Stefano Simone ha incontrato Ruggero Deodato nella sua abitazione romana per filmare una conversazione su alcuni temi cinematografici, pubblicata nel dvd Cappuccetto Rosso, distribuito da Il Foglio Letterario Edizioni all’interno dei volumi Orrori sepolti e Racconti sepolti. (…) Riportiamo la trascrizione fedele di quanto dichiarato dal regista, optando per conservare la freschezza del parlato, senza correggere congiuntivi e aggiustare frasi. Si tratta di un colloquio e tale deve rimanere…
La tecnica
Il montaggio ce l’ho in testa. Quando studio una storia, me la leggo diverse volte fino a che non diventa mia. La storia deve essere mia. A quel punto mi appartiene. L’attore è inutile che viene preparato con una cosa sua che ha sognato la notte e fa la cosa sua. No. Deve fare la cosa che ho deciso io. Perché ormai il film è mio. E gli devo dare la mia impronta. Per cui non guardo più niente. Guardo la mia storia e la racconto in quel modo. Non c’è verso. Ultimamente ho scritto una storia molto bella e poi mi sono affiancato a due sceneggiatori, più come uditori che come collaboratori, perché l’uditore fa sì che io parlo, straparlo, correggo… Quando loro tiravano fuori delle idee io gliele bocciavo. Pensavo a una cosa mia e la buttavo fuori. Loro restavano un po’ interdetti poi mi davano ragione. Alla fine dei quattro giorni passati insieme, in campagna, a casa mia, uno di loro mi ha detto: Tu non sei un suggeritore di storie. Tu imponi. E io impongo sì, perché la mia storia me la devo fare da solo. È mia, completamente mia. Mi è piaciuta. La devo fare io. Io scrivo la storia. L’ambientazione deve essere scelta da me. Difficile che uso scenografi da teatro, preferisco la realtà. Gli attori me li scelgo da solo. Non uso il casting. A parte quando faccio la fiction. Lì sei obbligato da Rai e Mediaset a prendere chi vogliono loro. Nel cinema vero sulla scelta dell’attore conta solo la mia decisione. Ho una tecnica tale che mi permette di fare un film low budget e di farlo sembrare ad alto budget. Ho fatto i videoclip, la pubblicità, se ho 50 persone so fare in modo che sembrino 600. So come fare, come usare gli obiettivi. Penso che tutto questo sia dovuto alla mia bravura da artigiano. Quando ho fatto Cannibal holocaust per conferire realtà alle scene, per far sembrare un film vero, ho adottato tutt’altro che la tecnica cinematografica per far credere al pubblico che fosse uno snuff-movie. Pensa alla tecnica per tagliare un braccio: se uso il sistema cinematografico prima faccio la totale, poi vado sul dettaglio del braccio finto e lo taglio. Io ho cercato di cambiare questo schema per dare realismo. Questo vale per il cinema mio, per Cannibal holocaust e Inferno in diretta. Nel cinema normale uso la tecnica cinematografica. Molti mi accusano di cambiare la sceneggiatura. Ma è un insegnamento che mi viene dal mio maestro Rossellini. Un creativo sul posto. Rossellini non aveva sceneggiature. Mai. Girava con dei suoi appunti e creava sul momento. Ho dovuto spesso girare film in luoghi diversi da dove era stato stabilito perché magari veniva un vigile e mi imponeva di cambiare location. Mi dovevo adattare immediatamente e cambiando luogo modificavo anche la storia. Il mio pregio è che sono un grande tecnico. Purtroppo questa grande tecnica che possiedo mi provoca attacchi dai censori. Mi tagliano tutto. Ti mi dici cava un occhio a una persona e io lo cavo con la tecnica e lo schiaccio per terra con il tallone. Tutto questo grazie alla tecnica fotografica e cinematografica diventa un’esaltazione. Così se devo far piangere qualcuno per commozione anche lì vado sul pesante. Il pregio è che c’ho la tecnica e la applico in tutti i sensi, nella pubblicità, nel film melenso e nel film di crudeltà. Mi dà fastidio quando i giovani escono dal cinema e dicono: ben girato. Ben girato, cosa? Che m’interessa? Se è ben girato perché c’è lo spettacolo, ci sono scene acrobatiche, carri armati, aerei, uomini che si sporgono dai tetti, mi sta bene. Ma se un film viene fatto solo con un attore a che serve? Raccontami una storia. A cosa serve far muovere la macchina se il film non è spettacolare? In questa tecnica sono perfetti gli inglesi, come raccontano le storie loro non c’è nessuno.
