EROTISMO, ORRORE E PORNOGRAFIA SECONDO JOE D’AMATO 03

Emanuelle nera e l’erotismo anni Settanta

Il filone esotico-erotico viene inaugurato in Italia da film come Bora Bora di Ugo Liberatore (1968) e da Io Emanuelle di Cesare Canevari (1969) con la bella Erika Blanc. Prosegue con Incontro d’amore a Bali sempre di Ugo Liberatore (1970) e con il mitico Il dio serpente di Piero Vivarelli (1970) che vede per la prima volta sul grande schermo la reginetta sexy Nadia Cassini. Poi vengono tutti i film con protagonista Zeudi Araya (soprattutto La ragazza dalla pelle di luna del 1972 e La peccatrice del 1975). Per una trattazione completa della materia consigliamo il bel volume di Antonio Tentori e Antonio Bruschini dal titolo Malizie perverse (Granata Press, 1993). Noi ci limitiamo all’analisi dei film di Emanuelle nera che sono a pieno titolo ascrivibili al filone esotico-erotico.

La serie di Emanuelle nera viene affidata a Joe D’Amato sulla scia del successo del film francese Emmanuelle (l’originale va scritto con due emme!) diretto da Just Jaeckin nel 1973 e interpretato dall’affascinante Silvia Kristel. Il film è una diretta filiazione dei romanzi sconvolgenti di Emmanuelle Arsan e dà il via a una serie di pellicole francesi, che vedono protagonista una ricca e annoiata signora sposata con un uomo d’affari che passa le sue giornate esperimentando le gioie del sesso. La serie italiana è apocrifa, per evitare l’accusa di plagio ribattezza la protagonista Emanuelle (con una emme sola) e la raffigura come una bella giornalista di colore che gira il mondo a caccia di scoop e di avventure erotiche. L’attrice simbolo di questa serie è Laura Gemser, una stupenda indonesiana dal corpo perfetto, generosamente esibito pellicola dopo pellicola.

C’è da dire che se la Gemser fu la prima attrice a interpretare questo ruolo non è altrettanto vero che fu Joe D’Amato l’inventore della serie apocrifa. Infatti il primo film è Emanuelle nera (noto in tutto il mondo come Black Emanuelle anche per merito della canzone) di Albert Thomas (l’italianissimo Bitto Albertini) girato nel 1975. La pellicola fu un successo, soprattutto per la bellezza sconvolgente di Laura Gemser (che viene citata con il nome d’arte Emanuelle nei titoli di testa e di coda) e per la stupenda musica di Nico Fidenco. Albertini prelevò la bella indonesiana da un film della serie originale Emmanuelle dove interpretava un conturbante ruolo da massaggiatrice di Silvia Kristel (si veda Emmanuelle l’antivergine di Francis Giacobetti). Laura Gemser è Mary Johnson, una fotoreporter che ama viaggiare e soprattutto fare l’amore. La mitica canzone Black Emanuelle è eseguita dal gruppo dei Bulldog ma c’è anche Don Powell che canta Un amore impossibile. Il film è ai limiti dell’hard e Laura Gemser si serve di una controfigura per le scene più calde. Sul set di Black Emanuelle la Gemser conosce il futuro marito Gabriele Tinti.

Emanuelle e Françoise (Le sorelline) (1975) non ha niente a che vedere con la serie di Emanuelle nera. Si tratta di un thriller erotico che ricorda i lavori successivi soltanto per il nome della protagonista. Il film è scritto, sceneggiato e diretto da Aristide Massaccesi e Bruno Mattei, però viene deciso di comune accordo di accreditarlo come regista Joe D’Amato, un nome in ascesa nel gradimento popolare. La fotografia è di Massaccesi, le musiche di Gianni Marchetti (si firma Joe Dynamo), il montaggio di Vincenzo Vanni, le scenografie di Fabio Taccalite. Aiuto regista: Gian Giacomo Tabet. Assistente alla regia: Alessandro Osetti. Produzione: Franco Gaudenzi per Matra Cinematografica. Distribuito da Seven Stars. Attori principali: George Eastman (alias Luigi Montefiori che interpreta Carlo), Rose Marie Lindt (Emanuelle) e Patrizia Gori (Françoise). Altri interpreti: Karole Annie Edel, Mary Kristal, Giorgio Fleri, Massimo Vanni e Al Capri.

Non vi lasciate fuorviare da Marco Giusti che in Stracult vede porno un po’ ovunque. Emanuelle e Françoise è soltanto un thriller erotico arricchito da sequenze violente.

