1. Fantascienza, postatomico, cyborg e i nostri B-movies
In Italia il cinema di fantascienza non ha mai avuto molti estimatori e tra i registi che l’hanno praticato ricordiamo con piacere Antonio Margheriti che comunque non ha mai conquistato le più vaste platee. Pure Luigi Cozzi ha provato a fare cose dignitose come Starcrash (1978) e Contamination (1979), ma non ha avuto il successo che meritava. La fantascienza italiana ha risentito più di altri generi della endemica mancanza di fondi che ha sempre caratterizzato il cinema italiano. Non è facile realizzare cose stile Star Wars a basso costo e questo ha fatto sì che il genere sia rimasto a lungo confinato in una cerchia ristretta di appassionati. Tanta fantascienza italiana si caratterizza per recitazione approssimativa, effetti speciali risibili e sceneggiature zoppicanti, se non proprio scopiazzate dal modello americano di riferimento.
Nel 1965 Antonio Margheriti sforna in tre mesi quattro film fantascientifici: I criminali della galassia, I diafanoidi vengono da Marte, Il pianeta errante e La morte viene dal pianeta Aytin. Alfonso Brescia nel 1977-78, sulla scia del successo di Star Wars, gira cinque titoli a basso costo: Anno zero - Guerra nello spazio, La bestia nello spazio, Cosmo 2000 – Battaglie negli spazi stellari, La guerra dei robot e Sette uomini d’oro nello spazio. Ciro Ippolito gira un grottesco Alien 2 sulla Terra, ispirato al capolavoro di Ridley Scott e anche questo va citato.
I nostri B-movies dipendono dai successi di oltre oceano, così agli inizi degli anni Ottanta sono Interceptor e 1997: fuga da New York ad aprire la strada al filone postatomico. I primi lavori di questo tipo sono: 1990: i guerrieri del Bronx e Fuga dal Bronx entrambi di Enzo G. Castellari, seguono 2019: dopo la caduta di New York di Sergio Martino, Anno 2020: i gladiatori del futuro di Aristide Massaccesi e in seguito I guerrieri dell’anno 2072 di Lucio Fulci, Il mondo di Yor di Antonio Margheriti e I nuovi barbari, ancora di Castellari. Alla metà degli anni Ottanta nasce la moda dei cyborg con Terminator e Robocop. I nostri artigiani girano: Vendetta dal futuro (Sergio Martino, 1986), Cyborg – Il guerriero d’acciaio (Giannetto Rossi, 1989), Robowar (Vincent Dawn, alias Bruno Mattei, 1989), a base di automi e viaggi nel tempo.
2. Filmografia essenziale del postatomico italiano
1990: i guerrieri del Bronx di Enzo G. Castellari (1982)
Fuga dal Bronx di Enzo G. Castellari (1983)
I nuovi barbari di Enzo G. Castellari (1983)
Anno 2020: I gladiatori del futuro di Joe D’Amato (1983)
Endgame – Bronx lotta finale di Joe D’Amato (1983)
I guerrieri dell’anno 2072 di Lucio Fulci (1983)
2019: dopo la caduta di New York di Sergio Martino (1983)
I predatori di Atlantide di Ruggero Deodato (1983)
L’ultimo guerriero di Romolo Guerrieri (1983)
Il giustiziere della strada di Giuliano Carnimeo (1984)
3. Il primo postatomico, 1990: i guerrieri del Bronx
Il postatomico è un sottogenere tutto italiano che si ispira a film statunitensi come I guerrieri della notte di Walter Hill (1979), 1997: fuga da New York di John Carpenter (1981), e australiani come Interceptor (noto anche come Mad Max) di George Miller (1979).
C’è da dire che di solito i prototipi d’oltre oceano non vengono mai plagiati, ma sono sfruttati per reinventare e rinfrescare un filone. Il primo film italiano che inaugura il sottogenere risale al 1982 ed è 1990: i guerrieri del Bronx di Enzo G. Castellari, prima pellicola di una trilogia post-olocaustica di tutto rispetto che comprenderà anche I nuovi barbari (1983) e Fuga dal Bronx (1983). Il primo e il terzo film sono sequel l’uno dell’altro, mentre I nuovi barbari si presenta come una pellicola a sé stante e di fatto è l’unico vero postatomico della trilogia. Analizziamo i film di Castellari cominciando proprio con 1990: i guerrieri del Bronx e Fuga dal Bronx.
