Il suo è uno stile di scrittura ricco nel linguaggio, con tante digressioni e una smisurata capacità di immaginazione, per cui ogni luogo nelle sue narrazioni diviene un piccolo universo come lo è Macondo per Garcia Marquez. Lo scrittore in questione è Giordano Meacci che con Il cinghiale che uccise Liberty Valance (Minimum fax – 2016), romanzo visionario con risvolti da favola, quest’anno è tra i dodici semifinalisti del Premio Strega. Giordano Meacci è nato a Roma nel 1971 e ha pubblicato tantissimo sia di narrativa sia di saggistica, tra i suoi titoli ricordiamo: Versi rock (Rizzoli, 1996); Improvviso il Novecento. Pasolini professore (Minimum fax, 1999); Fuori i secondi – Guida ai personaggi minori (Rizzoli, 2002); Tutto quello che posso (Minimum fax 2005); Improvviso il Novecento – Pasolini professore (Minimum fax 2015). Numerosi, inoltre, sono i racconti entrati a far parte di antologie.
Il cinghiale che uccise Liberty Valance, definito dal saggista giornalista e critico letterario Goffredo Fofi “il romanzo più sorprendente di questi mesi…”, è ambientato in un immaginario paese denominato Corsignano, collocato tra l’Umbria e la Toscana, e narra la storia di un animale – appunto un cinghiale – che ha acquistato capacità umane, per cui formula pensieri compiuti. La storia, metafora del rapporto uomo-animale e di profondità psicologica degna di nota, è suddivisa in cinquantadue capitoli e intreccia molteplici vicende che si dipanano nel corso di un anno.
Il romanzo è stato recentemente presentato a Matera, in una delle tante attività del Women’s fiction festival, da Mariateresa Cascino (presidente dell’associazione Matera Letteratura) e da Emmanuele Curti, docente dell’Università di Basilicata, quest’ultimo si è soffermato sulla forma e sullo straordinario linguaggio pieno di citazioni e contaminazioni letterarie e cinematografiche che Meacci ha sviluppato nei lunghi anni, ben sedici, di elaborazione del testo, che va dal barocco al post-moderno.
In questo senso l’autore ha confermato che l’interazione del linguaggio adoperato va dalle influenze esercitate dalle letture di Calvino, Marquez, Faulkner, Dickens, Stephen King, Asimov, sino a Tolkien, per arrivare a quelle di saghe come Star Trek e Star Wars, solo per citare alcune delle sue fonti di ispirazione. Dopo la presentazione lo abbiamo intervistato e a questo punto non potevamo esimerci dal chiedergli cosa lo affascina della letteratura fantastica e in particolare del maestro Stephen King che ha più volte citato:
“Il fantastico mi diverte molto – ci ha risposto. Quanto a Stephen King lo considero un assoluto maestro di stile. Lui dilata il genere che frequenta di più e ha raccontato il mondo del Maine reinventandolo attraverso i fantasmi dell’inconscio, universalizzandolo in romanzi che si collegano l’uno con l’altro, intrecciandosi. King ha raccontato i demoni oscuri che infestano non solo gli esseri umani ma anche la società che stiamo vivendo e lo ha fatto con la capacità narrativa che è propria di poche persone al mondo”.
QUANTO LO HAI FATTO TUO E QUANTO NE HAI PORTATO NELLA TUA ULTIMA OPERA IN CUI C’E’ INTERAZIONE TRA TANTI AUTORI E MODELLI LETTERARI?
Stephen King è uno dei miei autori preferiti e come si dice da lettori partecipi, continuo a leggerlo e rileggerlo. Lui gioca e in un’intervista ha detto: “mi basta tenervi incollati ai miei libri dall’inizio alla fine”. In realtà quei libri sono scritti magnificamente: è una linea dickensiana della narrazione che continua in lui e che in lui assume le forme di questa voglia di scandagliare i limiti della percezione umana del reale.
