzi resta frastornato dall’urlo di Winnie che sviene e da quello di Jane per cui esce di corsa allontanandosi nella giungla. Jane si riprende e gli corre dietro. Mark, intanto, è rinvenuto, cerca di spegnere il Generatore ma è troppo tardi: una gigantesca esplosione distrugge la Clinica e tutti i suoi occupanti.

Paul, o meglio la sua controfigura che indossa una tuta fatta talmente male e nella quale si vedono benissimo le pieghe della gomma, passa a guado un canale eliminando, strada facendo, un alligatore e s’inoltra sempre di più nel folto dopo essersi osservato nell’immagine riflessa nell’acqua. Jane gli è sempre dietro e, con orrore, vede quello che una volta era suo marito, cadere nelle sabbie mobili e scomparire rapidamente. È troppo per Jane che scoppia in un pianto isterico.

Siamo tornati nello studio di Wayne. Il nastro sta girando per la seconda volta.

Wayne: “Dunque, ora che hai riascoltato il nastro, che ne pensi?”

Erick: (guardando il grafico della macchina della verità) Questo indicherebbe che tutto quanto ha detto è vero.”

Wayne: “Sposata a un certo Paul Webster cambiatosi in coccodrillo, poi c’è un Professor Mark Sinclair saltato in aria…”

Erik: “Tu credi a questa storia?”

Wayne: “Non ha molta importanza. Erik, nessuno deve sapere meglio di noi che il compito dello psichiatra è di diagnosticare lo squilibrio mentale e curarlo…”

Erik: “È evidente.”

Wayne: “Prendiamo lei. Ha avuto un’esperienza più che spaventosa, unica, vera o no, ma ha trovato un adattamento soddisfacente. Vive una vita normale, utile, felice, dopo aver chiuso un brutto libro…”

Erik: “Comunissima nevrosi d’angoscia e rimozione mediante amnesia. È  inutile che te lo dica io.”

Wayne: “Eh, lo so benissimo… Ma che cosa devo fare però? Lasciare che rimanga com’è oppure cercare di curarla? Dovrei riportarla indietro alla sua esperienza facendole ascoltare il nastro.”

Erik: “Le procureresti uno shock da cui non si riavrebbe più.”

Wayne: “Appunto.”

Erik: “Non so, davvero non so proprio…”

Jane entra in quello momento nello studio porgendo a Wayne una cartella da firmare.

Jane: “Mi scusi, Professore, avrei finito. Se a lei non occorre altro…”

Wayne: “Bene.”

Firma la cartella e la porge alla ragazza.

Jane: “Grazie.”

Wayne: “Oh, Jane, un momento… allora?”

Guarda interrogativamente Erik che fa leggermente cenno di no con la testa.

Jane: “Che c’è Professore?”

Wayne: “Niente Jane… Buonasera.”

Jane: “Buonasera. Buonasera Dottor Lorimar.”

Erik: “Buonasera Jane.”

E così Joyce Egton Webster, ora diventata Jane Marvin, uscendo dallo studio del Professor Wayne, chiude anche definitivamente dietro di sé la sua vita passata perché gli unici che sanno non diranno nulla.

A costo di sembrare macabri non possiamo non far notare che tutti gl’interpreti di questo film, regista compreso, non sono più tra noi. Infatti il regista Roy Del Ruth, nato nel 1895, muore solo due anni dopo aver girato questo film, nel 1961.

Per quanto riguarda Lon Chaney, l’ormai mitico uomo lupo, ne abbiamo parlato più volte.

Richard Crane, e cioè Paul Webster, nacque il 6 giugno del 1918 a Newcastle nell’Indiana ed è morto per un attacco di cuore a San Fernando Valley, in California, il 9 marzo del 1969. Lo ricordiamo principalmente in Razzi Volanti con Gianni e Pinotto, The Flying Serpent, ma soprattutto nel serial televisivo di fantascienza del 1956 Rocky Jones Space Ranger da noi inedito, nel ruolo principale; poi è stato protagonista di un altro serial, Commando Cody, Marshall of the Universe, ovviamente sempre inedito, come anche in Men into Space.

Anche George Macready e cioè il Professor Mark Sinclair, nato il 29 agosto 1908 a Providence, nel Rhode Island, ci ha lasciato una carriera di tutto rispetto comprendente settantadue pellicole tra cui ricordiamo: Monster and the Ape del 1945 e il suo “Ballin Mudson” in Gilda (1946), probabilmente il suo ruolo più famoso; “Christopher Todd” in Sette Giorni a Maggio (1964), il “Professor Vaughn Dornheime” di Agente Spaziale K-1 (1965) e infine il Professor Righstat in Vampiri Amanti (1971), dopo essere stato la voce del narratore nel precedente Yorga il Vampiro (1970) e varie apparizioni televisive tra cui uno degli episodi di Ai Confini della Realtà (1959) intitolato Long Morrow.

Così è per Douglas Kennedy il cui vero nome era però Harve Garrison, nato a New York il 14 settembre del 1915 e morto a Honolulu, dove si era ritirato per motivi di salute, il 10 ottobre del 1973.

Per gli altri evitateci ulteriori necrologi e credeteci sulla parola… anche se, alla fine, non possiamo passare sotto silenzio la scomparsa della protagonista Beverly Garland, proveniente dalla scuderia di Roger Corman.

La ricordiamo affettuosamente in Il Conquistatore del Mondo, Kurussù, la Bestia delle Amazzoni, anche se con la fantascienza non ha nulla a che fare in realtà, Il Vampiro del Pianeta Rosso, in un episodio de Ai Confini della Realtà, L’Esperimento del Dottor Zagros, in un episodio del serial Il Pianeta delle Scimmie, L’Uomo da Sei Milioni di Dollari, altro serial, e ancora Lois & Clark – Le Nuove Avventure di Superman (sei episodi), Spider – Man il TV serial, accumulando qualcosa come un totale di 192 interpretazioni.

(3 – continua)

Giovanni Mongini