GLI SQUALI SECONDO ENZO G. CASTELLARI… E NON SOLO!

Nel 1975 Steven Spielberg gira Jaws (Lo squalo), un successo popolare senza precedenti, un film fantastico ma non troppo, dai grandi effetti speciali che fa leva sulle paure recondite del pubblico. Lo squalo è pur sempre una presenza dei mari, una minaccia possibile, pure se (almeno alle nostre latitudini) poco probabile. L’idea del film americano è originale. L’azione si svolge ad Amity, sulla costa atlantica, dove uno squalo bianco gigantesco (meccanico e finto, ovviamente) fa strage di bagnanti. Il sindaco non vuol chiudere la spiaggia per non far crollare gli affari ed è lui il personaggio negativo che più dello squalo porta morte e distruzione. Le parti migliori della pellicola si svolgono in mare e ci mostrano la lotta tra il cacciatore Robert Shaw, l’oceanografo Richard Dreyfuss, il poliziotto Roy Scheider e il terribile animale. Lo squalo è tratto dal romanzo di Peter Benchley che lo sceneggia insieme a Carl Gottlieb. Uno dei più grandi successi commerciali della storia del cinema che fa la fortuna di Spielberg e che resta impresso nell’immaginario dei ragazzini degli anni Settanta. La locandina con in primo piano i denti aguzzi del feroce squalo non si dimentica facilmente. E poi il film è tecnicamente pregevole, lo squalo meccanico è gigantesco e credibile, come la storia è ben raccontata secondo la tecnica della suspense. Lo squalo sta a metà strada tra il film d’avventura puro con fascinazioni da Moby Dick e il cinema horror di classe, un prodotto che funziona e che affascina milioni di spettatori in tutto il mondo. Tanto è vero che se ne fanno tre sequel tutti molto inferiori all’originale: Lo squalo 2 di Jeannot Szwarc (1978), Lo squalo 3 di Joe Alves (1983) e Lo squalo 4 – La vendetta di Joseph Sargent (1987). Tre pellicole dove ci si limita a riprodurre in fotocopia la sceneggiatura del primo film con poche varianti e pochissima suspense.

Il successo statunitense de Lo squalo di Spielberg non può lasciare indifferente il mercato del cinema di genere italiano, sempre pronto a sfruttare le mode che vengono da oltreoceano riadattandole in salsa nostrana. Ci prova Ovidio Assonitis con un pessimo film come Tentacoli (1976) che racconta le avventure di una piovra gigante impegnata a terrorizzare bagnanti sulla spiaggia di Solana Beach. La storia è la stessa de Lo squalo, si fanno pochi sforzi per essere originali, cambia solo il mostro marino. Un film che dispone di un grande cast, pure eccessivo per una boiata del genere: Henry Fonda, John Huston, Shelley Winters, Bo Hopkins e Delia Boccardo. Assonitis per non sfigurare si fa chiamare Oliver Hellman.

L’orca assassina di Michael Anderson (1977), invece, è un’imitazione de Lo squalo opera di un regista statunitense, prodotta da Dino de Laurentiis, ben girato, con un ottimo cast composto da Richard Harris, Charlotte Rampling e la giovanissima Bo Derek. Per non parlare della colonna sonora di Ennio Morricone e della sceneggiatura curata da Luciano Vincenzoni e Sergio Donati. Tutto parte da un romanzo americano, scritto da Arthur Herzog. Un film d’avventura retorico quanto spettacolare, che racconta di un’orca assassina inferocita per la morte della compagna incinta e in lotta con il pescatore Richard Harris.

Gli statunitensi imitano Lo squalo con un paio di film che vedono protagonisti i pirañas, altro pericolo dei mari tropicali. Si tratta di Piraña di Joe Dante (1978) e di Piraña paura di James Cameron (1981). I temi sono gli stessi de Lo squalo, solo che qui il bacino è infestato da pirañas che massacrano bagnanti. Piraña di Joe Dante sembra una parodia in piccolo del film di Spielberg, mentre il film del debuttante Cameron non è un sequel vero e proprio ma un’orribile pellicola che parla di pesci volanti assassini.

Dopo aver fatto questa rapida carrellata sui principali squalo – movie e sui vari imitatori, dobbiamo dire che Il cacciatore di squali di Enzo G. Castellari (1979) si ritaglia una ben precisa originalità.