1990: i guerrieri del Bronx è un film prodotto da Fabrizio De Angelis per Deaf Film International e distribuito da Fulvia Film. Il soggetto è di Dardano Sacchetti, un vero esperto di cinema d’azione, che lo sceneggia insieme alla moglie Elisa Briganti e allo stesso regista. I costumi e le scenografie (suggestive) sono di Massimo Lentini, gli effetti speciali di Antonio Corridori e le musiche di Walter Rizzati. Il montaggio è di Gianfranco Amicucci e la fotografia di Sergio Salvati. Interpreti: Mark Gregory (Marco De Gregorio), Christopher Connelly, Vic Morrow, Fred Williamson, Stefania Girolami (la figlia del regista), Enzo Girolami (Castellari con il suo vero nome fa una piccola parte da poliziotto), George Eastman (Luigi Montefiori), John Sinclair, Betty Dessy, Rocco Lerro, Massimo Vanni ed Angelo Ragusa. Gli interni sono girati alla De Paolis, mentre gli esterni sono davvero nel Bronx di New York.
1990: i guerrieri del Bronx (1983) esaspera la violenza e le ambientazioni dei film americani e si basa su una trama ben congegnata e originale. Il Bronx appare come un ammasso di palazzi in rovina, edifici fatiscenti e labirinti sotterranei popolati da bande che lottano tra loro per il predominio criminale. Lo scenario descritto da Castellari è apocalittico ma non così futuro, visto che l’azione è ambientata solo sette anni più tardi e per questo motivo diciamo che siamo in presenza di un postatomico molto sui generis. Una multinazionale controlla tutta la città, tranne il Bronx, dichiarato zona pericolosa e divenuto covo di ribelli e anarchici. Ann, la figlia del capo della multinazionale (Stefania Girolami, figlia del regista) si ribella al padre e scappa nel Bronx in mezzo alle bande dei rivoltosi. Ann rischia di essere catturata dagli Zombi, una gang del sottosuolo che sembra composta da giocatori di hockey, ma viene liberata da Trash (il palestrato Mark Gregory, alias Marco De Gregorio), un guerriero che percorre il Bronx a bordo di una moto e che si innamora di lei. Il padre della ragazza manda al suo inseguimento Hammer, un poliziotto sadico e spietato, che con le truppe speciali di sterminatori scatena l’ultimo, grande massacro nel castello del capo di tutte le gang, Ogre (Fred Williamson). Nella strage muore anche la ragazza. Trash la vendicherà e con lei vendicherà pure la sua gente dei soprusi subiti dal mondo esterno. Questa è la storia del film, che Castellari contamina con citazioni (Trash, Zombi, Sharks, Golem…) e sottogeneri (horror-splatter, western-spaghetti…), creando un film d’azione dal ritmo serrato. Interessante tutta la parte di azione di una pellicola che vede pure una bella ricostruzione futura di un Bronx caduto nelle mani delle bande. Si tratta di un film di pura azione che gli amanti dei dialoghi eleganti e gli esteti del cinema di pensiero non ameranno, ma è pur sempre una pellicola girata con perizia tecnica, montata a dovere e con una scenografia affascinate che si avvale pure di un commento musicale capace di rendere bene il senso di cupo squallore. Sono interessanti tutti gli episodi di scontri tra bande motorizzate, così come sono suggestive le moto con i teschi e le spranghe dei giocatori di hockey che all’occorrenza diventano armi micidiali. Ottime pure le riprese sulle rive dell’Hudson mentre un componente della banda di Trash suona la batteria e celebra il funerale di un uomo infilzato da un legno che viene ripreso in primo piano da un’inclemente macchina da presa. Le parti di pura azione sono spettacolari, sia quando si tratta di scontri tra bande avversarie truccate come Pierrot surreali, sia quando c’è di mezzo la polizia che tenta di accerchiare il Bronx con camionette e guerrieri vestiti con tute d’amianto. Il tenente Hammer, un giustiziere che va a caccia di criminali nel Bronx, spara colpi micidiali da un fucile a canne mozze che sembra una lupara, fa saltare candelotti di dinamite e genera scompiglio nei sotterranei. Lo scenario è tipico dei film apocalittici: case diroccate, ubriachi che vagano e frugano nella spazzatura per rimediare un pasto, moto che corrono, palazzi e costruzioni abbandonate. Su tutto risalta la musica sintetica, ripetitiva e funebre, che Walter Rizzati ha composto per l’occasione e che serve