Dall’eros ai primi porno
Sul filone erotico stile Emanuelle, D’Amato realizza, sempre nel 1978, Papaya dei Caraibi girato interamente a Santo Domingo. Sarà il primo di una lunga serie. Tra il regista e l’isola caraibica nascerà una sorta di ponte ideologico che lo accompagnerà per quasi tutta la sua vita artistica.
Il soggetto di Papaya dei Caraibi è di Roberto Gandus, la sceneggiatura di Renzo Maietto, la fotografia dello stesso Massaccesi, le musiche di Stelvio Cipriani, il montaggio di Vincenzo Tomassi. Produce Carlo Maietto per la Mercury Cinematografica, distribuisce Nucleo Internazionale.
Interpreti: Sirpa Lane (Sara), Maurice Poli (Vincent) e Melissa Chimenti (i credits dicono Melissa) nella parte di Papaya.
Non è dato sapere se D’Amato conoscesse il doppio significato che i popoli caraibici danno al termine papaya: il frutto esotico ma anche l’organo sessuale femminile. Visto il tema affrontato l’allusione ci sta tutta e si fa più esplicita nella versione spagnola intitolata Fruta sexual del Caribe.
La trama del film è di un classico esotico-erotico, genere in cui Massaccesi si specializzerà, un soft-core con leggere venature thriller. La cosa migliore della pellicola è l’ambientazione tropicale studiata nei minimi particolari. La macchina da presa si muove per strade sterrate, villaggi, foreste tropicali e fiumi di Santo Domingo. Le tradizioni locali come il vudù e lo spiritismo sono citate a piene mani, anche il merengue, musica dominicana per eccellenza, viene messa in primo piano. La trama è abbastanza semplice. Si comincia con una bella panoramica di una spiaggia tropicale e la macchina da presa si sofferma su Papaya seminuda sdraiata al sole. Un’immagine tranquillizzante subito contraddetta da un rapporto sessuale che finisce nel sangue. Papaya evira a morsi un occasionale compagno europeo e subito dopo un gruppo di dominicani dà fuoco alla capanna dove lui viveva. Il film deve la sua fama alla storica evirazione che crediamo non abbia uguali né precedenti in pellicole del genere. A questo punto entrano in scena Sirpa Lane (una giornalista in vacanza) e Maurice Poli (un geologo della centrale nucleare) che conoscono per caso la bella Papaya. In questa parte del film citiamo un combattimento tra galli ripreso dal vero, usanza delle popolazioni caraibiche. Dopo poche scene comprendiamo il ruolo della bella creola e quel che vogliono gli abitanti del paese. Papaya e i compagni ribelli cercano di impedire la costruzione di una centrale nucleare a Santo Domingo. Per far questo ricorrono a ogni mezzo, il ruolo di Papaya è quello di portarsi a letto ingegneri e geologi, farli parlare e, dopo aver ottenuto preziose informazioni, ucciderli. Questa sorte tocca pure a Maurice Poli (Vincent), mentre Sirpa Lane (Sara) viene trattenuta al villaggio con il compito di scrivere articoli a favore dei ribelli. Alla fine Sara si innamora di uno dei dominicani e finisce a letto con lui, ma la bella Papaya è gelosa della giornalista e tenta di uccidere il compagno. Papaya e Sara finiscono insieme, l’europea viene inserita nel gruppo dei ribelli e partecipa alle nuove azioni contro la centrale. Nella sequenza finale comincia tutto da capo e vediamo un altro ingegnere cadere in trappola.
Nella pellicola c’è un forte messaggio ecologista e antinucleare dalla parte dei popoli che vogliono vivere in modo naturale. “Siamo poveri ma la terra è nostra. Ci ribelliamo come possiamo. Parlare non serve, non ci ascoltano”. “Vedi come è bello qui intorno (panoramica su una spiaggia tropicale meravigliosa), le scorie nucleari contamineranno tutto”. Notiamo riferimenti antirazzisti: “Il cervello ha lo stesso colore per tutti” dice Papaya a Vincent.
Notevole la ricostruzione della “festa della pietra rotonda”, una tradizione dominicana che affonda le sue radici nel vudù e nel sincretismo religioso. Si tratta di una specie di macumba con i fedeli che si riuniscono davanti a una pietra rotonda e si scatenano in balli frenetici indossando maschere di legno. Si scannano maiali e le viscere defluiscono sul pavimento insieme al sangue che viene raccolto in capaci recipienti. Si fanno offerte floreali ai santi e gli invitati bevono il sangue del maiale, prima di passare al terribile sacrificio umano e al pasto con il cuore della vittima. Infine una negra posseduta balla una rumba inarrestabile e freme in ogni parte del corpo perdendo stille di sudore. Questa parte della pellicola è da ricordare per il forte contenuto documentaristico. Certo che la sequenza dove viene ucciso un ragazzo è soltanto recitata, ma tutto il resto è molto realistico e pare girato in presa diretta. Notevole l’attenzione ai particolari di una città coloniale fatta di strade polverose e deserte, vicoli sterrati e case di legno, appartamenti cadenti con vecchi sellon che si muovono da soli e bambini che corrono dietro ad auto scassate. Tutto molto bello.
Quello che proprio non va invece è la recitazione di Sirpa Lane e di Maurice Poli che sciupa quanto di buono il regista tenta di fare. Sirpa Lane – la nuova Bardot, secondo Roger Vadim, ma crediamo che si riferisse soltanto alla bellezza – si fa apprezzare soltanto quando tace e nelle scene dove è impegnata a far sesso. Breve la sua popolarità, dovuta a film come La bestia e in seguito ad alcuni nazi erotici. Morta di Aids nel 1999. In questa pellicola raggiunge il peggio della performance quando recita un sermone sulla violenza.
D’Amato è bravo a contaminare l’erotico con un pizzico di orrore, inserendo qua e là dettagli gore e splatter come un maiale e un uomo fatti a pezzi. La lunghezza di alcune sequenze (il viaggio in jeep è interminabile…) spesso annoia ed è un difetto che troviamo spesso nei film di questo periodo.