Il film è una produzione italo – spagnola scritta e sceneggiata da una vera e propria équipe dove lavorano anche tre italiani: Alfredo Giannetti, Gisella Longo, Tito Carpi, James Comas Gill e Jesus R. Folgar. La fotografia (ottima) è di Paul Perez Cubero e il montaggio (serrato) di Gianfranco Amicucci. Le musiche dei fratelli Guido e Maurizio De Angelis conferiscono un certo ritmo alla pellicola nei momenti di maggiore azione. Le scenografie sono di Gisella Longo che lavora pure a soggetto e sceneggiatura. Produce Enzo Doria per Tei Film di Roma e Arco Film di Madrid. Interpreti: Franco Nero, Werner Pochat, Mark Forrest, Mirta Millar, Jorge Luke, Eduardo Fajardo, Patricia Ribeiro, Enio Girolami e Rocco Lerro.

La cosa più bella del film è l’ambientazione caraibica, pure se sembra che Castellari lo abbia girato a Malta, in Sardegna, al Circeo, ad Atalanta, in Nuova Zelanda, forse qualche scena pure a largo di Miami, ma nessuna nei Caraibi. La trama si racconta rapidamente. Franco Nero è Mike Di Donato, un cacciatore di squali che si è ritirato a vivere su un’isola caraibica dopo aver perso moglie e figlio in un tragico incidente stradale. Non solo. Era entrato a far parte di una fantomatica organizzazione malavitosa e scortava un aereo con a bordo centomila dollari, precipitato nell’oceano. È l’unico sopravvissuto di quel tragico incidente e adesso, con la scusa degli squali, si tuffa in mare per cercare di recuperare i soldi. Nell’avventura si fa aiutare dal simpatico Acapulco (Jorge Luke), personaggio efficace e comico quanto basta per essere un’ottima spalla di un glaciale Franco Nero. A un certo punto l’organizzazione viene a sapere che Mike è vivo e manda i suoi uomini a recuperare i soldi. Si scatena una lotta all’ultimo sangue tra Donovan (Mark Forrest), il capitano Gomez (Eduardo Fajardo) e il perfido Ramon (Werner Pochat) per il possesso dei dollari. Juanita (Patricia Ribeiro), la compagna del cacciatore, viene barbaramente assassinata da Ramon che subito dopo subisce una spietata vendetta. Nell’ultima avventura in fondo al mare muore Acapulco, il cacciatore uccide Gomez e nel rocambolesco finale torna a essere amico di Donovan. I soldi fanno la felicità dei poveri abitanti dell’isola caraibica perché si disperdono nel vento e cadono dal cielo lungo le strade del paese. Il cacciatore è contento perché in quel modo ha soddisfatto l’ultima volontà dell’amico Acapulco.

