ROBINSON CRUSOE SU MARTE (1964) – PARTE 02
MATANGO IL MOSTRO (Matango)
Questo è uno dei pochi film di Ishiro (o Inoshiro) Honda che vale la pensa di considerare a parte. L’opera di questo regista, infatti, ha conosciuto degli alti e bassi qualitativi notevoli. E’ indubbio che dopo il successo del primo Godzilla egli abbia accettato in pieno, forse con gioia, forse passivamente, il ruolo di regista di film per bambini girandone, o facendone girare ai propri collaboratori, con un ritmo vertiginoso e a tutto svantaggio del loro valore. A dire il vero la qualità sembra essere l’ultima cosa che interessi Ishiro Honda, sicché ci piace pensare che, almeno in Matango il mostro, egli si sia lasciato guidare, una volta tanto, dal suo vero estro costretto a restare sopito a favore dei facili successi commerciali.
La storia è raccontata dallo psicologo Kenji Murai (Akira Kubo) che ricorda come facesse parte di un gruppo di sette persone sullo yatch di un facoltoso imprenditore, Kasai (Yoshio Tsuchiya), il quale aveva proposto ai suoi amici una spensierata crociera sull’Oceano Pacifico. Gli altri componenti del gruppo sono: Akiko Soma (Miki Yashiro), una studentessa fidanzata di Murai, Mami Sekegughi (Kumi Mizuno), una cantante, poi c’è lo scrittore Etsuro Yoshida (Hiroshi Tachikawa) e, come componenti l’equipaggio, lo skipper Sakeda (Hiroshi Koizumi, 1926 – 2015) e il marinaio Kayama (Kenji Sahara).
Un uomo è rinchiuso in una piccola stanza che dà sulle luci di un’imponente e affascinante Tokyo notturna, volta le spalle a noi e ai suoi interlocutori.
Murai: “Questo è il reparto psichiatrico… Voi pensate che io sia pazzo, vero? Tutti i miei amici sono morti, tutti… No, sono io l’unico che è morto, è vero: loro vivi… e allora vorrete sapere perché non sono tornati, vero? Io voglio raccontarvi la storia, così vi convincerete che non sono pazzo…”
A causa di una violentissima tempesta i sette approdano su un’isola sconosciuta e priva di risorse naturali. Unica fonte di cibo sono dei funghi segnalati da una vecchia nave naufragata in quei lidi parecchio tempo prima e chiamati Matango. I passeggeri e l’equipaggio di essa sono però misteriosamente scomparsi. Costretti dalla mancanza di cibo, a uno a uno i naufraghi cominciano a mangiare gli strani funghi e, lentamente, si trasformano in uomini-fungo esattamente come era accaduto a coloro che li avevano preceduti e che ora vagano per l’isola in forme mostruose più o meno umanoidi a seconda da quanto tempo si stanno nutrendo della malefica pianta. Solo uno di loro riesce a prendere il mare su una zattera e a fuggire e ora sta parlando, nella penombra della stanza, a un gruppo di medici che lo stanno guardando da dietro le sbarre della cella dell’ospedale.
Murai: “…e allora arrivò la notte e poi il giorno e poi la notte ancora… Mi ricordo appena di quando fui salvato, ma ora mi dispiace che ciò sia accaduto… Se fossi stato veramente innamorato di lei avrei dovuto mangiare il fungo e diventare tale, almeno saremmo stati insieme, invece sono tornato per essere condannato come pazzo, non avevo scelta! Quanto tempo abbiamo sofferto la fame… Akiko, ti ho perduta! Ero confuso, non potevo decidere cosa fare e allora… allora li mangiai!”
Murai si volta verso la luce e mostra il suo viso deturpato dal fungo che sta crescendo sul suo volto, inesorabile. Uno dei medici che lo stanno guardando, esclama:
Medico: “Su, coraggio… devi considerati fortunato che qualcuno sia riuscito a trovarti.”
Murai: “Tu la pensi così? Tokyo non è molto diversa da quell’isola. La gente è crudele anche qui, vero? E’ tutto uguale… Io sarei più contento di vivere su quell’isola piuttosto che in questa città…”
La recitazione è stranamente convincente, l’ambientazione è angosciosa. Honda ricorre, crediamo per la prima volta nella sua lunga carriera, all’espediente di svelare pochissimo l’aspetto delle sue creature basandosi solo sull’ambientazione e un senso di mistero che, in certe sequenze, come per esempio quella finale che vede il protagonista disperso e sconvolto in mezzo ai funghi umani, raggiunge momenti altamente drammatici.
Come spesso avviene la qualità del film che è, come abbiamo detto, di parecchi punti superiore alla produzione corrente del regista giapponese, è andata a detrimento del successo commerciale. Il pubblico è abituato, nei film di Honda, a essere sommerso da mostri di ogni genere, pur se assurdi e mal realizzati e non ha accolto con lo stesso entusiasmo questa pellicola che ricorda assai da vicino uno dei più famosi racconti di William Hope Hodgson: Una voce nella notte che fu pubblicato nell’antologia: 25 Racconti del Terrore presentata da Alfred Hitchcock. In Italia il film è apparso, dopo molte titubanze, solo nel 1973, in pratica, circa dieci anni dopo la sua realizzazione.
(2 – continua)