a creare un senso di desolazione. Il difetto principale del film, a mio parere, è nella recitazione approssimativa e soprattutto la scelta del protagonista non è stata molto felice. Marco De Gregorio è un bel culturista palestrato di diciassette anni che manda in visibilio il pubblico femminile, ma è un po’ come far fare ad Anna Falchi la protagonista di un film avventuroso. La bellezza non basta, serve anche saper recitare e De Gregorio è sempre fuori tempo, impacciato, goffo, in ogni occasione sfoggia la stessa espressione stupita in volto e meno male che lo doppiano, così non lo sentiamo parlare con la sua vera voce. Il film risulta pure un po’ lento rispetto ai corrispettivi americani che fanno da modello e ci sono sequenze troppo lunghe, tipo quella che mostra il funerale dei compagni uccisi dal tenente Hammer che vengono cremati e le loro ceneri sono gettate nell’Hudson. Ottima è invece tutta la sequenza di lotta tra i micidiali giocatori di hockey che tendono un agguato e colpiscono a morte in pattini a rotelle e mazza. Sono loro che catturano la ragazza dopo aver neutralizzato Trash con una rete. Nei sotterranei vivono diverse bande e ognuna ha il suo luogo di appartenenza che non va oltrepassato. Un’altra parte molto curata vede una banda di ballerini surreali che indossano cilindro e vestito argentato, sono dipinti in volto nei modi più strani e colpiscono a tempo di musica usando sbarre di ferro. A capo del gruppo c’è una fascinosa mulatta che pare invaghita di Trash e lo libera a tempo di tip tap, subito dopo vediamo anche una banda di straccioni vestiti di juta che combatte a colpi di bastone. A mio parere si tratta di scene geniali che testimoniano inventiva da parte di regista e sceneggiatore. Un traditore nel gruppo fa il doppio gioco, sta dalla parte della multinazionale che vuole evacuare il Bronx e aiuta il tenente Hammer che uccide i vari criminali. Quando la polizia fomenta la guerra nel Bronx ricordiamo alcune scene splatter girate con perizia tecnica notevole, tipo l’esibizione di una testa mozzata che è un efficace effetto speciale. Ricordiamo anche la regina di una banda con le unghie a lama che uccidono e la suggestiva tenuta da hockey della banda più pittoresca che sfoggia pattini, casco bianco, racchetta, tuta con ginocchiere e protezioni imbottite per le spalle. Il capo dei micidiali giocatori di hockey viene ucciso e la figlia ribelle del padrone delle multinazionali è libera. La resa dei conti finale è tra il traditore che fa fuori un poliziotto con la lama delle sue scarpe e Trash. L’eroe buono ha la meglio come in ogni buona favola che si rispetti e il traditore finisce infilzato da una lama nel costato dopo aver fatto un gran volo in una fossa. Il film termina con la polizia che controlla a bordo di elicotteri e camionette e alla fine attacca il Bronx. Pare che per Trash ci sia ancora un pericolo prima di scrivere la parola fine e infatti si scatena una guerra selvaggia tra la polizia che distrugge e incendia il Bronx e le bande del sottosuolo. Si parteggia per i disperati, come è logico. Muore anche la ragazza tra le braccia di Trash e lui al massimo della disperazione si vendica sparando un colpo di arpione ed eliminando il tenente Hammer. L’ultima scena vede Trash trascinare il cadavere del giustiziere agganciato alla moto.
“Segno Cinema” scrive che Trash è “l’autocoscienza ontologica di un sottogenere” e non è certo un complimento né al film né al postatomico italiano. Vero è che non lo possiamo definire un capolavoro ma 1990 ha almeno il merito di essere il primo emulo italiano di un certo cinema d’oltreoceano. Marco Giusti su “Stracult” lo distrugge, ma a lui Castellari non piace proprio, basta leggere per intero quello che scrive. “Dopo i poliziotti violenti, i cittadini che si ribellano, gli squali con pochi denti, Castellari passa al futuro violento alla Mad Max – Fuga da New York. Ne vien fuori un film fracassone e violento che avrà molti seguiti (in realtà soltanto uno – nda). Ai ragazzi piace, c’è sangue, è inventivo, un po’ punk”.
Su 1990 sono andato a sentire anche l’opinione autentica di Dardano Sacchetti che ha scritto il soggetto e ha realizzato la sceneggiatura insieme alla moglie e allo stesso Castellari.