Da dimenticare quel che scrive qualche critico cinematografico su Papaya dei caraibi. Marco Giusti ha visto tra gli interpreti Anna Maria Napolitano: dice che recita la parte di Papaya (sic!). In realtà Papaya è Melissa Chimenti, attrice che compare in un pugno di film, tra cui Gardenia (1970) di Domenico Paolella e Carambola (1974) di Ferdinando Baldi. Si ricorda per essere stata, insieme all’effimera starlet Marcella Petrelli, la corista del famoso duo musicale anni Settanta “Gepy & Gepy”. Basta guardare il film per non confonderla con Anna Maria Napolitano (Annj Goren) che ha recitato nei porno caraibici di Massaccesi. Lo stesso Giusti sostiene che Sirpa Lane e Maurice Poli sono una coppia in crisi che cerca di rivitalizzare il matrimonio. Secondo noi ha fatto un po’ di confusione tra Papaya dei caraibi e Orgasmo nero. Perché parlare di quel che non si conosce?
Nello stesso anno D’Amato gira e fotografa Follie di notte che vede nel cast tecnico Piero Umiliani (musiche), Vincenzo Vanni (montaggio), Vincenzo Medusa (scenografie) e Donatella Donati (aiuto regista). Produce Mago Film, distribuisce DIAS. Un fugace ritorno al mondo movie dopo Le notti porno del mondo e questa volta c’è Amanda Lear alla guida erotica. Era il periodo di massimo splendore televisivo (partecipava alla trasmissione Stryx) della bella Amanda e non passava giorno che non comparisse sulle pagine rosa dei giornali. I settimanali scandalistici facevano a gara a comprovarne la presunta mascolinità e lei stessa giocava sull’equivoco. Amanda Lear si è costruita un personaggio (che in parte sopravvive) sul mito della transessualità e Massaccesi lo sfrutta a dovere in questo sexy mondo movie. Amanda porta lo spettatore alla scoperta di spogliarelli e numeri porno, per finire canta anche qualche canzone. Lo hanno visto pure in Germania. Amanda in ogni caso è rigorosamente vestita per tutto il film e ci tiene a sottolineare che non parlerà dei fatti propri. Infatti invita lo spettatore a seguirla per un falso reportage che in realtà si svolge tutto all’interno di qualche night della capitale. Tutto questo è tipico del mondo movie ed è più che certa anche in questa pellicola la presenza di attori, poco noti, che hanno interpretato scene di finto realismo. Assistiamo a una pesca a Las Vegas che ha per premio una ragazza, vediamo una setta satanica riunita che si dà da fare con una donna in vesti piuttosto succinte, ci spostiamo a Tokyo, poi in Brasile con Amanda vestita da pantera, quindi torniamo ancora a casa sua in Germania e lei ci mostra la veranda da perfetta padrona di casa. Come in ogni buon mondo movie che si rispetti ci sono immagini di repertorio dei paesi appiccicate alle parti girate in Italia. Si passa a Parigi e assistiamo a un ridicolo numero di un mago che confonde le parti del corpo di un uomo e di una donna completamente nudi. Una giornalista esperta in scandali ci fa visitare una casa di piaceri estremi dove necrofilia, sadomasochismo e feticismo imperano. Tutto molto finto, ma almeno vediamo un po’ di contaminazione tra i generi preferiti da Massaccesi e il sesso si confonde con riuscite parti horror a base di tagli, frustate e incisioni sul petto. Abbiamo pure un’intervista a una coppia che gira filmini porno casalinghi e c’è un bell’inserto hard con una fellatio tra marito e moglie. Trash al massimo livello è il numero della levitazione, dove la maga, manco a farlo apposta, fa levitare i cazzi agli spettatori (pure a un arzillo vecchietto). Terminiamo in bruttezza con balli africani e prestigiatori di Marsiglia che tolgono le colombe dalla vagina di una donna. In definitiva un lavoro da dimenticare che però incassò abbastanza per via di Amanda Lear. In molti speravano di vederla senza veli ma le attese furono tradite.
A Santo Domingo Massaccesi non gira soltanto Papaya e i famosi hard. Mette in cantiere anche un bel lavoro avventuroso: Duri a morire, tanto per sperimentare un altro genere. Il film esce nel 1979, anno di grazia per D’Amato, che in ogni caso ci abituerà a cinque o sei uscite per anno, se contiamo gli hard-core pure di più.
Il cast tecnico (a parte l’immancabile Massaccesi alla fotografia) vede all’opera: Sergio Donati e Joseph McLee (soggetto e sceneggiatura), Stelvio Cipriani (musiche), Francesco Malvestiti (montaggio), Bartolomeo Scavia (scenografie), Donatella Donati (aiuto regista). Prodotto da Giuseppe Zaccariello per Nucleo Internazionale e distribuito da Star Cinematografica. Interpreti: Luc Merenda (Martin), Donald O’Brien (Hagerty), Percy Hogan, Laurence Stark, Piero Vida, Wolfango Soldati, Isarco Ravaioli, Lorenza Rodriguez Lopez e Alessandro Haber (alle prime armi).