Il cacciatore di squali è un film di pura azione, di quelli che piace tanto fare a Castellari, proprio il genere di pellicola che dimostra tutta la sua perizia tecnica. La musica dei fratelli De Angelis (che ricorda la ben nota Dune Buggy firmata come Oliver Onions) ci introduce in un ambiente paradisiaco, una spiaggia bianchissima e un mare incontaminato, palme, avvoltoi che solcano il cielo e subito incontriamo gli occhi di ghiaccio del cacciatore. Franco Nero indossa una parrucca bionda che molti critici hanno definito kitsch, mentre è solo in linea con il personaggio interpretato. Niente a che vedere con il cattivo gusto. Il carattere del cacciatore di squali è espresso con poche parole e molte immagini, il personaggio vive con una ferita nell’anima (la perdita della famiglia), non vuole un nuovo legame affettivo con una donna, vive per la caccia agli squali e con l’idea fissa di recuperare il tesoro. Sono da rivedere tutte le sequenze di pura azione con Franco Nero cacciatore sui generis. Sistema grandi esche di carne, cerca di tirare a riva l’animale, sale in barca e lo insegue con l’arpione, poi lo cattura, infine il tramonto tropicale chiude la giornata di pesca e ci introduce al mondo intimo del cacciatore. La fotografia sottomarina è ottima, grandi riprese di fondali tropicali con veri squali (non sono certo feroci) ripresi da vicino. Nelle prime sequenze ascoltiamo poche parole e vediamo molta azione, sufficiente a spiegare quel che lo spettatore deve sapere. Ottime anche le scene di azione di stampo pugilistico, a base di pugni e cazzotti, altra specialità di Castellari; la prima scena di questo tipo si registra nel bar dove Franco Nero conosce il futuro amico Acapulco. Le sequenze di caccia agli squali sono altamente spettacolari e originali, ma tra tutte citiamo la parte in cui il protagonista si getta su uno squalo dall’alto di un parapendio, stringendo un coltello tra i denti. Un’eccellente scena di azione, molto realistica, sottolineata dalla musica dei fratelli De Angelis, che si conclude con Nero che abbranca lo squalo e lo uccide. Il montaggio di Gianfranco Amicucci aiuta il film a esprimere al meglio tutte le sue potenzialità. Da notare che Enzo G. Castellari è impegnato nella pellicola anche come attore, pure se dice poche battute. Interpreta uno dei sicari della famigerata organizzazione ed è quello che a un certo punto prende a pugni Franco Nero scaraventandolo in una pozza d’acqua. Jorge Luke nei panni di Acapulco affianca Franco Nero e sdrammatizza la tensione nei momenti più pesanti, le sue trovate comiche fanno sorridere e moderano la suspense. Franco Nero rende bene il carattere del cacciatore con uno sguardo da duro e pose da uomo di poche parole, tutto d’un pezzo, pervaso da un profondo senso di giustizia. Momenti interessanti della pellicola sono un paio di flashback durante i quali Franco Nero ricorda il passato, la famiglia distrutta e l’incidente aereo. Sogni terribili che lo fanno svegliare, gli tormentano l’anima, al punto che lo spettatore comprende il dramma interiore del cacciatore. La sua filosofia di vita è cambiata, non è più lo stesso uomo di un tempo, spesso afferma: “Dagli squali so come difendermi, dagli uomini no”. Un’altra parte interessante viene subito dopo l’uccisione di Juanita, unico amore del cacciatore sulla sperduta isola tropicale. Ramon è il colpevole, Mike lo insegue sino a catturarlo e ucciderlo con due colpi di pistola sparati nel petto. Una lunga sequenza di pura azione che alterna inseguimenti e sgommate in auto – stile poliziottesco – su strade che costeggiano una costa tropicale. Subito dopo assistiamo a un inseguimento a piedi per le vie del paese e in un deposito di bottiglie con relativa sparatoria che ricorda il cinema western. In questa parte Castellari contamina tre generi: avventuroso, poliziottesco e western. La corsa termina al mare e l’inseguimento prosegue con un deltaplano mentre l’omicida è scappato in motoscafo tra paesaggi stupendi, mangrovie e cayos che fuoriescono da acque limpide. La fine del criminale è spettacolare con Franco Nero che scende le scalette del deltaplano e lo fredda mentre si trova alla guida del motoscafo. Vendetta è compiuta. La parte finale della pellicola vede la caccia ai soldi nascosti in fondo al mare che tra colpi di scena e azioni spettacolari lascia il cacciatore e Donovan unici superstiti ma senza soldi.

Il cacciatore di squali è un ottimo film d’azione, originale rispetto alla ridda di emulatori de Lo squalo di Spielberg perché ha una sua dimensione filmica e una storia da raccontare. Non possiamo condividere lo sprezzante giudizio di Marco Giusti che su Stracult scrive: “Cultissimo squalo – movie alla Castellari con Franco Nero nella sua forse peggiore interpretazione di ogni tempo. Non lo aiuta un parruccone pazzesco e la sceneggiatura che gli impone di rincorrere gli squali a nuoto per farli secchi”. Giusti prosegue il commento confondendo Il cacciatore di squali con L’ultimo squalo (non è errore da poco), parla di squali meccanici che si rompono e di una testa che resta l’unica cosa utilizzabile nel finale del film. Ne Il cacciatore di squali non c’è neppure l’ombra di squali meccanici, magari sono squali tigre, squali inoffensivi, ma sono tutti squali veri. Paolo Mereghetti è soltanto un poco più generoso (una stella e mezzo): “Le avventure sono senza fantasia, ma Nero con parrucca bionda e occhio sbarrato è entrato nel pantheon del kitsch. L’abbinamento delle musiche di Guido e Maurizio De Angelis col montaggio di Gianfranco Amicucci rende comunque piacevoli le scene d’azione”. Morando Morandini è il più condivisibile (due stelle): “Una storia di avventure esotiche adatta anche ai ragazzi. Paesaggi suggestivi, bella fotografia e ritmo sostenuto”.