“Il film nasce dalla volontà del produttore di copiare I guerrieri della notte. Fu proprio De Angelis a chiamarmi e a dire che voleva fare qualcosa del genere, non era la prima volta che accadeva con De Angelis… Quindi il mio compito ingrato era quello di capire qual era l’idea di base e poi di riuscire a modificarla e realizzarla tenendo conto dei pochi mezzi economici a disposizione. Il film è stato girato per buona parte in Italia (a parte gli esterni che sono davvero nel Bronx – nda) e soprattutto contava molto economizzare su tutto. Il risultato è quello che tutti possono vedere. I guerrieri del Bronx ha un titolo molto efficace ma non è un film postatomico, io lo definirei un film che aveva bisogno di inventarsi una realtà girabile con pochi soldi. L’attore era una vera frana e fu scelto da Castellari in persona, frequentatore di palestre, che un bel giorno venne in ufficio dicendo di aver scoperto una nuova star. La verità era che il palestrato di turno non sapeva neanche camminare e tanto meno correre. Il seguito invece non l’ho scritto io perché costavo troppo, neanche mi fu detto che l’avrebbero fatto. Ho avuto a che fare con Castellari anche per L’ultimo squalo, dove c’era una sceneggiatura che non funzionava e ricordava veramente troppo il film di Spielberg. In una settimana cercai di cambiare quello che potevo, ma Castellari aveva già fatto gli storybord e girò la versione precedente invece della mia. Enzo è un bravo regista, in certe circostanze un eccellente regista d’azione, quando ha la storia giusta, i mezzi giusti e gli attori giusti fa cose notevoli, secondo me è adatto solo per i film d’azione che gira con uno spirito più rambesco che epico”.
Il giudizio di Sacchetti è sin troppo drastico perché il film, pur di chiara ispirazione dal modello americano, ha i suoi aspetti di originalità, è ben girato e si fa guardare con piacere ancora oggi. Ma pure il critico Paolo Mereghetti non va tanto per il sottile e definisce 1990 “un plagio de I Guerrieri della notte e di 1997: Fuga da New York, girato in loco ma senza badare al sottile”. Il giudizio finale vale al film una misera stella che Morandini aumenta di mezza nel suo Dizionario, mentre Farinotti è il più buono e la porta a due.
Ecco, pure secondo noi il film merita al massimo due stelle, non andiamo oltre per via di una recitazione approssimativa e di evidenti debiti di ispirazione con i modelli americani. Ma la scenografia, il montaggio e una regia attenta valgono un giudizio di sufficienza.
Il plagio con I guerrieri della notte di Walter Hill (1979) che pure è il modello seguito per la scrittura del film, secondo me è evitato da una certa originalità di temi e soprattutto da un diverso metodo di regia che sfrutta molto la violenza e lo splatter. La sceneggiatura invece realizza una bella e variegata umanità di personaggi che popolano il Bronx e che si distinguono da quella creata da Hill. Il film americano è un piccolo capolavoro del cinema di azione che resta impresso nell’immaginario collettivo e che al tempo venne accusato in maniera assurda (come i suoi emuli) di fomentare la violenza giovanile. I guerrieri della notte è tratto dal romanzo omonimo di Sol Yuríck e vuole essere una versione contemporanea della “Anabasi” di Senofonte, pur concedendo molto al cinema horror, al western e al musical. La storia non è la stessa di 1990, perché nel film americano incontriamo il capo della potente banda dei Riff che vuol farla finita con la guerra e riunisce le altre bande per prendere possesso della città. Il capo viene ucciso e la colpa ricade sui Warriors che vengono inseguiti da tutti e per loro comincia una fuga senza tregua.
4. Fuga dal Bronx, un ottimo sequel
Mark Gregory è il protagonista anche del secondo capitolo girato nel Bronx di New York, il miglior film in assoluto del postatomico all’italiana, quel Fuga dal Bronx (1983) che dipinge un futuro disperato, cupo e privo di speranza, dove regnano incontrastate morte e distruzione. La multinazionale dell’episodio precedente vuole radere al suolo il Bronx per costruirvi un quartiere tecnologico. Uno spietato mercenario, Wangler (Henry Silva) comanda i Disinfestors, truppe speciali armate di lanciafiamme, assoldate dal capo della multinazionale e pronte a far fuori chiunque si opponga al progetto. Trash con i suoi ribelli rapisce il presidente e alla fine uccide Wangler, dopo un bagno di sangue finale degno di un film di guerra.