In breve la trama. Il film inizia con Françoise intenta a posare per un servizio fotografico erotico, contenta perché ha terminato un paio d’ore prima e può tornare a  casa dal suo Carlo. Durante il tragitto compra i sigari che lui preferisce e persino dei fiori. Carlo (George Eastman) è un bel ragazzo privo di scrupoli, giocatore incallito sempre in cerca di soldi per soddisfare i creditori. Françoise è una donna innamorata, del tutto in balia di Carlo: accetta persino di prostituirsi per aiutarlo a pagare i debiti. Tutto questo lo sapremo dopo. Nelle prime scene del film vediamo Françoise che scopre Carlo a letto con un’altra. Lui non si scompone. “Già di ritorno?”, fa. La butta fuori dicendo: “Prima o poi giunge per tutti il momento dell’addio”.  Françoise è disperata. Cerca di parlare al telefono con la sorella Emanuelle, per avere un consiglio o una parola di conforto, ma non la trova. Decide di suicidarsi, gettandosi sotto  un treno in corsa. Lascia una lettera per la sorella che il commissario di polizia consegna a Emanuelle. Dalla lettera scopriamo il baratro di depravazione in cui Carlo aveva fatto precipitare la ragazza. Venduta a un produttore cinematografico in cambio di una parte in un film. Pegno da pagare agli amici per un debito di gioco. Inserita nel giro dei film porno e delle foto erotiche per garantirsi un’entrata sicura. Emanuelle amava la sorella che piange come l’ultima persona cara al mondo. Lei è una giornalista con idee femministe (di moda al tempo) ed è una donna molto scaltra che escogita un piano per vendicarsi. Incontra Carlo all’ippodromo, lo irretisce con ammiccanti sorrisi e fugaci incontri. Carlo la segue, la spia mentre gioca  a tennis, la incontra in discoteca, infine ottiene un appuntamento a casa sua. Emanuelle ha preparato una trappola terribile. Il mitico J & B (liquore icona del cinema di genere anni Settanta) che Carlo beve è drogato e lui si addormenta sul pavimento. Quando si sveglia è legato con due robuste catene in una stanza che si chiude grazie a un congegno manovrabile soltanto dall’esterno. Una parete dotata di specchio gli permette di vedere cosa accade nell’altra stanza, ma lui non può essere visto. La vendetta di Emanuelle è lenta e tremenda. Costringe Carlo ad assistere a spogliarelli sexy, rapporti con ospiti occasionali, incontri saffici prolungati. Carlo può solo masturbarsi e soffrire. Lei continua a drogarlo, a farlo mangiare strusciando la lingua per terra per afferrare pezzi di pane. Sotto l’effetto della droga il prigioniero precipita in un delirio onirico e immagina uno spaventoso banchetto antropofago tra gli ospiti della casa. In queste sequenze si vedono pezzi di gambe e mani staccate sanguinolente, carni sbranate da bocche avide e uomini che divorano banane leccandole con lussuria. Poi vede uomini e donne che si accarezzano sotto il tavolo e si masturbano. Immagina persino una ragazza che penetra Emanuelle con una bottiglia e altre donne nude intorno. Carlo è al limite della follia. Segue un’altra lunga parte onirica ancor più violenta e splatter con Carlo che sogna di massacrare a colpi d’ascia la sua aguzzina. Vediamo mani staccate, braccia divelte e tanto sangue: una vera manna per gli amanti del genere. Tutto molto ben realizzato: sono sequenze che disturbano al punto giusto. Subito dopo Emanuelle si rivela a Carlo come la sorella di Françoise: “Lei era solo una bambina che ha avuto il torto di amare un essere lurido come te”. Emanuelle tenta di castrare Carlo con un bisturi, ma non ci riesce perché lui si libera dalle catene e in una bella scena ricca di tensione insegue la donna e la finisce a colpi d’ascia. Anche qui il sangue non viene risparmiato. Le grida  di Emanuelle spaventano i vicini e qualcuno chiama la polizia che giunge sul luogo del delitto in tempo per constatare il massacro. Carlo si nasconde nella stanza che era la sua cella, ma sarà la sua tomba, perché un poliziotto inconsapevole fa scattare il congegno che chiude il passaggio verso l’esterno. La parola fine campeggia mentre Carlo grida aiuto ma nessuno può sentirlo.

A nostro giudizio si tratta di uno dei migliori film di Massaccesi girati in questo periodo, da vedere per inquadrare al meglio il suo cinema di sexploitation. Emanuelle e Françoise contamina diversi generi: il rape and revenge (stupro e vendetta, cinema della vendetta), lo splatter puro, l’erotico, il thriller. D’Amato segue meccanismi tipo L’ultima casa a sinistra di Wes Craven  (1972) e la vendetta della sorella è terribile quanto quella dei genitori della ragazza uccisa nel film americano. Un film come Misery non deve morire di Rob Reiner (1990), tratto dal romanzo di Stephen King, è debitore di Emanuelle e Françoise per certe situazioni. Il film è stato tagliato dalla censura nelle scene saffiche e di sodomizzazione, ma quel che resta è abbastanza esplicito e crudo. Si guarda con piacere, non risente del passare degli anni, anche se ci sono i soliti difetti delle pellicole di Massaccesi: la lentezza e l’insistenza sulle sequenze di viaggio, spesso interminabili.  Girato in due versioni, come di moda nel periodo. La versione soft è quella ufficiale, quella hard è addizionata all’estero con scene apocrife.

Voto di castità (1976) è importante perché segna l’incontro tra Laura Gemser e Joe D’Amato. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Luigi Montefiori, le scenografie di Maurizio Tognalini, il montaggio di Bruno Micheli ed Elena Laurenti. Musiche di Roberto Pregadio. Aiuto Regista: Giuseppe Pollini. Direttore di produzione Oscar Santaniello per la Mago Film. Interpreti: Jacques Dufilho (doppia parte da zio vescovo e nonno miliardario), Gillian Bray, Enzo Colajacono, Flavia Fabiani (Sofia Dionisio), Gastone Pescucci, Laura Gemser, Francesco Mulé, Marina Tedeschi, Piero Santi Pulci e Antonia Dauria.