Il film è girato a Santo Domingo, ma nella finzione scenica ci troviamo in Africa nel bel mezzo di una guerra civile dopo la raggiunta indipendenza. Luc Merenda è Martin, un agente segreto che si arruola in un esercito di mercenari per catturare Leon, criminale politico sulla cui testa pende una taglia di un milione di dollari. Il gruppo di mercenari è comandato dallo spietato maggiore Hagerty (un ottimo Donald O’Brien), una specie di dittatore arrogante che punisce i suoi uomini per gusto e li sottopone a prove dure e pericolose. Prima che l’esercito di mercenari parta per una missione importante (far saltare una diga), Hagerty capisce che Martin non è là per combattere. I due decidono di dividere la taglia e di scappare via con Leon, ma le loro parole vengono udite da altri due mercenari che vengono giocoforza inseriti nel progetto. Insieme a loro si aggrega un negro sciocco, che non è capace di parlare ma ha deciso di servire fedelmente Martin. Mentre il resto del reggimento viene fatto fuori dal nemico durante la pericolosa missione, i quattro scappano verso Georgeswille, luogo dove il prigioniero va condotto. Durante la fuga Leon fa fuori uno dei quattro con un colpo di fucile alla pancia, quindi il mercenario – che tutti chiamano “il polacco” – lo avvelena facendogli mangiare un coniglio arrosto ripieno di cianuro. Martin dice che va bene lo stesso, non occorre che sia vivo per incassare la taglia, addirittura visto che il cadavere puzza ed è pesante si limitano a portare via la testa (i denti sono più che sufficienti per riconoscerlo). I tre non ne vogliono sapere di dividersi la taglia, Hagerty e il polacco si sfidano e ha la meglio il maggiore che si libera (almeno così crede) anche del negro e lascia Martin in fin di vita nel deserto. Il negro non è morto, riesce a salvare Martin e a portarlo sino a Georgswille. Resa dei conti finale tra Hagerty e Martin che si uccidono a vicenda. Tra i due litiganti è il negro a godere. Nella scena finale fa capire a Martin in fin di vita che lui non è per niente sciocco. Ha soltanto recitato una parte da servo fedele per arrivare sin là e incassare il milione di dollari. Martin muore e il negro si prepara a un futuro da milionario nel mondo dei bianchi.
Il film è ben sceneggiato, la storia c’è tutta, merita di essere visto se riuscite a reperirlo (non è facile). A parte la bravura di Donati nello scrivere un film d’avventura, anche la recitazione raggiunge buoni livelli. Ottimo Luc Merenda, bravo come sempre Donald O’Brien. Da segnalare la presenza di un giovanissimo Alessandro Haber, nella parte di un furbo gestore di un locale (lo chiamano tutti Papadinos) dove i mercenari si ritrovano per bere e incontrare ragazze disponibili. Nelle sequenze girate presso il locale di Papadinos trovano spazio numerose inquadrature e citazioni del J & B, liquore simbolo del cinema anni Settanta e sponsor del film. Tutta la prima parte della pellicola è decisamente buona con una bella descrizione dei personaggi e della vita al campo. Le varie scenette rendono bene il carattere dei protagonisti e lo spettatore resta coinvolto da subito nella narrazione. Su tutte ricordo la scena crudele nella quale Leon fa immergere il negro in un barile pieno di sterco e comincia a menare fendenti con una sciabola. Non ci sono personaggi positivi, neppure il negro, pure se è il più simpatico. Tutti fanno tutto per soldi dall’inizio alla fine e non esitano a uccidersi a vicenda pur di non dividere la taglia. L’ambientazione dominicana è suggestiva e conferisce fascino al film. Passiamo per torrenti infidi, savane sterminate, foreste, pioggia battente in mezzo a mille pericoli. Tutto molto suggestivo. Non mancano alcune scene violente di uccisioni, un po’ di sangue e soprattutto un bel finale a sorpresa.
Nel 1979 D’Amato gira un buon thriller erotico come Il pornoshop della settima strada. Il film è scritto e fotografato da Massaccesi, che per soggetto e sceneggiatura si avvale della collaborazione di Tito Carpi. Le musiche sono di Bruno Biriaco, il montaggio di Vincenzo Vanni e Roberto Savoca (aiuto), le scenografie di Bartolomeo Scavia. Aiuto regista la moglie Donatella Donati. Produce lo stesso Massaccesi insieme a Oscar Santaniello per la Kristal Film. Interpreti: Brigitte Petronio, Anna Maria Clementi, Maximilian Vhener, Ernest Arold, Peter Outlaw, Christian Borromeo, Fernando Cerulli e Kien-Ho.
Il film è ambientato a New York ed è girato sul posto, lo dimostrano lunghe panoramiche per i luoghi tipici della città. In breve la trama. Due rapinatori da quattro soldi derubano l’incasso di cinquemila dollari in un negozio protetto dalla malavita e vengono inseguiti dagli sgherri mafiosi. I due sono ladri di poco conto. Rico è più intelligente, Bob è un povero malato di mente che ha fatto la galera per violenza carnale e ha la fissa del sesso. Rischia spesso di far precipitare la situazione con atteggiamenti avventati e da maniaco. I due ladri si rifugiano in un sexy shop dove incontrano Lorna (Brigitte Petronio), padrona del locale e amante del boss Archie Moran. Bob comincia a toccare un po’ di tutto e scuriosa filmetti porno, Rico è attratto dalla ragazza. Ricordiamo una intrigante parte erotica che vede protagonista la Petronio che con ottimi argomenti cerca di convincere il bandito più tonto a farla scappare. La fellatio che si vede è girata da una controfigura ed è un chiaro inserto porno. Alla fine i due banditi decidono di scappare e di portarsi via Lorna come ostaggio. Bob ruba un po’ di oggetti e in auto dà vita a una deliziosa scenetta trash indossando un pene di gomma come se fosse una maschera. I due malfattori prelevano con la forza anche un loro amico negro che aveva dato il consiglio di svaligiare proprio quel negozio. Il negro sa dove far passare la notte ai due ladri e come far attraversare la frontiera verso il Canada. Durante il tragitto Lorna lascia cadere in un bagno un biglietto da cinquanta dollari con sopra scritto dove la stanno portando. Quando il terzetto di malfattori giunge alla casa che deve servire da rifugio la trovano abitata da tre studenti che se ne sono impossessati. I malfattori prendono i ragazzi come ostaggi e decidono di scappare il giorno successivo con la loro auto che ha una targa canadese. A questo punto si scatena una spirale di erotismo e di violenza che coinvolge le due ragazze (una verginella e una più spudorata) e il loro amico, ma pure la donna del boss. Le scene erotiche si susseguono a ripetizione sino all’arrivo dei mafiosi che sorprendono Bob e Rico. Gli scagnozzi hanno recepito la segnalazione di una donna delle pulizie che ha trovato il biglietto lasciato da Lorna nel bagno. Però gli uomini di Archie Moran si fanno beffare dal negro che non avevano tenuto in considerazione. I tre alla fine riescono a fuggire ma senza il denaro. Infatti la ragazza che pareva un’ingenua verginella durante un rapporto sessuale con il negro si è impossessata dei cinquemila dollari.