Fuga dal Bronx (1983) è scritto da Tito Carpi che lo sceneggia insieme al regista, mentre la fotografia è di Blasco Giurato e il montaggio di Gianfranco Amicucci. Le musiche sono di Francesco De Masi e i costumi di Riccardo Petrazzi (che funge anche da maestro d’armi). Produce Fulvia Film che pensa anche alla distribuzione. Il film è girato per gli interni negli Studi De Paolis mentre gli esterni sono a New York. Interpreti: Mark Gregory (Marco De Gregorio) Henry Silva, Anna Kanakis, Ennio Girolami, Valeria D’Obici, Antonio Sabàto, Timothy Brent (Giancarlo Prete), Massimo Vanni, Eva Czemerys, Moana Pozzi, Romano Puppo, Carla Brait, Maurizio Fardo, Tom Felleghi, Salvatore Ferrari.
Questo interessante sequel sfata la regola per cui il primo film di una serie è sempre il migliore e la cosa più interessante da segnalare sono le scene splatter e le sequenze shock. Basta pensare alle ripetute uccisioni dei ribelli con i lanciafiamme e alla scene terribili dove vengono trucidati i genitori di Trash. Soprattutto questa ultima parte è davvero cruda e intrisa di drammatico lirismo quando Trash vede le salme bruciate e fa fuori alcuni sciacalli che svaligiano la casa. La tecnica cinematografica è più alta che nella prima pellicola e rende la narrazione scorrevole e fluida con numerosi rallenty stile Sam Peckinpah e lunghi carrelli laterali alla Carpenter. Il Bronx, i bassifondi e le realtà sotterranee sono ben descritte dal regista che le carica di un fascino cupo. Castellari e Carpi vogliono dire che la violenza per la violenza viene sempre da un mondo esterno ipertecnologico, mentre le bande del sottosuolo seguono regole e codici comportamentali legati a una vecchia tradizione cavalleresca. Il potere dei dollari corrompe e provoca stragi, mentre la povera gente che vive nel Bronx è disperata e disadattata, ma in quel mondo selvaggio e degradato conserva grande umanità.
Non possiamo dire (come molti critici fanno) che Fuga dal Bronx è un plagio di 1997: Fuga da New York di Carpenter (1981). Il futuro immaginato da Carpenter fa da base al film di Castellari e Carpi, l’ispirazione viene di sicuro da quel modello, ma la storia italiana elimina l’ironia di Carpenter ed è molto più cattiva. Il futuro è descritto in tutta la sua crudezza e il film risulta innovativo rispetto alla pellicola statunitense. Castellari costruisce il suo modello preferito di cinema basato sulla pura azione e gira un film all’americana. Sono davvero ottime le sequenze girate a bordo di elicotteri che riprendono le fughe del protagonista tra tubi d’acciaio e sotterranei, mentre viene bersagliato da lanciafiamme e raffiche di mitra. La scenografia ripete gli ambienti del primo film e vede Trash a bordo della moto con il teschio scolpito sul manubrio e la polizia vestita di amianto che uccide con i lanciafiamme. Ottime le sequenze di lotta, tutti i corpo a corpo, le uccisioni a colpi di fuoco e le bombe che esplodono e distruggono le case. Da segnalare gli uomini bomba che saltano in aria appena toccati e massacrano, congegni viventi utilizzati per uccidere che adesso non sono più fantascienza ma preoccupante realtà. Apprezzabile pure il discorso di sinistra che Castellari imposta in questa New York del futuro che vuole disfarsi del Bronx, ma non per realizzare una città perfetta e ordinata che vuole mettere al bando emarginazione e violenza. Le menzogne della multinazionale coprono solo sporchi interessi economici alla base di una guerra ai poveri che vengono uccisi e deportati. Il discorso mi pare molto attuale e si può estendere a molte situazioni contemporanee dove si parla di esportare la democrazia a colpi di bombe intelligenti. La parte in cui viene rapito il presidente della multinazionale è forse la peggiore del film perché risente di un montaggio poco serrato, ci sono troppi tempi morti e pare che il regista tiri solo ad allungare il brodo. La pecca maggiore però è la recitazione. Mark Gregory non ha certo imparato niente dalla prima esperienza ed è sempre più goffo e impacciato. Anna Kanakis nel ruolo della giornalista ribelle è quasi peggio di lui ed è doppiata malissimo. Meno male che il suo avversario è l’ottimo Henry Silva, una sicurezza nei ruoli da cattivo del cinema di genere italiano. Henry Silva è il terribile Wangler che in una sequenza afferma: “Io sono il peggiore di tutti” e si comporta di conseguenza, subito dopo rincara: “Il caffè lo prendo amaro, idiota!”. Wangler passa da un padrone all’altro, non ha un codice di onore e uccide per gusto. Forse la sua è una caratterizzazione un po’ troppo fumettistica anche per via della buffa tuta nera con le spalle imbottite che è costretto a indossare. Il film però è fantastico e risulta molto vicino al mondo dei fumetti, quindi l’interpretazione di Silva ci può stare. Antonio Sabàto è un po’ eccessivo nel suo gergo latinoamericano fatto di smorfie e risate imbarazzanti, ma nel complesso è da salvare. Troviamo pure una Moana Pozzi alle prime armi in un ruolo marginale (recita con il suo nome) che la vede morire dopo poche scene. Pure lei come Mark Gregory è molto bella ma la sua recitazione non eguaglia la presenza di scena.