Il film è una commedia sexy dove la bella indonesiana recita la parte della cameriera, doppiata con un buffo accento francese. Andrea è un ragazzo sensibile che da piccolo ha subito un trauma ed è cresciuto con un eccessivo amore verso la matrigna. Tutto questo lo porta a voler diventare prete e a rifiutare il rapporto con le donne. Il nonno (Jacques Dufilho) è un vecchio maiale in fin di vita che ha messo da parte una fortuna gestendo case di tolleranza. Non sopporta i preti, anche se ha un fratello vescovo (sempre Dufilho) e nel testamento ha scritto che se il nipote prenderà i voti lascerà tutto a una casa di accoglienza per prostitute povere. In famiglia si scatena una gara per convincere Andrea ad avere una donna. Partecipa pure Laura Gemser, senza successo, nonostante un sensuale balletto indonesiano. Avrà maggior sorte Flavia Fabiani che alla fine ha la grande idea di fingere l’assassinio della matrigna da parte di uno dei tanti amanti (Mulè). Una volta liberato dalla pesante presenza della donna, Andrea va con la Fabiani, ma non fa in tempo a emettere il grido d’amore richiesto dal nonno perché il vecchio muore. Tutto inutile.

Voto di castità è una commedia sexy contaminata da parti di puro cinema erotico. Si pensi al balletto sensuale di Laura Gemser che danza nuda davanti al ragazzo nella stanza da letto. Una parte molto lunga sula quale il regista indugia compiaciuto, mettendo in primo piano l’occhio indiscreto della madre che guarda dalla porta socchiusa. Come regola impone, lo spettatore osserva la scena erotica dagli occhi di un personaggio che spia, un modo classico per far immedesimare e coinvolgere. Subito dopo accenni di rapporti saffici e masturbazioni femminili, particolari erotici che in Massaccesi troveremo sempre. Contaminazione splatter-horror in brevi parti oniriche che vedono Andrea sognare di percuotere il padre e di trafiggere con una spada l’amante della matrigna.

Resta un film modesto. Indeciso tra il versante comico e il lato serio, come l’insistenza sul rapporto edipico, i problemi fisici e psicologici del ragazzo. Troppo farsesco nelle parti affidate a Dufilho (reso famoso dalla serie Il colonnello Buttiglione) e a Francesco Mulé. Alcune sequenze sembrano inserite soltanto per allungare il brodo (la parte della fuga del nonno moribondo). Ci sono anche buoni attori, male utilizzati, soprattutto alle prese con un soggetto scontato e una sceneggiatura raffazzonata. Il film va ricordato perché durante le riprese della pellicola a Massaccesi venne l’idea di utilizzare la bellezza prorompente di Laura Gemser per alcune pellicole soft-core.

Prima tra tutte Eva nera (1976). L’indonesiana più sexy del nostro cinema aveva proprio le physique du rôle! Il soggetto, la sceneggiatura e la fotografia sono di Aristide Massaccesi che firma la regia Joe D’Amato. Il montaggio è di Bruno Mattei e le scenografie sono di Franco Gaudenzi. Aiuto regista è la moglie Donatella Donati. Produzione italo-greco-cipriota: Matra Cinematografica, Andromeda Films e Othello Film. Distribuzione RCR e Seven Stars. Direttore di produzione: Oscar Santaniello. Le musiche (monocordi e soporifere) sono di Piero Umiliani. Attori: Laura Gemser (Eva), Jack Palance (Judas), Gabriele Tinti (Julius), Michèle Starck (Jerry), Ely Galleani (Candy), Sigrid Zigi Zanger e Guido Mariotti.

Primo esempio di esotico-erotico, genere congeniale a D’Amato che in seguito lo riproporrà spesso. Non è un capolavoro. Tutt’altro. Si tratta di un erotico patinato con una sceneggiatura confusa che non appassiona minimamente. Ci si annoia davanti alle sensuali danze del ventre di Laura Gemser tra i serpenti, si sbadiglia agli accenni di riti saffici tra Eva e l’amica di turno, ci facciamo una cultura sui serpenti. Poco altro. La storia non decolla mai. La Gemser è una ballerina (Eva), incontra Julius (Tinti) che la porta a Hong Kong dove la presenta al fratello (Palance – Judas), un tipo poco raccomandabile che in realtà è suo padre. Lui è un patito collezionista di serpenti (aspidi, vipere, pitoni e un pericolosissimo mamba verde) e di belle donne. Finge di innamorarsi di Eva per tenerla accanto, però la lascia libera di intrattenersi con ragazze, dato che Eva pare incline ai piaceri saffici. Il film è pieno di lunghe sequenze di autoerotismo e di rapporti saffici molto ripetitive. Judas è affascinato dal fatto che Eva danza con i serpenti e li comprende, è stata sua madre da bambina a insegnarle questa arte. Nella realtà il serpente non piaceva affatto alla Gemser che ne aveva una paura folle. Una curiosità che si tramanda grazie a molte interviste e articoli: capitò pure che le fece la cacca addosso.