Il film nasce come un thriller erotico soft, ma viene contraffatto in hard dalla produzione che inserisce alcune scene girate da disinibite controfigure. Brigitte Petronio proprio per questo motivo ripudia la pellicola e fa causa alla produzione. Diciamo subito che Joe D’Amato si ispira a L’ultima casa a sinistra di Wes Craven (1972) ma che il suo film non presenta identica dose di sadica violenza. Massaccesi neppure lo vorrebbe, in fondo. Il suo cinema è estremo ma conserva sempre quel briciolo di umanità e di ironia che altri autori non hanno. E così parti comiche si alternano ad altre più crude, come spesso è l’erotismo ad avere il sopravvento. Il personaggio di Bob, per esempio, è una via di mezzo tra la maschera surreale e ridicola e il sadico violentatore. Rico fa lo spavaldo e il duro ma poi pare innamorarsi davvero della donna del boss. Il negro sembra che voglia approfittarsi della verginella e in una scena piuttosto forte tenta di violentarla, ma poi pentito la prende con dolcezza e le insegna a far l’amore. Addirittura la fa godere accarezzandola e baciandola nelle parti intime e pensa soltanto al suo piacere. Tutto abbastanza surreale, se si vuole. Nasce una complicità tra rapiti e rapitori stile sindrome di Stoccolma che ha un vago sapore fumettistico, perché il regista non la spiega troppo bene e fa accadere gli eventi repentinamente. I personaggi appaiono stereotipati e privi di spessore, indecisi come personalità, piatti come carattere. Una pecca non da poco.
Un anno dopo (1980) Ruggero Deodato gira La casa sperduta nel parco, simile come ambientazione ma completamente diverso perché la pellicola non lascia spazio a ironia e sentimenti. La casa sperduta è puro cinema alla Wes Craven, sadico e violento, che in comune con il film di D’Amato ha due attori: Brigitte Petronio e Christian Borromeo. Secondo noi le cose migliori de Il pornoshop della settima strada sono da ricercare sul versante erotico dove D’Amato dimostra di saperci fare. Troviamo le sequenze tipiche del suo cinema con le donne che guardano da porte socchiuse e si masturbano, oppure i rapporti sotto la doccia. Poi c’è la trovata originale di un bandito che gioca a biliardo e la buca è l’organo sessuale di una delle ragazze. Nel cinema erotico di D’Amato capita spesso di vedere meno di quel che il regista promette, ma fa parte del gioco.
La recitazione spesso non è all’altezza, le battute sono scontate e mal impostate. Salverei la Petronio, per bellezza e sensualità. Altro difetto nelle pellicole di Massaccesi è la lentezza e l’eccessiva lunghezza di alcune sequenze (durante gli spostamenti in auto pare una gita turistica per New York). La pellicola è un esempio di sexploitation alla D’Amato e alterna scene violente a sequenze dichiaratamente erotiche.
Immagini di un convento è sempre del 1979 ma si cambia genere. Marco Giusti lo ascrive al tonaca-movie sulla scia di Interno in un convento di Walerian Borowczyk (1977). In realtà a fine anni Settanta i film erotici girati tra monache e frati si sprecavano e forse non è sbagliato parlare di un sottogenere di tipo conventuale. Qualcuno ha parlato di Nunsploitation per il genere delle suore indemoniate e peccaminose e anche di women in prison (donne in prigione), perché le suore sarebbero donne costrette all’interno di una struttura conventuale. Fabio Giovannini (Il cinema di Walerian Borowczyk, Mare Nero) a proposito di Interno di un convento dice che “dà nuovo impulso al vero e proprio mini-filone dedicato al sesso claustrale”. Concordiamo con Antonio Tentori e Antonio Bruschini quando definiscono il sotto-genere come monache nel peccato (vedi Malizie perverse, Granata Press). Per Giovannini Immagini di un convento “sin dal titolo e dalla fotografia flou rende omaggio a Borowczyk, pure se la vicenda è arricchita di rimandi al satanismo”. Anche La vera storia della Monaca di Monza di Bruno Mattei (1980) è un film di chiara ispirazione a Borowczyk. Massaccesi d’altro canto presenta così il suo film: “La vita in un convento secondo Joe D’Amato, sconsigliato ai cattolici praticanti…”. Fa quasi tutto Massaccesi: regia, fotografia, soggetto e sceneggiatura (con lo pseudonimo di Tom Salima), le musiche sono dell’ottimo Nico Fidenco (dirette dal maestro Dell’Orso), il montaggio di Vincenzo Vanni e Roberto Savoca. Donatella Donati (moglie di D’Amato) è aiuto regista, mentre la produzione è di Oscar Santaniello per la Kristal Film. Distribuito da Orange. Interpreti: Paola Senatore (Isabella), Donald O’Brien (l’esorcista), Angelo Arquilla (Guido Banjo), Marina Ambrosini, Marina Handman Bellis (Marina Frajese – Suor Marta), Paola Maiolini, Aiché Nanà, Maria Rosaria Riuzzi, Giovanna Mainardi, Marina Ambrosini, Ferruccio Fregonese, Plard Sylviane Anne Marie, Pietro Zardini, Brunello Chiodetti.