La violenza nel cinema
Preferisco sempre andare sulla freddezza dell’immagine. Per esempio Tarantino mi piace perché lui è un violento freddo che mi spaventa. Il suo è un cinema freddo. Io non vado diretto come ci va lui. Io quando vedo i suoi film mi spavento, mi sento colpito. Pure lui, però, quando vede i miei film si spaventa. Ho assistito alla proiezione di Cannibal holocaust insieme a lui, vicino di posto, a Venezia, lui si tappava gli occhi e invece a me non fa nessun effetto vedere Cannibal holocaust. Non perché l’ho girato io, questo non c’entra niente, quando guardo un mio film divento uno spettatore medio, come se guardassi il lavoro di un altro. Il cinema di Tarantino è freddo, realistico. In Cannibal holocaust una cosa fredda, alla Tarantino, sono le fucilazioni che ho preso, quelle sono vere e mi danno la stessa sensazione dei suoi film. Il cinema di violenza a volte ha una valenza educativa, insegna qualcosa, trasmette un messaggio. Su Cannibal holocaust ho pensato che il messaggio non arrivava, invece arriva, il pubblico accetta la storia e va contro i giovani, si schiera a favore degli indios. È un film violento ma educativo, perché ho verificato in molte proiezioni che quando il proiezionista decide di buttare il film dei ragazzi, il pubblico tira un sospiro di sollievo.
Il mestiere del regista
Il regista è una figura che adesso viene troppo mitizzata. Tutti i giovani vogliono fare il regista. Fare il regista non è una cosa così semplice. Bisogna avere l’umiltà di apprendere prima di poterlo fare, se no resta un cinema che uno fa per se stesso e per i propri amici. Io ho fatto sessanta film come aiuto regista e al sessantesimo film ancora avevo paura di debuttare. Ero circondato da quattrocento registi famosi: Scola, Fellini, Pontecorvo, Comencini, Rossellini, Visconti, Risi, Monicelli… di tutto e di più. Adesso ce ne sono tre. Come faccio a inserirmi in mezzo a questi quattrocento registi? Mi sono detto che era inutile debuttare con un film impegnato, cosa che si attendevano tutti perché avevo un background molto forte. Invece ho debuttato con Donne… botte e bersaglieri (Deodato dimentica Ursus il terrore dei Kirghisi, che persino Margheriti gli attribuisce, forse non lo ritiene un lavoro del tutto suo, nda). Ho chiesto consiglio a Bolognini e ho debuttato. Ci vuole umiltà perché l’umiltà ti fa crescere. I primi film ti servono per scoprire la tua personalità, dopo cominci ad analizzare meglio le cose e a sentire un po’ di potere. Se sei valido se ne accorgono per primi i collaboratori, sono loro che definiscono il regista. Quando l’attore dopo due o tre consigli che gli hai dato ti guarda e prova rispetto capisci che sei maturo. Vale la stessa cosa per i tecnici. Puoi sbagliare, fare film su commissione e film giusti. Registi si diventa. Io non ho voluto sempre fare il regista. Io sono capitato a farlo perché abitavo nel palazzo di Rossellini.
Il digitale nel cinema
Se devo parlare di immagini dico che il digitale provoca problemi per gli esterni. Il digitale ha una pulizia d’immagine talmente forte che può andare bene per la fantascienza ma per un film realistico manca qualcosa. Manca qualcosa di sporco, mancano le sporcature per il cinema mio, c’è qualcosa che non funziona. Non va bene per i film realistici. Mancano i neri. Se devo fare la macchina a spalla, un lavoro documentaristico, digitale o pellicola forse è la stessa cosa, forse in quel caso non c’è problema.
Stefano Simone con la collaborazione di Gordiano Lupi e Anna Castigliego
(tratto dal libro “Storia del cinema horror italiano – Volume 3” di Gordiano Lupi, Edizioni Il Foglio Letterario)