Come abbiamo ormai avuto modo di vedere in molte occasioni, il genere horror è stato spesso oggetto di contaminazioni da parte di altri filoni: ad esempio l’ironia o la commedia (in casi come i due episodi dei "Gremlins", "Scuola di mostri", "Una notte in Transilvania", "Il mio amico vampiro") o la fantascienza (come nelle saghe di "Alien" e "Predator") e così via, in un crescendo di sottogeneri sempre più in via d’espansione, fino ad arrivare a non sapere più distinguere il confine tra il cinema dell’orrore e altre tematiche, cioè fino a non capire più bene all’interno di quale categoria inserire un determinato film.
Una delle contaminazioni meno usate, e forse per questo meglio riuscite, è l’opera horror-rock.
Tutto iniziò nel lontano 1974, quando Brian de Palma scrisse e diresse la versione rock de “Il fantasma dell’opera” di Leroux intitolandola “Phantom of the Paradise” (in Italia “Il fantasma del palcoscenico”). Il film, interpretato dall’autore delle canzoni Paul Williams, da William Finley e da una giovane Jessica Harper, mescola le caratteristiche del fantasma di Leroux con quelle di un novello Faust di Goethe, infarcendo il tutto di ottima musica rock psichedelica. La storia è quella di un discografico, Swan, proprietario della Death Records, che costringe un compositore sfigurato (proprio a causa di Swan) a scrivere un’opera rock ispirata al dramma di Faust per l’apertura del Paradise, il Tempio della Musica. Il fantasma, ovviamente il giovane musicista, non tarderà a vendicarsi, scoprendo addirittura il segreto del discografico e della sua apparente “eterna giovinezza”, un patto con Satana proprio come il Faust.
L’anno seguente una combriccola di pazzi scatenati capitanati da Jim Sharman e Richard O’Brien diede vita al più famoso fenomeno di spettacolo mai visto: “The Rocky horror picture show”. Il film, seguito da moltissime trasposizioni teatrali, vedeva la partecipazione di attori e attrici del calibro di Tim Curry, Susan Sarandon, Patricia Quinn, Meatloaf e dello stesso Richard O’Brien, autore delle musiche e della sceneggiatura con l’amico regista Jim Sharman. La storia è un “helzapoppin” di musica, ironia, trasgressione, horror e fantascienza: Brad Majors e la fidanzata Janet Weiss capitano, costretti a cercare riparo da un improvviso temporale, al castello del Barone Frank’N’Furter (e non Frank’N’Wurstel come nei sottotitoli italiani), proprio durante la fase cruciale del suo più artido esperimento, la creazione di un essere perfettamen tebello, il Rocky del titolo appunto. Fra splendide canzoni e rapporti sessuali etero/bisessuali, sempre però velati da una tagliente e sottile ironia (soprattutto per quei tempi), si viene a scoprire che il Barone è in realtà un extraterrestre proveniente dal pianeta Bisesso della lontana galassia Transylvania (sic!). Alla fin ei nostri eroi riusciranno a salvarsi grazie all’intervento di un emerito professore loro amico, il dottor Everett Scott, e di Riff Raff (Richard O’Brien, il maggiordomo) e Magenta (Patricia Quinn, la cameriera), rivelatisi questi ultimi agenti speciali alieni che controllavano da tempo le nefandezze del Barone e aspettavano il momento opportuno per intervenire.
Nel 1981 arriva “Shock treatment”, sempre della coppia O’Brien/Sharman: si tratta del seguito ideale di “The Rocky horror picture show”, che vede però reclutata solo Patricia Quinn dal vecchio cast, oltre naturalmente a Richard O’Brien, ancora una volta autore della sceneggiatura e delle canzoni. In questo sequel, troviamo Brad (stavolta interpretato da Cliff DeYoung) e Janet (impersonata da Jessica Harper, già vista ne “Il fantasma del palcoscenico”) sposati, ma in crisi. La coppia decide di partecipare ad un quiz televisivo per rompere la monotonia della loro vita, ma improvvisamente si trovano catapultati in un mondo distorto, pieno di gente strampalata. Ben presto Janet mostra di apprezzare la sua nuova vita in televisione e inizia a dimenticare Brad, che invece è stato rinchiuso in un manicomio. Il marito, deciso più che mai a tornare nel nostro universo insieme alla moglie, tenta il tutto per tutto per riconquistare la libertà e soprattutto l’amore della sua compagna.
Nel 1986 arriva, dopo cinque anni, l’ultimo film horror musicale degno di nota: si tratta della trasposizione cinematografica di un’opera teatrale, a sua volta ispirata ad un film del mitico Roger Corman, “The little shop of horrors”, in italiano “La piccola bottega degli orrori”. E’ la storia di Seymour (Rick Moranis, già visto anche nei due “Ghostbusters”), stupido garzone di un fiorista, che scopre una pianticella mai vista. Dopo aver cercato di nutrirla in tutti i modi, alla fine, suo malgrado, il ragazzo scopre che la pianta è assetata di… sangue! Da qui inizierà, tra belle canzoni e gag divertenti, un’avventura tra il comico, l’orrorifico e il fantascientifico (già, perché poi si scoprirà che Audrey II, la pianta carnivora nel frattempo diventata gigante, è pure un essere alieno) che porterà alla fine alla soppressione del mostro affamato (ma sarà poi vero? Dal finale parrebbe di no!) e all’happy end con tanto di matrimonio. Invitati (al film, non a nozze): Bill Murray, John Candy, Steve Martin, James Belushi fra i tanti.
Nel 2005, dopo 19 anni, l’horror musical torna a fare capolino al cinema con "Il fantasma dell’opera" di Joel Schumacher: questa volta il regista non propone un’opera rock come Brian de Palma, ma si ispira al musical che Andrew Lloyd Webber (l’autore anche di "Cats") aveva confezionato per il teatro qualche tempo prima. Quindi non più canzonette, ma veri e propri pezzi di grande musica. La storia più o meno è la stessa di Leroux: dai tunnel che si snodano sotto il Teatro dell’Opera di Parigi, una voce misteriosa chiama la ballerina Christine Daae per coltivare il tuo talento innato. Solo la direttrice del ballo sa che quello che la ragazza chiama il suo "Angelo della musica" è il realtà il noto Fantasma dell’Opera, un geniale musicista sfigurato che abita nei sotterranei e semina il terrore da anni. Un grande film che trasporta il pubblico oltre i confini del teatro per un musical che è il più visto del mondo.
Originariamente pubblicato sul numero 6 de LA ZONA MORTA, aprile 1991
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, agosto 2007
28/09/2007, Davide Longoni