Il film è tratto da La religieuse di Denis Diderot, dicono i titoli di testa, molto liberamente, come il successivo La monaca nel peccato (1986). Si tratta di un lavoro ottimo, ne consigliamo la visione a tutti coloro che vogliono avere una dimostrazione di quel che sapeva fare un Massaccesi libero e ispirato. La storia narra di Isabella (una stupenda Paola Senatore) costretta a farsi suora dai genitori. La donna è stata sottratta a Don Ascanio, uno zio privo di scrupoli con cui aveva una relazione. Il convento però è indemoniato. Non si sa se la colpa sia di Isabella, che porta il peccato tra quelle mura con atteggiamenti, masturbazioni e ricordi lussuriosi. Fatto sta che la statua del diavolo è in primo piano sin dalle prime sequenze. Le finestre si spalancano a causa di un vento infernale, uno spirito maligno possiede le suore e le spinge a masturbarsi e a compiere eccessi erotici. Da qui lo spunto per gli accoppiamenti saffici tra Paola Senatore e Marina Frajese (suor Marta) e anche tra le altre suore, che per un soft-core sono molto audaci. Ci sono scene crude e sensuali, come quando suor Marta frusta suor Virginia e subito dopo la bacia e lecca le ferite sanguinanti. Una sequenza ai limiti dell’hard. Il convento era stato edificato sulle rovine di un tempio pagano e là in passato era accaduto di tutto. La statua del diavolo in giardino simboleggia il passato e tutti la chiamano “il dio sconosciuto”. Ecco il motivo degli strani eventi. Le cose si complicano quando ai piedi della statua del diavolo viene rinvenuto un giovanotto ferito. Suor Veronica (la più anziana) se ne occupa, ma lui cerca di fuggire e di farsi le suore più giovani, soprattutto Isabella. Suor Isabella e suor Marta si accorgono che l’uomo è un indemoniato e la madre superiora incarica Marta di andare a cercare un esorcista. Nel bosco la suora viene catturata e violentata da una banda di briganti. Questa scena è molto dura e sconfina nell’hard, tanto che nelle copie messe in circolazione sul mercato italiano è stata eliminata dalla censura. Marina Frajese, non ancora diva del porno, viene costretta a una ripetuta fellatio (si vede in primo piano) e a una doppia penetrazione con tanto di membri in bella erezione. Un po’ di tempo dopo l’esorcista trova suor Marta nuda e sconvolta nel bosco, la porta al convento, dove si stava recando spinto da un presentimento di maleficio. Il prete dice che con l’arrivo di Isabella e del ragazzo nel convento è entrata la lussuria, i due sono strumenti del maligno e lui ha il compito di combatterli. Il padre esorcizza il convento e intima alle suore peccatrici di non pregare perché il signore è in collera con loro. A questo punto vediamo l’acqua benedetta mutarsi in sangue e il diavolo di pietra perde sangue dalla bocca. La lotta tra il prete e Satana è terribile, le suore sono sempre più libidinose, si spogliano e tentano l’esorcista offrendosi nude. A un certo punto pare che abbiano pure la meglio, ma è Isabella a risolvere la situazione uccidendo il ragazzo con una coltellata al petto. Subito tutto torna alla normalità. Il prete solleva il coltello insanguinato al cielo e ringrazia. Era per mezzo del giovane che il diavolo si manifestava. Il finale rimane aperto, pare che il diavolo non ne voglia sapere di abbandonare e accadono nuove apparizioni.
Massaccesi in questa pellicola contamina un numero indefinito di generi perché non fa soltanto erotismo spinto, ma sfiora l’hard core, girando un tonaca-movie con frequentazioni esorcistiche.
Terminiamo l’analisi dei film girati da Massaccesi sul finire degli anni Settanta con quattro pellicole del 1980: Porno esotic love, Porno Holocaust, Sesso nero e Hard sensation.
Porno esotic love è un hard-core e per molti autori si tratterebbe di un rimontaggio del vecchio Eva Nera (Black Cobra). Il film alterna scene soft girate da Laura Gemser, Gabriele Tinti e Dirce Funari ad altre hard realizzate nella Repubblica Dominicana e interpretate da Anna Maria Napolitano (Annj Goren) e Manlio Cersosimo (Mark Shanon). Premesso che la storia segue il canovaccio di Eva Nera e presenta in sostanza la stessa conclusione, secondo noi non si tratta di un rimontaggio ma di un collage di sequenze tenute assieme da un esile filo conduttore. Di conseguenza lo sviluppo narrativo risulta confuso perché fatto con tagli e incastri in sala montaggio. Gli attori, a parte Jack Palance che non compare, sono gli stessi di Eva Nera con l’aggiunta di Mark Shanon, Annj Goren e Dirce Funari. Cast tecnico: montaggio Vincenzo Vanni, scenografie Ennio Michettoni, musiche Alessandro Alessandroni, soggetto e sceneggiatura Giacinto Bonacquisti (non ha durato molta fatica…). Joe D’Amato è il regista e come Massaccesi firma la fotografia. Aiuto regista è la moglie Donatella Donati, operatore Enrico Biribicchi. Direttore di produzione Massimo Alberini. Come abbiamo detto il film è un hard, sono numerose le scene di sesso esplicito, incentrate soprattutto sulle fellatio tra Shanon e la Goren. Da citare come fatto storico la prima eiaculazione completa in viso e in bocca in una pellicola italiana. Il film si compone di due parti appiccicate assieme: una girata a Santo Domingo (la finzione è di trovarsi ad Haiti) e una a Hong Kong, prelevata in toto da Eva Nera. La location tropicale è come sempre molto azzeccata e credibile. Una musica a base di maracas e tamburi dà il via alla pellicola e subito troviamo Laura Gemser (Eva) sul letto che pensa a Iris (Annj Goren), la sua ragazza perduta. Si eccita e si masturba pensando all’amica che fa sesso su una spiaggia dei Caraibi. Scopriamo subito dopo che Iris è morta per overdose e che Eva non ha potuto evitare la tragedia. Su questa nuova struttura narrativa che fa da contenitore si innestano vecchie sequenze di Eva Nera e quindi l’azione si sposta a Hong Kong. I dialoghi sono completamente rifatti, manca la figura di Jack Palance, il boss amante dei serpenti. In Porno esotic love il protagonista principale è Gabriele Tinti (Steve) che lascia la scena a Mark Shanon per gli inserti hard. Il film vorrebbe raccontare la storia di un traffico di droga tra Hong Kong e Haiti, dove Eva e Iris (le due amanti) sono pedine nelle mani di un terribile capo che tutti chiamano “il console” (Mark Shanon). Le scene di Eva Nera servono per costruire un nuovo film, confuso e raffazzonato quanto si vuole, ma pur sempre diverso dall’originale. Iris è una tossicodipendente costretta per necessità a fare da corriere della droga e deve subire continue umiliazioni da parte del boss, che pretende servizi particolari a domicilio compensati con dosi di droga. Nel film troviamo scene di rapporti saffici tra Laura Gemser e Dirce Funari, rigorosamente soft, come pure sono soft le parti che vedono insieme Shanon e la Funari. Le uniche sequenze hard sono interpretate da Shanon e Goren. Eva vorrebbe salvare Iris e denuncia il traffico illecito a un’amica giornalista (che tra l’altro si porta a letto), ma Steve interviene e fa fuori la pericolosa testimone facendola mordere da un serpente velenoso (la scena è ripresa in toto da Eva Nera). Da Eva Nera ritroviamo anche le parti in cui Eva balla in un night con un serpente e il pasto a base di serpente spellato e cotto alla fiamma a Hong Kong. Poco credibile e fuori luogo risulta l’esibizione di Annj Goren insieme a un negro dal membro enorme che non ne vuol sapere di sollevarsi… Si arriva alla fine del film con Eva che vendica sia Iris che l’amica giornalista facendo infilare a Steve un serpente nell’ano. Niente di nuovo rispetto a Eva Nera. Il film non decolla mai ed è molto confuso, si nota che è composto da parti di pellicole unite a fatica.