Judas ricopre Eva di ricchezze e la fa diventare la regina di Hong Kong, ma quando si accorge che lei si sta innamorando di un’amica non può permetterlo. Julius, su ordine del fratello, uccide l’amante di Eva liberando sul letto il mamba verde.

Eva prepara la vendetta e chiede a Judas di lasciarla andare nei luoghi dove è nata in compagnia di suo fratello. Qui prima circuisce Julius e lo fa innamorare, poi si concede a un nativo per provocarne la reazione. Eva sa che Julius ha ucciso la sua amante. D’accordo con il nativo lega Julius e lo tortura a morte, infilandogli un serpente vivo nell’ano che poco a poco gli divora l’intestino. Non lo salva dalla triste sorte neppure la rivelazione sull’identità di suo padre perché Eva conosceva la verità.

Il film termina con Eva davanti a Judas. Lui le dice che sua madre era bella ma lo lasciò per scappare con una donna. Anche lei voleva fare altrettanto e lui non  poteva permetterlo. Eva a questo punto decide di danzare per lui una danza mortale con il terribile mamba verde. Un morso le sarà fatale.

Il film soffre una trama inconsistente. Da ricordare un’affascinante location: girato interamente a Hong Kong, tra battelli di legno e baracche sul fiume che contrastano con il lusso dei quartieri residenziali. Molto bella la scena filmata in presa diretta con un serpente spellato vivo, cucinato alla fiamma e servito come piatto espresso a Eva e alla sua compagna. Sono ben riprodotte tutte le parti che si svolgono nelle sale massaggi con esperte terapiste di scuola orientale che si danno da fare sul fisico slanciato di Laura Gemser. Infine citiamo la sequenza vera del pitone che si divora un povero topolino. Dopo questo film il sodalizio D’Amato-Gemser diventa indissolubile e il regista la convince a interpretare la parte di Emanuelle nei film  che gli hanno proposto di girare. Tanto che Bitto Albertini deve realizzare Emanuelle nera numero 2 (1976) senza l’attrice che ne aveva garantito il successo e chiama a sostituirla una sconosciuta Shulasmith Lasri che fa rimpiangere non poco la bella indonesiana. In realtà Albertini gioca sul titolo per attirare spettatori, perché il vero seguito di Black Emanuelle  o gira D’Amato. Non c’entra niente con la serie ufficiale neppure Emanuelle bianca e nera (1976) di Mario Pinzauti, girato dalle parti di Latina, che vorrebbe riproporre ambienti e situazioni tipiche della Louisiana schiavista ma non ci riesce. Ci sono due Emanuelle, una bianca e padrona, l’altra nera e schiava che si contendono un padrone bianco. Ebbe davvero poco successo e lo videro in pochi. Oggi è considerato una rarità. Gary Needham di Delirium lo ha definito “uno dei peggiori Emanuelle italiani”.

Emanuelle nera – Oriente Reportage (1976) è il vero sequel di Black Emanuelle (noto in tutto il mondo come Black Emanuelle Goes East). Da segnalare la prima collaborazione tra D’Amato e la giornalista-sceneggiatrice Maria Pia Fusco, che contribuisce a elevare il livello qualitativo della storia lavorando su un buon soggetto scritto insieme a Piero Vivarelli (regista del film cult Il dio serpente del 1970) e Ottavio Alessi. La fotografia è di Aristide Massaccesi, il montaggio di Vincenzo Tomassi, le musiche dell’ottimo Nico Fidenco (dirette da G. Dell’Orso) e le scenografie di Franco Gaudenzi. Aiuto regista è Donatella Donati. Prodotto da Oscar Santaniello per la Kristal Film. Distribuzione Fida. Nel cast troviamo tra gli altri: Laura Gemser (Emanuelle), Gabriele Tinti (Robert), Ely Galleani (Frances), Ivan Rassimov (il principe Sanit), Venantino Venantini (il console) e Giacomo Rossi Stuart (Jimmy). Ci sono anche: Koike Mahoco, Fausto Di Bella, Gaby Bourgois, Cris Avram, Attilio Duse e Debra Berger. Quasi tutti gli attori del Black Emanuelle girato da Albertini. Laura Gemser usa il suo vero nome.