Secondo me Fuga dal Bronx è un ottimo film, forse il miglior postatomico girato in Italia, che Castellari realizza con estrema cura e attenzione. Questo film ancora oggi trasmette allo spettatore un senso di insicurezza per il futuro e un cupo terrore, forse più oggi che ieri, visto che in parte la fantascienza sta diventando realtà. La cronaca quotidiana è piena di scenari apocalittici che non si limitano al Bronx. La descrizione pessimistica della società prossima ventura è fatta tramite una buona dose di sequenze shock e splatter che ricordano gli horror di Lucio Fulci. Non condivo il giudizio negativo di Marco Giusti che pone la sua attenzione soltanto sulla presenza di Moana Pozzi e su “Stracult” scrive: “Ammettiamolo, non è girato benissimo”. Non lo ammetto perché secondo me non è per niente vero.
5. I nuovi barbari, un vero postatomico
Il terzo postatomico di Castellari non ha niente a che vedere con i primi due, soprattutto perché è un postatomico in piena regola che si svolge in un futuro sconvolto da una grande guerra nucleare. In questo film apprezziamo tutto lo stile vigoroso e inconfondibile del regista che lo porta a esplorare con la sua macchina da presa il cinema avventuroso e di azione, caratteristica che fa impazzire Quentin Tarantino. Sgombriamo subito il campo dall’equivoco che Castellari abbia girato una trilogia postatomica, dato che I nuovi barbari (1983) non ha niente in comune con i due film ambientati nel Bronx.
I nuovi barbari è un film prodotto da Fabrizio De Angelis, girato in tre settimane nelle campagne romane, mentre gli interni sono stati realizzati alla De Paolis. Il soggetto è di Tito Carpi che lo sceneggia insieme al regista, la scenografia di Antonio Visone, la fotografia di Fausto Zuccoli e il montaggio di Gianfranco Amicucci. I costumi sono di Mario Giorgi, le musiche sintetiche e cupe sono composte da Claudio Simonetti ed eseguite con bravura da Claude King. Le numerose scene acrobatiche sono merito di Riccardo Petrazzi e gli effetti speciali (molto economici) di Germano Natali. Interpreti: Timothy Brent (alias Giancarlo Prete), Fred Williamson, George Eastman (Luigi Montefiori), Anna Kanakis, Thomas Moore (Enio Girolami), Venantino Venantini, Massimo Vanni, Giovanni Frezza, Iris Peynado, Andrea Coppola, Vito Fornari, Zora Kerova, Fulvio Minguzzi, Enrica Saltutti e Marinella Troian.
Nel film tornano alcuni attori di 1990: I guerrieri del Bronx, ma i loro ruoli non sono gli stessi e soprattutto l’ambientazione è del tutto diversa. Siamo nel 2019 e il mondo è stato devastato da una grande guerra nucleare, soltanto pochi uomini si sono salvati e i terribili Templars si sono arrogati il compito di cacciare e uccidere i superstiti. Inutile dire che lo schema è quello dell’australiano Interceptor di George Miller girato nel 1979 (noto anche come Mad Max). Nel film con Mel Gibson ci troviamo in un futuro prossimo dove la violenza regna sovrana e il poliziotto Mad Max (Gibson) si trasforma in giustiziere per vendicarsi di una banda di motociclisti che ha ucciso sua moglie. Il film ha due sequel: Interceptor, il guerriero della strada (1981) e Mad Max, oltre la sfera del tuono (1985), dove Mel Gibson si consacra grande attore del cinema di azione e Miller si sbizzarrisce creando opere di puro stile. Si tratta di tre pellicole che ci scaraventano in un paesaggio da olocausto postatomico che vede l’umanità tornare al Medioevo e alle guerre tra bande. Il deserto australiano è una scenografia più intrigante della campagna romana e il film è realizzato con eccellenti effetti speciali che non risentono di un low budget. Interessante la contaminazione voluta tra fantascienza, fumetto e cinema western che troviamo pure nei lavori italiani realizzati a ispirazione di questi modelli. Ricordiamo che nel 2015, senza Gibson, è uscito anche Mad Max – Fury Road, sempre diretto da Miller che si presenta come una rivisitazione della saga precedente.