Sesso nero viene classificato come il primo hard italiano ed è il primo film girato da D’Amato nella Repubblica Dominicana insieme a Papaya dei Caraibi. Incassa oltre un miliardo e lancia il genere in Italia. D’Amato comincia a far coppia fissa con Luigi Montefiori (George Eastman) e la loro collaborazione artistica d’ora in poi sarà una costante. Qui troviamo Montefiori nelle vesti di attore (piccola parte come gestore di un locale) e di sceneggiatore. Partecipa alla sceneggiatura in sede di revisione pure Luigi Cozzi. Le musiche sono di Nico Fidenco, il montaggio di Ornella Micheli, le scenografie di Ennio Michettoni. Interpreti: Mark Shanon (l’italianissimo Manlio Cersosimo), Annj Goren, (italiana anche lei: è Anna Maria Napolitano), George Eastman (Luigi Montefiori) e la fascinosa dominicana Lucia Ramirez (non accreditata).
La storia racconta il dramma di Mark, che deve essere operato per una disfunzione alla prostata ed è consapevole che diventerà impotente. Il suo medico vorrebbe operarlo subito, ma lui decide di concedersi prima quindici giorni di sesso a Santo Domingo, dove dodici anni prima aveva conosciuto Maira, la ragazza della sua vita. Arrivato sull’isola Mark ritrova alcuni vecchi amici e chiede informazioni su Maira. Nel frattempo trova il modo di farsi trastullare dalla moglie dell’amico Jack (la bella dominica Lucia Ramirez), un francese che si è trasferito a Santo Domingo e che sogna di aprire una scuola sull’isola. Appena Jack se ne rende conto scaccia di casa Mark in malo modo e dopo alcuni giorni si vendica rendendo il servizio alla moglie di Mark, che è arrivata a Santo Domingo per convincere il marito a tornare a casa per operarsi. Mark intanto vaga per Santo Domingo e crede di vedere Maira riflessa in una vetrina. Annj Goren interpreta la ragazza ed è un po’ troppo bianca per essere una bellezza caraibica, ma a quei tempi non ci si faceva caso…
Da segnalare che nell’economia di un film hard D’Amato si lascia andare a divagazioni sociali non da poco. Il protagonista considera che anche a Santo Domingo sono arrivati i grandi alberghi e che qualcosa è cambiato, ma non la gente che è sempre spontanea. Il regista effettua alcune belle riprese della città, delle baraccopoli attorno al fiume, dei palazzi coloniali e delle spiagge caraibiche. Tutti momenti pregevoli della pellicola.
Tornando alla trama, Mark incontra il padre di Maira, un vecchio stregone vudù che armeggia con le bottiglie che contengono le anime dei morti. Le sue parole sono terribili: “Tu resterai qui per sempre e morirai della malattia che ti porti addosso. Maira è morta, ma per te è sempre viva perché l’hai abbandonata e illusa mentre lei ti amava. Ho la bottiglia con la sua anima e con quella la vendicherò”. Pare che Maira sia morta in un incidente stradale maledicendo il nome di Mark.
D’Amato trova il modo di parlare della religione dominicana fatta di superstizioni e riti legati all’ambiente del vudù. Lo fa per bocca di Luigi Montefiori, gestore di un improbabile night dove invece che ballare il merengue si fanno spogliarelli all’europea. A nostro parere la scena è girata a Roma in un locale della capitale. Montefiori è un greco che si è stabilito a Santo Domingo e dice a Mark: “Durante una cerimonia vudù se le bottiglie sono aperte il morto torna sulla terra”.
Mark alla fine incontra davvero una donna che pare proprio Maira e si meraviglia che non sia cambiata rispetto a dodici anni prima, quasi che il tempo non fosse passato. La donna lo tormenta e lo accusa, poi gli dà un appuntamento sulla spiaggia “al solito posto” e gli fa mangiare un’erba che lo paralizza e gli fa ricordare il passato. Lo umilia e lo fa soffrire, perché fa sesso con un giovane mulatto mentre Mark piange sui ricordi che non possono tornare. Soltanto alla fine la donna si concede a Mark, ma lui ormai è completamente folle per il dolore e per la consapevolezza che diventerà impotente. In realtà la donna non è Maira ma la sorella più giovane, addestrata dal padre stregone per vendicare la figlia maggiore. Mark non fa in tempo a capirlo e in preda alla pazzia prima uccide una donna e poi sulla spiaggia si evira (bella scena splatter), dopo aver avuto un rapporto con la finta Maira.