La canzone Black Emanuelle è di nuovo cantata dai Bulldog, ma ci sono anche altre canzoni da ricordare come Emanuelle Orient Reportage e Sweet, Leaving Thing eseguite dai Silky Sound Singers. La storia è un viaggio continuo, come tradizione delle pellicole di Emanuelle dotate di un buon budget. Si comincia da Venezia dove Emanuelle si imbarca in compagnia di Roberto (Gabriele Tinti) per raggiungere Bangkok. Qui la coppia si separa e lui si dedica ai suoi scavi di archeologia mentre lei è ospite del principe Sanit che cerca di insegnarle l’amore e il piacere come una grande estasi (quella che i francesi chiamano “la piccola morte”, dice Rassimov). Sanit fa condurre Emanuelle in visita a Bangkok, lo spettatore resta affascinato dalla bella ambientazione e dalla ricca scenografia. In realtà Emanuelle sarebbe a Bangkok per ordine del giornale e dovrebbe fotografare il re, ma fa di tutto fuorché quello. Si cala nelle abitudini locali: combattimenti di galli, sfilate di elefanti, lotte con la spada, balli sensuali e massaggi erotici. Emanuelle trova il tempo di fotografare anche una scena da cannibal movie con una mangusta che fa fuori un cobra. Alcune parti del film ricordano molto da vicino un mondo movie sulla Tailandia. Alla fine Emanuelle non riesce a  fotografare il re perché il principe Sanit, che stava organizzando un colpo di stato, viene arrestato. A lei vengono rubati il passaporto, la macchina fotografica e tutto il denaro. Per uscire dal paese Emanuelle deve corrompere un funzionario portandoselo a letto, ma la cosa non la sconvolge più di tanto. Da Bangkok l’azione si sposta a Casablanca, in Marocco. Qui Robert sta facendo alcuni scavi importanti ed Emanuelle ne approfitta per conoscere Debora, la figlia del console. Come consuetudine l’amicizia tra le due donne si trasforma ben presto in un rapporto saffico. Anche la parte girata in Marocco si avvale di un’ottima fotografia e di una scenografia suggestiva. Interessanti sequenze girate nel deserto, tra tutte quella con i beduini che si portano a letto Emanuelle e un’altra ragazza. Alla fine Emanuelle recupera i documenti, la macchina fotografica, i rullini e fa ritorno a Parigi. Debora si era innamorata e la saluta con nostalgia. Il film fu un successo di pubblico, pur dotato di una storia molto esile, è salvato da una grande fotografia e dalle molte location esotiche.

Abbiamo parlato di alcune pellicole della serie Emanuelle compilando una monografia sul cinema di Ruggero Deodato.

Si tratta di Emanuelle in America ed Emanuelle e gli ultimi cannibali che più di altre contaminano erotismo con splatter e situazioni tipiche del cinema cannibalico. Sono film dove “incontriamo spesso elementi macabri e surreali, scene di violenza esasperata e situazioni orrorifiche”, come dice Antonio Tentori. Film che ci mostrano un D’Amato contaminatore di generi che eccita, terrorizza, sconvolgere e fa immaginare.

Emanuelle in America (1976) è un’indagine di Emanuelle sulle perversioni sessuali, che la porta a scoprire film snuff con scene di tortura e violenze su donne perpetrati da uomini in divisa.

D’Amato gira e fotografa la pellicola su soggetto di Ottavio Alessi e Piero Vivarelli, sceneggiato da Maria Pia Fusco. Le musiche sono di Nico Fidenco, il montaggio di Vincenzo Tomassi, le scenografie di Marco Dentici, il trucco di Giannetto De Rossi. La produzione è di Fabrizio De Angelis per la New Film e la Kristal. Lo distribuisce Fida. Tra gli attori, oltre ai soliti Gemser e Tinti, citiamo: Roger Browne, Paola Senatore,  Lorraine De Salle e Marina Frajese (solo nella versione hard).

Contaminazione tra generi più con il filone nazi (vedi i nazi-porno stile Ilsa, la belva delle SS di Don Edmonds, ma anche tutti gli emuli italiani post modelli colti di Salon Kitty e Salò) che con il cannibalico. La pellicola contiene scene efferate: seni tagliati, uncini nel ventre, stupri con falli di legno e chi più ne ha più ne metta. Il tutto inserito in una sorta di tour erotico di Emanuelle da Venezia ai Caraibi, che la porta a inanellare una serie invidiabile di avventure amorose. Vediamo di tutto: una fellatio a scopo terapeutico, un miliardario collezionista di donne, un harem, un’orgia, una casa chiusa per donne… Sconvolgente la parte finale con la visione dei filmati e delle violenze tratti da falsi snuff movie. La pellicola fu sequestrata dal Tribunale di Avellino e giudicata “offensiva del comune senso del pudore”. Circola una versione hard ma soltanto all’estero.

Nella serie Emanuelle c’è un vero e proprio cannibal movie: Emanuelle e gli ultimi cannibali (1977), un film erotico arricchito da sequenze splatter e cannibalesche (come saranno Porno Holocaust e Antropophagus nel 1980).

Il film è girato e fotografato da D’Amato, coadiuvato per la sceneggiatura da Romano Scandariato. Le scenografie e i costumi sono di Carlo Ferri, il montaggio di Amedeo Moriani. La produzione è di Fabrizio De Angelis per la Fulvia Cinematografia, Gico Cinematografica e Flora Film (che lo distribuisce). A parte la Gemser e Tinti ci sono: Monica Zanchi, Nieves Navarro, Donald O’Brien, Percy Hogan, Dirce Funari.