Il cacciatore di squali, sull’onda della imperante squalomania, registra un grande successo al botteghino. Non solo in Italia, ma in mezzo mondo. Incassi meritati perché è un film originale.

L’ultimo squalo (1980) invece, è un film costruito sulla falsariga de Lo squalo di Spielberg con l’unico scopo di ricalcarne il successo commerciale. Lo avrebbe dovuto scrivere Dardano Sacchetti perché la sceneggiatura esistente non funzionava, ricordava troppo il film americano, ma poi non se ne fece niente perché Castellari aveva già redatto gli storyboard e girò la sua versione. L’ultimo squalo lo scrive (sarebbe più opportuno dire lo copia…) Ugo Tucci e lo sceneggia Vincenzo Mannino. La fotografia è di Alberto Spagnoli, le musiche sono di Guido e Maurizio De Angelis, le scenografie di Francesco Vanorio, il montaggio di Gianfranco Amicucci, gli effetti speciali di Antonio Corridori. Lo squalo meccanico è una creazione di Giorgio Ferrari e Giorgio Pozzi. La fotografia subacquea (ottima) è di Arnaldo Mattei e Giancarlo Formichi Moglia. Producono Maurizio Amati e Ugo Tucci per Uti e Horizon. Distribuzione Variety. Il cast è in gran parte nordamericano: James Franciscus, Vic Morrow, Joshua Sinclair, Micaela Pignatelli, Giancarlo Prete (si fa chiamare Timothy Brent), Stefania Girolami, Gian Marco Lari, Massimo Vanni, Enio Girolami.