Sesso nero è un porno-dramma psicologico che mostra per la prima volta alcuni rapporti sessuali in dettaglio. Importante per la forza trasgressiva tipica del cinema estremo alla Massaccesi. Oggi che il porno è un fenomeno di consumo di massa tutto questo sembra normale, ma allora si mostrava qualcosa di nuovo, osando sfidare l’ira dei censori e dei moralisti. La scena finale con il protagonista che si evira sulla spiaggia resta un cult del cinema di sexploitation all’italiana.
Hard Sensation è un’altra collaborazione Massaccesi-Montefiori con identico cast tecnico e di attori, compresa la caraibica Lucia Ramirez che non risulta accreditata. Sempre girato a Santo Domingo, è la storia di tre evasi che si rifugiano in un’isola e prendono possesso della casa estiva di tre studentesse che violentano a più riprese. Non solo hard, quindi. La sexploitation è presente anche in questo lavoro che contamina due generi. La cosa caratteristica di questi film girati a Santo Domingo è che i soliti attori, vestiti allo stesso modo e in identiche location, interpretano ruoli diversi. In Hard Sensation la dominicana Lucia Ramirez è la precettrice di due ragazze figlie di un possidente (il padrone di uno zuccherificio) che vanno in vacanza in compagnia di un’amica figlia di un capitano. Il viaggio in barca verso l’isola lo ritroviamo (un po’ più lungo) in Porno Holocaust, pure l’isola è la stessa di tutti i film del periodo, sono identici anche spiaggia e tronco su cui Shanon e Ramirez scopano. Sono molte le scene che sanno di già visto e la colonna sonora ci ricorda qualcosa…
Durante i primi giorni di soggiorno resta il tempo per qualche breve divagazione sociale. D’Amato affronta il rapporto padri-figli e il tema adolescenziale delle proibizioni su libri e film. Un velato discorso anti borghese prende di mira le convenzioni sociali. Tutto molto ovvio e scontato, niente di impegnato, ma in un film hard pare comunque molto insolito. Le ragazze si annoiano perché sull’isola c’è poco da fare, i marinai le osservano mentre fanno il bagno nude e saprebbero come far passare il tempo, ma non possono perché una differenza sociale li separa. In questa situazione irrompono i tre evasi e comincia la spirale di violenza. Prima muoiono i marinai e poi Shanon, il più feroce dei tre, comincia a violentare le ragazze. I tre ex galeotti sono tratteggiati bene, anche se i ruoli risultano stereotipati. George Eastman è il buono che vorrebbe aiutare le ragazze, ma viene reso impotente e costretto a far l’amore con Dirce Funari (fingono perché entrambi non sono attori hard). Mark Shanon è implacabile e privo di scrupoli, soprattutto se la fa con Lucia Ramirez, intrattenendo il pubblico con scene di sesso esplicito. Infine il terzo è un omosessuale isterico, che prima uccide per sbaglio uno dei marinai, poi fa ubriacare Annj Goren (di J & B, liquore mitico del cinema di genere) per offrirla a un insaziabile Shanon. Montefiori viene scoperto a fare il doppio gioco e messo in condizioni di non nuocere, le ragazze tentano una fuga e vengono riprese, seguono altre violenze e qualche scena hard. Alla fine Montefiori viene strozzato da Shanon che lo attira in un’imboscata, ma le ragazze se la cavano lo stesso ingannando l’omosessuale con un finto malore. Uccidono prima il loro carceriere con un colpo di bastone, quindi in spiaggia fanno fuori Shanon a fucilate. “Non è successo niente” dice la Ramirez nelle sequenze finali “dobbiamo convincerci che è stato così. Gli uomini si sono ammazzati tra loro, a noi non è accaduto niente”.
Non crediamo di sbagliare se diciamo che questo buon hard di Massaccesi è contaminato da scene tipiche del rape e ravenge (stupro e vendetta). Le parti porno esplicite non sono così numerose, ricordiamo qualche scena di amore saffico, molte fellatio e pochi rapporti completi. Le sequenze hard sono interpretate da: Annj Goren, Mark Shanon e Lucia Ramirez. Il film si fa apprezzare per la storia che appassiona al punto giusto.
Terminiamo con Porno Holocaust, un hard-horror scritto e diretto dal duo D’Amato-Montefiori a Santo Domingo. Collabora alla regia Bruno Mattei. D’Amato firma la sceneggiatura come Tom Salina, il montaggio è di Ornella Micheli. Da citare le buone musiche esotiche di Nico Fidenco. Interpreti: George Eastman (dott. Lemoir), Dirce Funari (Simone Keller), Annj Goren (la Contessa), Mark Shanon (il Tenente) e Lucia Ramirez (Annie).
Non vi fidate di Marco Giusti che nel suo Stracult edito da Sperling e Kupfer confonde gli attori e dice che Mark Shanon è lo scienziato e Montefiori fa la parte del mostro. Forse si è fatto prendere la mano da alcune similitudini con Antropophagus. Il mostro non è Montefiori ma una comparsa dominicana che indossa una buffa maschera nera che pare un trucco di carnevale.