I nuovi barbari introduce nella narrazione lo schema dello spaghetti – western e vede Timothy Brent (Giancarlo Prete) nei panni di Skorpion, un eroe solitario alla Mel Gibson che difende i sopravvissuti dagli attacchi dei Templars, folli assassini capitanati da One (l’ottimo Montefiori), feroce individuo che vuole ripulire il mondo da quel che resta della razza umana. Le scene splatter e gli episodi di uccisioni spettacolari si sprecano, tanta gente viene orribilmente massacrata e anche Skorpion è catturato e torturato. Da citare l’episodio di sodomizzazione da parte di One che lega l’eroe e prima di ucciderlo (ma la cosa non gli riesce) gli impone un’estrema umiliazione. Il finale invece ricorda lo spaghetti - western con una specie di duello all’ultimo sangue che è un chiaro omaggio a Per un pugno di dollari di Sergio Leone (1964) e alla celebre sparatoria tra Clint Eastwood e Gian Maria Volonté. Prete affronta Montefiori con una corazza antiproiettile nascosta sotto il poncho e lo uccide dopo un lungo e spettacolare inseguimento.
I nuovi barbari è il più debole tra i postatomici di Castellari, il meno coinvolgente, pure se è ricco di buoni effetti gore e splatter, oltre ai riferimenti a Mad Max e ai western di Leone, Corbucci e Damiani, ricchi di violenza e di ambientazioni cupe e desertiche. Lo stesso Castellari ha girato Keoma, un ottimo western del 1975, e rivendica così la paternità del postatomico. Proprio al western all’italiana Castellari sembra attribuire la paternità della sua fantascienza, cinica e disperata, infarcita di violenza, ma lineare nello svolgimento di un racconto che ha per protagonisti buoni che non sono poi così buoni e cattivi che potrebbero benissimo essere i buoni, o che almeno hanno dei buoni motivi per essere cattivi. Il regista realizza una via originale al sottogenere estremizzando tutti gli elementi dei prototipi americani e reinventando una tipologia di storia che ormai aveva già detto tutto. Al cinema italiano di genere va riconosciuto il merito di non essersi mai limitato all’assimilazione passiva di cose già viste, ma di rielaborarle con ossessioni e manie tipicamente italiane, offrendo pellicole più violente e spietate, sicuramente diverse da quelle prodotte negli USA. Questo processo di trasformazione lo troviamo nel western, negli horror e nei poliziotteschi degli anni Settanta e nella fantascienza dei primi anni Ottanta. Negli anni Novanta il cinema di genere muore lentamente e di stile italiano possiamo parlare solo riguardo al cinema porno. Il grande schermo è preda solo di film dalle pretese intellettualistiche che spesso tradiscono le aspettative.
Tornando a I nuovi barbari c’è da dire che non si tratta certo di un capolavoro, pure se il film ha una sua originalità e si connota per un’ottima regia e alcuni effetti speciali interessanti. Le camionette, le moto e le auto da futuro postatomico sono davvero divertenti, sembrano bianche scatolette di latta e spesso gli scontri ricordano il Luna Park, ma tutto sommato la finzione è credibile. Sono di un certo interesse gli attacchi dei Templars che ricordano il western all’italiana, con gli ultimi superstiti della razza umana che si dispongono in cerchio e si difendono stile carovana assalita dai banditi. Le scene di azione sono molto ben fatte. Ricordiamo moto che volano, corpi che esplodono e che vengono incendiati, inseguimenti che si concludono con lame che staccano le teste e lance acuminate che penetrano nel costato. I costumi dei Templars sono molto buffi, di colore bianco e molto imbottiti, sembrano giocatori di football americano. Montefiori è molto bravo nella parte dello spietato One che odia i libri (“sono la rovina del mondo, maledetti…”) e li distrugge in maniera simbolica, ma odia pure il genere umano che non merita di vivere e va estirpato prima che produca nuove distruzioni. Interessante come viene ricostruito tutto lo scenario apocalittico che vede anche una specie di tribù di lebbrosi fasciati da garze bianche aggirarsi come sciacalli affamati tra i poveri resti dei morti. Giancarlo Prete è bravo (si doppia pure da solo), non è Mel Gibson però ci prova a rendere credibile questa figura di Skorpion, un giustiziere che si innamora di Alma (la bella ma inespressiva Anna Kanakis) e difende gli uomini dalla furia dei Templars. Enio Girolami è il bambino intelligente e tecnologico che lo aiuta nella lotta finale e pure lui è piuttosto bravo in una parte non facile. La trama è inconsistente, il film si regge solo su lotte e inseguimenti, sulla pura azione guidata dai cattivi che distruggono e uccidono, cercano la morte per il gusto della morte.