Il film è un vero e proprio rifacimento in salsa italiana del capolavoro di Spielberg. La storia è quasi identica, anche in questa pellicola c’è il solito villaggio turistico terrorizzato da un gigantesco esemplare di squalo bianco. L’unica differenza sta nel fatto che abbiamo un aspirante sindaco (Joshua Sinclair) che intende far disputare una regata di windsurf a ogni costo. Uno scrittore (James Franciscus) e un esperto cacciatore di pescecani (Vic Morrow), affronteranno la bestia marina. Le autorità locali vogliono insabbiare la vicenda per non perdere credibilità alla vigilia delle nuove elezioni. Il futuro sindaco tenta di uccidere lo squalo ma viene risucchiato in mare con il suo elicottero e subito dopo divorato. Ci rimette le gambe anche la giovane figlia dello scrittore, interpretata da Stefania, la figlia di Castellari. Un intenso finale registra la morte del lupo di mare ma subito dopo lo scrittore riesce a far saltare in aria lo squalo con una carica di dinamite che l’amico teneva legata al cinturone. Lo sceneggiatura è copiata dal kolossal americano ma Castellari realizza un lavoro interessante che dimostra tutta la sua tecnica e la predisposizione a girare cinema avventuroso. Gli effetti speciali sono poveri e rozzi, lo squalo meccanico è realizzato con poche lire, un animatronix che si muove a fatica, pare un fantoccio di gomma. Verso la fine del film le cose peggiorano perché i meccanismi si guastano ed è possibile utilizzare soltanto la testa per le scene girate fuori dall’acqua. Il film è realizzato senza grandi mezzi, girato tra gli Stati Uniti e in Sicilia, solo per questo va apprezzato, con poche risorse fornisce due ore di divertimento e di pura azione. Citiamo alcuni momenti splatter interessanti: il pescecane stacca di netto le gambe al sindaco, la figlia dello scrittore viene azzannata dallo squalo, infine le sequenze finali vedono la zattera presa d’assalto dal mostro marino che divora le gambe a tutti coloro che sono nei paraggi. La pellicola riscuote un incredibile successo commerciale, persino negli Stati Uniti incassa quasi quanto il primo capitolo della serie originale: 18 milioni di dollari nel primo mese. La Universal sta realizzando Lo squalo 3 ed è infastidita dalla presenza del film italiano al punto di promuovere una causa per plagio. Non è difficile vincere la causa per la grande casa nordamericana, anche perché di fatto la sceneggiatura è costruita a imitazione del film di Spielberg. Tutto si risolve con il ritiro delle copie del film di Castellari in distribuzione negli Stati Uniti e con il blocco dell’uscita in Inghilterra. In Italia la pellicola viene distrutta dalla critica, come consuetudine per il cinema di genere, ma incassa molto ed è tra i successi della stagione cinematografica, presentato furbescamente come un sequel de Lo squalo. L’ultimo squalo registra ottimi incassi nel resto del mondo, pure in Sudamerica e in Asia. Castellari va fiero del suo film soprattutto per i trucchi poveri ma ben realizzati: “Abbiamo ricostruito lo squalo meccanico con la stessa professionalità degli americani, con meno soldi, usando tanta fantasia e un pizzico di furbizia. Tecnicamente rimane il mio film migliore” (Spaghetti Nightmares). Marco Giusti stronca senza pietà (Stracult): “Un po’ meno comico de Il cacciatore di squali… un quasi remake dei primi due Jaws… troppo copiato per essere davvero di culto…”. Paolo Mereghetti: “Il mostro meccanico è quasi immobile e l’insieme è prevedibile”. Riconosciamo la poca originalità della storia, ma il film merita di essere visto per la spettacolarità di alcune scene d’azione e per la perizia tecnica con cui è girato e fotografato. Ottime riprese sottomarine, buoni effetti speciali, sufficiente tensione narrativa e, quando entra in azione lo squalo che azzanna e distrugge, le scene sono credibili. Una delle parti più riuscite vede lo squalo portarsi in fondo al mare il sindaco con il suo elicottero. La sequenza finale sulla zattera e la rocambolesca fine dello squalo che viene fatto saltare in aria sono un gioiello del cinema d’azione. Senza contare che il finnico Renny Harlin, riprenderà anni dopo la sequenza dello squalo che trascina l’elicottero negli abissi in Blu profondo (Deep Blue Sea, 1999), produzione hollywoodiana ad alto budget. Si poteva evitare la scena patetica della figlia dello scrittore senza una gamba e il padre al capezzale che ricorda quando le insegnava ad andare in bicicletta. Una parte da lacrima movie che contamina il cinema avventuroso. Certo, l’accusa di plagio ci sta tutta: i personaggi interpretati da Franciscus e Morrow sono identici a quelli di Dreyfuss e Shaw ne Lo squalo di Spielberg e la storia, salvo poche varianti, è la stessa.

Terminiamo la rassegna degli squalo movie con Bruno Mattei, l’ultimo dei nostri artigiani, che fino alla fine cerca di far rivivere ogni genere cinematografico del passato. Cruel jaws (1995) è una pellicola girata in gran parte con materiali di recupero che possiede Gaudenzi, mentre le nuove sequenze sono girate a Miami. Barbara Di Girolamo da questo film in poi comincia a collaborare con Mattei come aiuto regista, collaboratrice alle sceneggiature e in sede di organizzazione. Bruno Mattei firma la regia come William Snyder e il montaggio con il proprio nome, soggetto e sceneggiatura sono del regista con la collaborazione di Robert Feen e Linda Morrison, la fotografia è di Luigi Ciccarese, le musiche sono di Michael Morahan. Produce Production Group. Interpreti: David Luther, Scott Silveira, Kirsten Urso, George Barnes Jr., Richard Dew e Sky Palma. Il tentativo è quello di inserirsi nel sottogenere degli animali feroci che tanto ha dato al cinema bis, seguendo il successo internazionale de Lo squalo (1975) di Steven Spielberg, già ampiamente imitato da registi italiani. Il titolo Cruel jaws richiama molto da vicino il titolo inglese Jaws (Fauci) del film progenitore di una serie di sottoprodotti che in ogni caso presentavano motivi di interesse. Il film di Mattei obiettivamente non dice niente di nuovo, ma è un remake de L’ultimo squalo (1981) di Enzo G. Castellari con molte scene di repertorio per le parti subacquee.

Gordiano Lupi

(tratto dal libro “Mare blu, morte bianca – Guida ragionata al cinema degli squali” a cura di Nico Parente, Edizioni Il Foglio Letterario)