Personaggi
- Giorgia Ferrarin, Erika Ferrari & Alessia Leblis, delle adolescenti del luogo.
- Padre Arles, uno strano prete morto da anni.
- Ermanno Burgio, unico abitante rimasto a Saletta, un tossicodipendente.
- Nina Balzaretti, la bibliotecaria di Asigliano.
- Germano Vittone, un proprietario terriero.
- Bruna Bertinetti, la donna coi cani.
- Daniele Pavia, docente di scuola media.
- la pitonessa, sacerdotessa d’una setta di ragazzini che si riunivano al tabernacolo nel 1979.
- la dama bianca, una figura trasparente che si muove lungo i campi, armata di rasoio.
- la bambina bianca, forse una fantasma della mente?
9 – Casa abbandonata (Romolo Grano)
La casa sorgeva lontano dalla strada e da altre abitazioni. Attorno solo i campi solcati dalla riga dei trattori. Rigagnoli e fili di paglia sfuggiti ai roghi d’ottobre. La luce grigia del cielo rendeva difficile distinguere l’avvicinarsi della sera. Bruna Bertinetti era seduta davanti alla specchiera del bagno. Rimirava nell’ovale i segni del tempo su un viso un tempo bellissimo. Tutto in lei era precocemente sfiorito. Le rughe, il trucco vistoso, gli abiti extralarge, tradivano una donna omai alla fine della vita. Eppure Bruna aveva soltanto 52 anni. Da quando ne aveva 17 aveva lavorato in una fabbrica di cerniere, rovinandosi la vista, le mani e la schiena. Quando l’azienda era stata ristrutturata nell’Est europeo era rimasta a casa ad accudire la madre anziana. Alla morte di questa, Bruna non trovò di meglio che fare le notti in ospedale, al capezzale di ammalati in fin di vita. Anche quella sera avrebbe dovuto passarla all’ospedale di Vercelli tra padelle e pappagalli. Chissà cosa avrebbe pensato di lei padre Arles se l’avesse vista prigioniera di quel corpo macilento. L’avrebbe derisa, oppure l’avrebbe compatita. O nessuna delle due. Padre Arles era morto da moltissimo tempo e con lui le sue parole, le sue promesse. Da ragazza aveva creduto che sotto la realtà nella quale viveva ce ne fosse un’altra e che fosse possibile passare da un velo a un altro. Aveva creduto che fosse possibile sfuggire alla morte e scappare altrove. Oggi l’unica maschera che le rimaneva era quella di un trucco dozzinale comprato alla profumeria del Carrefour. Per riti, danze e magie non c’era spazio in quel mondo dove ai più spettava solo scegliere tra il pane e la morte. Bruna rimase a carezzarsi i lineamenti gonfi, in cerca anche solo di un riflesso perduto di ciò che era stata. La distolse il telefono. Forse uno dei parenti dell’ammalato che doveva accudire. Controllò l’ora. Le conveniva spicciarsi e guidare fino alla città con la sua Daewoo Matiz blu. Sollevò la cornetta. Una voce femminile che parlava oltre i bordi del tempo. Una voce che proveniva da 36 anni prima. Una voce che la conosceva. Conosceva il suo passato. Pitonessa. Dove ti sei nascosta in tutti questi anni. Che pelle hai mutato? La pelle dello squallore. Della sconfitta. Era questo che cercavi? No, rispose alla voce. Sei stanca? Sì, rispose. Ora io verrò a liberarti. La linea cadde. Il silenzio della sua casa le sembrò troppo vasto. Inebetita cercò le chiavi della Daewoo, ma le dita le tremavano. I suoi cani abbaiavano fuori nel giardino. Bruna aveva bisogno del loro conforto. Si mosse nella penombra ingombra di oggetti desueti, provando a schiacciare l’interruttore della luce. Le lampadine non si accesero. Qualcosa di oscuro le oscillava nella gola. Bruna avanzò con cautela lungo il corridoio, cercando di notare il più piccolo movimento. Passò davanti al bagno e notò la finestrella a mezzaluna aperta. Allora un gemito soffocato le sfuggì dalla gola e un getto d’orina le imbrattò le intimità. Nella casa c’era qualcuno. Bruna respirava a fatica e sudava. Provò ad avanzare ancora ma inciampò in qualcosa e cadde con la faccia in avanti, sbattendo il mento sulle piastrelle di cotto. Forse perse i sensi e quando riaprì gli occhi tutto era nero intorno a lei. Tastò per sollevarsi e le sue dita agguantarono la forma che le aveva fatto perdere l’equilibrio. Una bambolina nuda, con degli spilli conficcati negli occhi. Una bambolina identica a quelle che aveva lasciato penzolare dai rami delle querce 36 anni prima. Una torcia si accese nel buio e le accecò gli occhi. Bruna cercò di proteggersi con una mano. Sentiva il sangue scorrerle sulle gengive scheggiate. Una forma nera avanzava dal fondo del corridoio, illuminando il pavimento su cui era stesa. Bruna notò una specie di cerchio tracciato con della vernice attorno a lei. Come un cerchio magico, una stella a 4 punte. Tutto come allora, pensò. Solo che non sono più io l’eletta, la sacerdotessa, la pitonessa. Questo pensò prima che la figura biancastra le rovesciasse addosso una pentola di acqua bollente. L’urlo straziante della donna coprì lo sfrigolio della carne. Vesciche biancastre si aprirono sulla pelle, lasciando scorrere fuori fiotti di sangue. La figura s’accoccolò sui talloni e rimase incantata a studiare gli ultimi rantoli di Bruna. Quando si stufò sollevò la pentola e la schiantò sul cranio spelato della moribonda…
…Tutte le religioni hanno mentito, promettendo la salvezza. Tutti hanno fallito. Non lei. Non ancora. Loro la seguivano, ipnotizzati dalle movenze umbratili di quel corpo trasparente. Burgio, sempre bisognoso di una guida, di qualcuno che gli dicesse cosa fare, come comportarsi. Giulia, la più piccola del gruppo, fresca rosa parrocchiale in odor di verginità. Germano, figlio di coltivatori del luogo, dal futuro già certo, spianato dai soldi di famiglia. Nina, la bella del paese, oca giuliva convinta che tutto le sia dovuto, che ogni cosa, dopotutto andrà bene.
Quella era la sua loggia.
Si sarebbe servita dei loro occhi, palcoscenici in cui inscenare la sua fuga, la trasmigrazione. Perché il tarlo della morte era ovunque intorno a lei. Sull’autostrada, in ogni corteo, in ogni treno o stazione squarciata dalle bombe, in ogni piazza. Presto l’avrebbe riconosciuta allo specchio, nel riflesso futuro delle sue rughe…
Così, imbrunire dopo imbrunire, si recavano al tabernacolo e inscenavano i loro riti da film di genere. E i bigotti contadini dei dintorni non mancarono d’accorgersi di quelle figurine che percorrevano i campi e s’immergevano sotto le querce di Saletta, per riemergere a notte fonda. Furono i loro timori religiosi a chiedere lumi ai carabinieri locali…
(9 – continua)