In Emanuelle e gli ultimi cannibali Laura Gemser si finge internata in una clinica per malattie mentali dove sta cercando materiale per un articolo scandalistico. A un certo punto assiste all’aggressione di un’infermiera da parte di una ragazza antropofaga e decide di vederci chiaro. Conosce l’antropologo Mark Lester (Gabriele Tinti) che a casa sua le mostra un filmato sugli orrori praticati dalle tribù africane (forse un mondo movie) che comprende scene di cruente evirazioni e riti tribali. Una  sequenza mostra i parenti del marito intenti a mangiare gli occhi della donna mentre i parenti della moglie si cibano del membro del maschio come punizione per un caso di adulterio. Finito lo spettacolo, i due partono alla ricerca degli ultimi cannibali, dopo che Emanuelle ha salutato alla sua maniera il fidanzato, ormai più che cornificato (per fortuna non siamo nella giungla). In Amazzonia l’antropologo impartisce lezioni sul cannibalismo sociale e sui motivi che spingono gli uomini a  cibarsi dei propri simili, parla del cuore che contiene le virtù e delle interiora che sono il cibo preferito dei cannibali. Poi i due incontrano una strana coppia, cacciatori di diamanti più che di animali feroci, e un’improbabile suora. Una stupenda sequenza vede l’uccisione di un pitone che stava soffocando Emanuelle. Notevole la colonna sonora di Nico Fidenco, costruita con tamburi in sottofondo, spezzata da una voce femminile calda e sensuale. Lungo il cammino i nostri eroi trovano cadaveri putrefatti e divorati da animali, una delle donne finisce nelle sabbie mobili ma viene salvata, infine cominciano gli attacchi dei cannibali. Da notare che le sequenze che anticipano l’arrivo dei mangiatori di uomini sono caratterizzate da una colonna sonora sempre più intensa a colpi di gong e da una fotografia sporca. Le numerose scene di sesso stemperano la tensione narrativa e ricordano che il film è soprattutto erotico. Laura Gemser e Monika Zanchi hanno il loro da fare per mostrarsi vestite in più di due scene consecutive. A un certo punto si aggiunge anche Nieves Navarro che si concede una scappatella sotto gli occhi del marito con un robusto portatore negro. Certo, tra una scopata e l’altra, ci sono anche avventure esotiche, azione, splatter, voyeurismo…  soprattutto c’è la stupenda Laura Gemser che da sola vale il prezzo del biglietto. Ma gli ultimi venticinque minuti sono puro cannibal movie con un pasto a base di capezzoli, uno squartamento spettacolare frutto di un singolare tiro alla fune, coltellate al pube, banchetti con interiora e parti di vagina. Finale che ritorna alla commistione erotico-cannibalica con Monika Zanchi prima prigioniera in una gabbia di legno e poi posseduta da tutta la tribù in attesa del sacrificio finale. Emanuelle risolve la situazione uscendo dalle acque con il dio Tupinaba dipinto sul ventre e si porta via l’amica tra lo stupore degli indigeni, che si accorgono di essere stati beffati solo quando vedono le due donne nuotare. Si poteva evitare la ridicola scena finale dell’assalto alla barca da parte dei cannibali e soprattutto il sermoncino retorico della bella Gemser contro lo schiavismo e le meschinità del mondo. “Non è colpa nostra, è il prezzo della civiltà”, filosofeggia Gabriele Tinti mentre scorrono i titoli di coda e partono le note della suggestiva Make on the wing di Nico Fidenco (cantata da Ulla Linder). Un film girato interamente in Italia in quattro settimane, per la precisione a Mezzano Romano, non certo in Brasile come dice l’ingannevole scritta finale (dove sarà mai Tapurucuarà?).

Emanuelle: perché violenza alle donne? (1977) è un altro film della serie Emanuelle che vede come collaboratrice alla sceneggiatura la giornalista Maria Pia Fusco (insieme a Gianfranco Clerici).  Il resto dello staff è simile. Fotografia di Massaccesi, musiche di Nico Fidenco (dirette da G. Dell’Orso), montaggio di Vincenzo Tomassi, scenografie di Marco Dentici, produzione di Fabrizio De Angelis per la Embassy Cinematografica. Distribuito da Fida. Tra gli attori manca Gabriele Tinti. Abbiamo: Laura Gemser, Ivan Rassimov, Karin Schubert, Don Powell, George Eastman (Luigi Montefiori), Marino Masé, Gianni Macchia, Brigitte Petronio, Al Thomas. Recita una piccola parte Massaccesi, al solito c’è Marina Frajese che interpreta scene hard per la versione estera.

Emanuelle, sempre a caccia di nuove emozioni, si finge squattrinata e si fa caricare da un camionista pagando il passaggio in natura. Poi chiede di essere accompagnata all’Hotel Sheraton dove incontra Cora (Karin Schubert), un’amica giornalista che sta realizzando un servizio a tema violenza sulle donne. Allo Sheraton conosce pure Ivan Rassimov, il presidente del comitato per gli aiuti al terzo mondo, che la salva dalla violenza carnale di un maniaco. A lui piace Emanuelle ma i due non riescono mai a stare insieme perché sono sempre in giro per il mondo per motivi diversi. Intanto il giornale manda Emanuelle in India dove un santone (George Eastman) ha scoperto il segreto del coito prolungato. Bella ambientazione e ricca scenografia con immagini di un’India divisa tra turismo e miseria. Il film denuncia i falsi santoni e non perde occasione per fare qualche discorso femminista. Emanuelle scopre che il santone è un ciarlatano e quando fa l’amore con lui lo ridicolizza: “Vai forte a  teoria, amico!” gli dice mentre commenta un’eiaculazione precoce. In India Emanuelle conosce (pure carnalmente) Mary, che le racconta una terribile storia di violenze sulle donne.  Emanuelle decide di approfondire e con l’amica Cora decide di andare a Roma per indagare. Pare che una banda rapisca belle turiste straniere e le venda in Medio Oriente. Emanuelle si finge turista insieme a due amiche di Mary, le donne vengono attirate in una trappola e prese in ostaggio. Sarà un ragazzo che Emanuelle aveva conosciuto a far arrestare tutti. Intanto Cora viene minacciata, picchiata e violentata perché abbandoni l’inchiesta. Tra un viaggio e l’altro Emanuelle incontra di nuovo Rassimov ma per brevi momenti. Ci spostiamo a Hong Kong, altra location gradita a Massaccesi, dove le due donne ricercano Ilse Braun, uno dei capi dell’organizzazione. Vediamo sequenze molto truci, come un pazzo che  cattura Emanuelle  e la porta in una palestra dove teorizza “il dolore come fonte di godimento”. Emanuelle e Cora scoprono il giro di donne rapite e fanno arrestare il responsabile (il Primo Ministro) con l’aiuto di un giovane emiro che se la spassa con le due donne. La scena si sposta su New York dove si viene a sapere che anche qui c’è una specie di tratta delle bianche gestita da nomi importanti. Un perverso gioco finale a base di violenza e sesso porta alla cattura finale dei capi banda. Emanuelle torna a casa con un peschereccio insieme a Ivan Rassimov.