I nuovi barbari ha il difetto non da poco di essere molto fumettistico, ricco di battute scontate che si potevano evitare e pieno di dialoghi penosi, ma dobbiamo ricordare che fu girato in tre settimane e che i mezzi a disposizione erano davvero pochi. C’è pure una scena d’amore tra Prete e la Kanakis riparati da una tenda verde, sequenza abbastanza atipica per Castellari che se può evita questo genere di contaminazioni. Infatti la scena non è certo il massimo dell’erotismo, si capisce che il regista è più a suo agio con il linguaggio del puro cinema di azione. Le sequenze splatter alla Fulci invece sono una delle cose migliori, teste che esplodono e membra che saltano in aria, corpi mozzati che si dividono in due o che vengono trafitti a morte. Tutto molto credibile. Gli inseguimenti sono fatti molto bene, soprattutto i tentativi di arrembaggio alle auto dei Templars da parte di Prete che spesso vanno a buon fine. Un altro personaggi interessante è Nadir, eroe che aiuta Skorpion nella sua impresa e che combatte con un arco di precisione che lancia proiettili esplosivi. Nadir è interpretato da Fred Williamson, attore bravo e credibile. Anna Kanakis è la bella Alma e di lei abbiamo già detto che la sua recitazione non è proprio da Actor’s Studio, ma in compenso indossa un costume molto sensuale che mette in mostra le lunghe gambe. Una parte debole del film è quando Skorpio, Nadir e Alma incontrano un gruppo di uomini che credono in Dio, guidati da un pastore di nome Mosè, e nessuno di loro sa chi sia questo Dio, come se fossero passati secoli dall’esplosione nucleare. Pure qui pare di vedere i mormoni e i predicatori del cinema western che di solito fanno una brutta fine sotto i colpi di miscredenti pistoleros. Irys Peinado è una bella attrice mulatta che fa una breve apparizione e dà vita a una piccola parte erotica insieme a Williamson che non è proprio il massimo. Castellari non è regista da cinema erotico, questo è fuori discussione. Molto trash anche la già citata scena della sodomizzazione di Skorpion da parte di One, lo spettatore resta un po’ sconvolto perché è davvero una punizione inaspettata. La parte finale invece è un interessante omaggio allo spaghetti – western con i Templars che assediano i religiosi disposti a cerchio ancora una volta come nei vecchi assalti alla diligenza. Nadir, Skorpion e il bambino sconfiggono i Templars dopo una lotta all’ultimo sangue. Interessante il sermone di One che è un vero santone del male: “Non c’è niente per cui valga la pena vivere, l’anima è morta, la speranza è morta, l’umanità non è degna di vivere…”. La musica sintetica la fa da padrone ed è la colonna sonora perfetta che accompagna lo spettatore in un crescendo di violenza e nella desolazione di una terra sconvolta dove la speranza è morta. Il finale è in puro stile western con i due eroi solitari che si salutano e ognuno prosegue per la sua strada, consapevoli che se ci sarà bisogno si rivedranno.
I nuovi barbari viene massacrato da Paolo Mereghetti che concede solo una stella al film motivando che “Castellari scopiazza dal filone fantasy senza la minima originalità”. Il consiglio finale, che vi invito a disattendere, è “assolutamente da evitare”. Sarei curioso di sapere se la rivalutazione compiuta da Tarantino ha prodotto una modificazione di opinioni così prevenute sul cinema di genere italiano. Marco Giusti non è meno duro: “Postnucleare stracomico… sembra la parodia di Abatantuono e dei suoi babbari (ma cosa c’entra? – nda)… Così così…”. A Giusti il cinema di Castellari proprio non piace, c’è poco da fare. Pino Farinotti è il critico più generoso e attendibile: concede due stelle e assolve il film con un giudizio di piena sufficienza.
Gordiano Lupi
(tratto dal libro “Il cittadino si ribella – Il cinema di Enzo G. Castellari” di Gordiano Lupi e Fabio Zanello, Edizioni Profondo Rosso)