Ciò è un di più rispetto al fatto che King ha un’indubbia capacità di affascinarti. Insomma, il fondamentale della narrativa è quello di tenerti incollato alla pagina e raccontarti delle storie che ti riconducano a quando hai imparato che le storie possono essere raccontate. In questo senso la mia è un’apologia di Stephen King. E poi, ripeto, amo gli scrittori che rappresentano piccoli mondi: lui lo ha fatto con il Maine, Garcia Marquez con Macondo, Willam Faulkner con Yoknapatawpha (territorio irreale del Mississippi nel quale il grande autore statunitense immagina le sue narrazioni, ndr). Mi hanno sempre affascinato scrittori che riescono a creare mondi sia attraverso il linguaggio sia attraverso la vocalizzazione più o meno reale dei mondi che raccontano”.
NELLA PRESENTAZIONE DEL TUO ROMANZO, PER STILE E FORMA, HAI FATTO DEI RIFERIMENTI ANCHE A PIETRE MILIARI DELLA LETTERATURA FANTASTICA COME TOLKIEN E ISAAC ASIMOV, MA ANCHE A GRANDI IDEATORI DELLE SAGHE CINEMATOGRAFICHE E TELEVISIVE DI FANTASCIENZA, COME GENE RODDENBERRY…
Sì, in realtà penso a Tolkien più mediato da George Lucas o allo stesso Roddenberry. Nel senso che nelle grandi saghe di Guerre stellari o nelle serie di Star Trek, Lucas e Roddenberry hanno intuito alcune cose fissando i cardini di un nuovo immaginario, certo fondandosi sugli scritti di Tolkien e Asimov. Ma ci sono tanti altri riferimenti che mi appartengono come ad esempio le Amazing stories che ho visto in tv. Ritengo che per dare forma all’oggetto del contenuto la cosa fondamentale sia come viene resa la forma d’arte. Il racconto lo decide la lingua che tu usi per quella narrazione e lo stile. Una cosa che dico sempre quando vado nelle scuole a parlare di letteratura è che “I Promessi Sposi”, senza la forma, si ridurrebbero alla formula di ‘essa, iss e o malamente’…
IN QUALE GENERE RITIENI SI POSSA INSERIRE “IL CINGHIALE CHE UCCISE LIBERTY VALANCE?”. E’ POSSIBILE PARLARE DI RACCONTO FANTASTICO?
Non lo so perché si parla di un cinghiale che per motivi imperscrutabili impara il linguaggio degli umani. Ma sono fermamente convinto che non esistono dei confini in arte. Non esistono limiti anche se ci sono dei confini che vanno visti e per poterli attraversare devi crearne sempre di nuovi. Non esistono cose impossibili ma cose non provate. Penso alla fascinazione che potrebbe avere un uomo del Cinquecento nel vedere il mondo così come lo vediamo noi oggi: vedrebbe cose che non tornano nei suoi parametri e quindi cose fantastiche. Il mio è un romanzo che può essere visto sia nella sua dimensione di irrealtà sia nella dimensione di realtà.
QUALE SENSAZIONE PROVI AD ESSERE UNO DEI DODICI SEMIFINALISTI DELLO STREGA?
Mi fa piacere. Il romanzo è uscito a marzo e la cosa che mi piace è che riesco a parlare con molti lettori che hanno simpatia e affetto verso questo personaggio che poi è il cinghiale. Inoltre, sono felice che il romanzo venga giudicato accogliente nonostante la struttura e la lingua, questa è la cosa che mi rincuora di più. Poi, la presenza in dozzina la vivo, come sosteneva il poeta Attilio Bertolucci, non come una cosa normale ma quotidiana, cioè come una cosa che può capitare nella vita. Pertanto, è bello vedere cosa succederà!
E NOI CONFIDIAMO DI VEDER PASSARE “IL CINGHIALE CHE UCCISE LIBERTY VALANCE” NELLA COSIDDETTA CINQUINA DEL PREMIO… QUINDI, CARI LETTORI, RIMANETE SINTONIZZATI!