Il film è piuttosto trucido ma molto femminista. Non condividiamo Marco Giusti quando in Stracult afferma che “non è per niente dalla parte delle donne”. Tutte le scene di violenza carnale esibite non sono gratuite ma hanno lo scopo di sconvolgere e inquietare. Ci sono molte scene di sesso spinto, al solito omo ed etero, purtroppo tagliate nella versione italiana.  La trama è confusa ma il discorso che si vuol fare è preciso: la donna non è un oggetto, è lei a decidere cosa fare della propria vita. Si denunciano le violenze e gli stupri. Una produzione che non bada a spese (i film di Emanuelle incassano molto) ci porta in viaggio per Roma, New York e Hong Kong con gran disinvoltura. Il film si ricorda soprattutto per le sequenze girate a Hong Kong, dove un cinese sadico torturatore obbliga le ragazze ad accoppiarsi con animali. Il torturatore farà una brutta fine chiuso in cella con un cane sodomita. Purtroppo questa parte è tagliata in molte versioni che circolano in Italia. Ricordiamo per finire la canzone A picture of love cantata dai Fire Fly. Per Marco Giusti il film è “eccessivo, ai limiti del trash”. Secondo noi è l’esatto contrario.

La via della prostituzione (1977) è l’ultimo film della serie Emanuelle. Lo gira e lo fotografa Joe D’Amato che si avvale per la  sceneggiatura della collaborazione di Romano Scandariato. Le musiche sono come sempre di Nico Fidenco, il montaggio di Vincenzo Tomassi e le scenografie di Carlo Ferri. Lo produce Gianfranco Coyoumdjian per Gico Cinematografica. Protagonista è sempre Laura Gemser (e chi la cambia?) che ritrova Gabriele Tinti nei panni del principe Aurozanni. Ci sono anche: Ely Galleani, Venantino Venantini e Pierre Marfurt.

Emanuelle e la sua amica Susan (Ely Galleani) vengono invitate a un safari da un gangster (Venantino Venantini) e da un principe (Gabriele Tinti) che è suo socio. Qui indagano su di un giro di schiave bianche ed Emanuelle va in fondo alla questione travestendosi lei stessa da prostituta. Si passa dalle ambientazioni esotiche del safari alla grigia Manhattan con gran disinvoltura. Molto sesso ma numerosi anche i tagli della censura (oltre sessanta metri) che riducono il film a ottanta minuti scarsi di proiezione. Tra le scene eliminate: le ragazze sotto la doccia, una sauna con un politico, Emanuelle con un travestito. Le musiche di Fidenco sono come sempre suggestive, qui notiamo uno sconosciuto Malaika che canta Run, Cheetah, run.