Secondo noi Porno Holocaust è il film più riuscito del periodo dominicano perché folle e visionario come il miglior cinema di Massaccesi. A parte questo ci sono i difetti di sempre, come la lentezza esasperante e la recitazione più che approssimativa, ma possiamo dire che anche le cose negative contribuiscono a rafforzare il mito di un cinema estremo fatto in casa. La prima parte è un modo per conoscere Santo Domingo, perché la macchina da presa si sofferma a inquadrare suggestivi squarci di vita locale e strade del centro. La trama si racconta velocemente tanto è ridotta. Una variegata equipe composta dal dottor Lemoir, dai biologi Ken e Simone Keller (marito e moglie in crisi), dalla dottoressa Annie, da un’improbabile contessa ninfomane e da un tenente di marina, si reca in un’isola tropicale per compiere delle ricerche. La spedizione viene seguita a distanza anche da un giornalista (Benoir). Nel corso della pellicola si scopre che un test nucleare ha dato vita a una strana forma di mutazione genetica: gli animali sopravvissuti hanno assunto dimensioni spropositate. Non solo: un uomo ha subito una mutazione terribile che lo ha trasformato in un mostro dal viso deforme e dal fallo gigantesco. L’essere ha il brutto vizio di violentare le donne e sventrarle con quella specie di affare che si ritrova tra le gambe. A un certo punto il gruppo di ricercatori si trova bloccato sull’isola perché qualcuno ha disancorato la barca spingendola al largo (lo stesso tema si ritroverà in Antropophagus). Prime vittime del mostro sono Simone e Ken e la donna viene sventrata dopo un abnorme rapporto sessuale. Seguono le altre vittime e viene usata almeno un paio di volte la tecnica della bistecca sanguinolenta spiaccicata in faccia per simulare volti distrutti da colpi di randello. Montefiori viene strozzato e vomita sangue dalla bocca, la Goren è violentata e sventrata dal gigantesco attrezzo del mostro, il giornalista viene ritrovato in un lago di sangue. Sopravvivono soltanto Mark Shanon e Lucia Ramirez che per festeggiare si danno a un rapporto sessuale sfrenato a bordo della barca che sta prendendo il largo. Il film è fatto apposta per scioccare il pubblico e a pieno titolo lo possiamo classificare di pura sexploitation. La pellicola segna un’ulteriore tappa del cinema estremo massaccesiano che cerca una via originale fatta di contaminazioni tra più generi (horror-hard-erotico). Non mancano le scene di sesso piuttosto esplicite e ben curate nelle quali spiccano come protagonisti la bella dominicana Lucia Ramirez e Mark Shanon. Fanno la loro parte anche Annj Goren e Dirce Funari, prima di finire entrambe sventrate dal mostro sulla spiaggia. Annj Goren la ricordiamo per una scena di uno squallido e morboso rapporto sessuale con due neri all’interno di una casa di prostituzione per donne di Santo Domingo. Qui vediamo una delle due comparse locali che a un certo punto si rivolge verso la macchina da presa con fare interrogativo. Non sa che fare… Ci sono palesi problemi di erezione dovuti a imbarazzo e poca professionalità. Si tratta di figuranti hard reclutati sul posto. Frequenti le scene di sesso saffico tra Funari e Goren, recitate con un po’ di imbarazzo e con evidente finzione. Molto trash la musica romantica durante i rapporti, soprattutto gli innaturali mugolii registrati in studio e inseriti come sottofondo. Sono le prime scene hard della storia, girate in modo artigianale e pionieristico, si nota tutto l’imbarazzo dell’attrice nelle scene di fellatio.
Molte sequenze hard (si pensi a quella sul tronco nella spiaggia deserta) sono state utilizzate per altri film del periodo come Orgasmo nero e Hard Sensation. Tra l’altro il film era stato concepito come un puro horror che si sarebbe dovuto intitolare Holocaust. D’Amato decide di girare alcune sequenze hard e di inserirle, anche perché con la stessa troupe stava girando altri hard. Ne viene fuori questo singolare quanto affascinante ibrido che si chiama Porno Holocaust. Nel film notiamo da molti particolari già in nuce l’idea di Antropophagus: il respiro affannoso del mostro che spia la spedizione, la caverna dove si rifugia, il diario scoperto dalla Ramirez, il suo passato da uomo normale… Certo che tra i due film c’è una grande differenza e Antropophagus è una pellicola importante mentre Porno Holocaust si salva soltanto per la bizzarria e la voglia di trasgredire. Le scene di violenza sono poco esasperate, si insiste più sul sesso che sul terrore. Si vede un po’ di sangue inserito in un contesto troppo trash per spaventare. C’è anche una specie di storia d’amore stile “la bella e la bestia” tra Ramirez e mostro che si intenerisce davanti alla fascinosa quanto inespressiva attrice (?) dominicana e le regala frutta e fiori. L’amore per la donna gli sarà fatale e il tenente ucciderà il mostro sparandogli contro un colpo di arpione.
Una rapida menzione la merita Pornovideo (1980) di Giuliana Gamba (si firma Therese Dunn), prodotto e fotografato da Massaccesi. Un hard al femminile con Pauline Teutscher, Françoise Perrot, Sonia Bennet e Mark Shanon. Aristide Massaccesi aiuta la Gamba per la regia, pensando che un hard girato da una donna avrebbe incuriosito il pubblico. Non è buon profeta: la pellicola è un fiasco colossale.
I primi hard di Aristide Massaccesi sono molto importanti perché aprono una breccia nel mondo del cinema italiano. Sino ad allora c’era stato soltanto il fenomeno degli inserti hard nei film erotici, spesso realizzati all’estero all’insaputa delle attrici. Adesso si passa esplicitamente al porno. In Italia nascono le prime sale a luci rosse (il Majestic di Milano) per difendersi dalle frequenti accuse di offesa al buon costume che fanno sequestrare un film su tutto il territorio nazionale. Nella sala a luci rosse c’è il faro luminoso esterno che avvisa lo spettatore su quel che accade dentro. Si riducono al massimo i possibili ricorsi alla magistratura e si fanno incassi notevoli. La novità attira.
Massaccesi con questa impresa di Santo Domingo resta nella storia come un vero pioniere dell’hard capace di girare con una stessa troupe (poco numerosa) ben cinque film. Dopo di lui la schiera dei registi che alternano erotico ad hard aumenta: Mario Siciliano, Mario Bianchi, Andrea Bianchi, Luca Damiano… tutti registi che passano con disinvoltura tra vari generi, perché la figura dello specialista di film porno non esiste. Nella storia del porno italiano è il primo passo, per un decennio convivono senza darsi fastidio la commedia scollacciata (Gloria Guida ed Edwige Fenech) e il porno puro. Prima di questa esperienza c’erano stati i film documentaristici come Europa di notte di Blasetti, o i mondo movies di Jacopetti e Prosperi. Negli anni Ottanta nasce Diva Futura con Riccardo Schicchi, Moana Pozzi, Cicciolina e le cose cominciano a cambiare. Il Video modifica i gusti del pubblico e il mercato si adegua: il cinema a luci rossa diventa un relitto della storia. Torneremo sull’hard nella parte che esamina gli anni Novanta e il ritorno al porno di Joe D’Amato.
(4 – continua)