Abbiamo detto che La via della prostituzione è l’ultimo film della serie Emanuelle perché Le notti porno nel mondo (1976) non è fiction ma un mondo movie. D’Amato esperimenta anche quel genere così controverso e discusso che fu il cavallo di battaglia di Gualtiero Jacopetti. La regia è attribuita a Jimmy Matheus (Bruno Mattei) ma Joe D’Amato è accanto a lui. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Mattei, la fotografia di Enrico Biribicchi (quasi un’eccezione che non sia di Massaccesi), la musica di Gianni Marchetti, il montaggio di Vincenzo Vanni. Produce Mario Paladini per Sorgente Cinematografica. Distribuito da Fida. I protagonisti sono soltanto Laura Gemser nella parte di se stessa e Marina Frajese per la versione hard distribuita all’estero. Alcuni testi riportano il titolo Emanuelle e le porno notti nel mondo perché è la bella Laura Gemser a far da guida attraverso i campionari di erotismo e depravazione che vengono presentati. Laura Gemser ci conduce alla scoperta di una serie di spettacoli erotici ambientati in varie parti del mondo. Si parte con una filippica contro i falsi moralismi, mentre scorrono le immagini notturne di una Las Vegas che la troupe non ha mai visto. Pare chiaro sin da subito che i vari night club sono tutti romani e che il film, secondo la buona tradizione dei mondo movie, suona falso come una moneta contraffatta. Si tratta quindi di un finto reportage erotico che Mattei ricostruisce vagando per i vari locali della capitale. D’Amato si occupa soltanto di girare le parti di raccordo con Laura Gemser. Il film è stato tagliato abbondantemente dalla censura e Massaccesi l’ha dovuto rattoppare alla meglio con nuovo materiale per garantirne l’uscita. Emanuelle nera ci mostra mille prelibatezze erotiche: una seduta spiritica a sfondo erotico, una messa nera con deflorazione della vergine e orgia finale tra gli adepti della setta satanica, un luna park con attrazioni a sfondo sessuale, un mago che denuda gli spettatori e fa apparire membri virili dalle dimensioni enormi e una ragazza spogliata dai clienti di un night. Tra le parti raccapriccianti citiamo la finta operazione di un uomo con il pene dalle dimensioni microscopiche. Laura Gemser ci vuol convincere che in Giappone c’è rimedio pure per questo e che le spose insoddisfatte con appena tre milioni di lire fanno trapiantare ai mariti poco dotati un membro più efficiente. La sequenza è ben realizzata e il taglio del pene microscopico appare realistico, il nuovo membro è palesemente di gomma. Ottima la parte girata in Nuova Guinea dove la Gemser dice di essere andata per filmare sequenze di una nuova pellicola. Qui assistiamo alla singolare usanza matrimoniale (sicuramente falsa) di far deflorare la sposa da quattro amici per comprovare la verginità prima di celebrare il rito. La festa comprende anche una mattanza di maialini selvatici (per la gioia degli animalisti) tra canti e balli tribali. Altre scene del film vedono amori saffici, una singolare Biancaneve tra sette nani superdotati, l’intervista a un’attrice porno e al regista che è anche suo marito, la lotta tra donne nella schiuma, un balletto fantascientifico, lo spogliarello trash di casalinghe italiane e la festa della California per la donna e l’uomo più affascinante.

La morale del film viene spesso ripetuta: il sesso è gioia e liberazione, chi non lo comprende è un moralista bacchettone. Laura Gemser non perde occasione per sottolineare che le vere donne devono essere soprattutto femmine e non femministe, che la donna oggetto non esiste perché l’unico vero oggetto in un rapporto è l’uomo, illuso di poter comprare una donna.

Confessione in chiave bisex di Emanuelle, che invita a provare tutte le gioie del sesso senza pregiudizi. Laura Gemser si scaglia contro le false perbeniste e mostra uno spogliarello maschile con un gruppo di donne borghesi eccitate dalla bellezza del modello. Emanuelle conclude la sexy conferenza affermando che il sesso non è mai cattivo ma va vissuto con spensieratezza.

Joe D’Amato espone i suoi canoni del piacere per bocca della sua attrice simbolo che al tempo rappresentava l’essenza della trasgressione. All’estero il film è noto come Mondo erotico e circola addizionato da sequenze porno girate dalla Frajese.

Le notti porno nel mondo N.2 (1978) è girato e fotografato dal solo Massaccesi. Le musiche sono di Gianni Marchetti, il montaggio di Vincenzo Vanni, la produzione di Mario Paladini per Esagon Cinematografica. Distribuzione G.P.S. Manca Laura Gemser. Interpreti: Ajita Wilson (hostess), Marina Frajese (intervistatrice), Sandy, Gerica, Sprint e Tino Cervi.

In realtà non è un altro film ma una versione leggermente modificata della prima pellicola. Ajita Wilson racconta a Marina Frajese il suo passato di ballerina erotica, ma le immagini sono le stesse del vecchio finto mondo movie.

Una variazione riuscita sul minifilone Emanuelle nera la realizza Giuseppe Vari (Joseph Warren) con Suor Emanuelle (1977), interpretato da Laura Gemser e Monica Zanchi. Laura Gemser veste gli abiti talari ma la sua carica erotica è identica.

Per restare all’erotico citiamo Il ginecologo della mutua, commedia sexy girata da Massaccesi nel 1977 che vede protagonista il compianto Renzo Montagnani. Il film è divertente e piacevole, le scene di sesso sono poche, a dispetto di quel che potrebbe far intuire il titolo, in compenso si ride molto. Sarebbe contento il produttore italiano medio citato da Scola ne La terrazza. Tipica commedia sexy con sorpresa finale molto costruita, che si avvale di attori interessanti come Aldo Fabrizi, Toni Ucci, Paola Senatore, Massimo Serato, Mario Carotenuto, Anna Bonaiuto e Isabella Biagini. C’è anche Marina Frajese che passava con disinvoltura dall’hard all’erotico-soft. Si tratta di una parodia in chiave erotica de Il medico della mutua di Luigi Zampa (1968) interpretato da Alberto Sordi. In breve la trama. Un brillante ginecologo, noto playboy, rileva lo studio di un collega che deve fuggire dall’Italia perché tormentato dai creditori. Il nuovo ginecologo  manda avanti l’ambulatorio con abilità, continua a fare il seduttore e si inserisce nel mondo della borghesia che conta. Il film viene programmato spesso in televisione, anche se a notte fonda. Merita la visione.

(3 – continua)

Gordiano Lupi