EROTISMO, ORRORE E PORNOGRAFIA SECONDO JOE D’AMATO 06

Antropophagus

Antropophagus è del 1980 e segna un’altra tappa indimenticabile nel cammino artistico di Joe D’Amato.

Il film è scritto da Luigi Montefiori (che interpreta anche la parte del mostro cannibale con lo pseudonimo di George Eastman) e Aristide Massaccesi. Il resto del cast tecnico vede sempre Massaccesi alla sceneggiatura, Enrico Biribicchi alla fotografia (pare che in realtà l’abbia curata Massaccesi) e Ornella Micheli al montaggio. Le musiche (suggestive e ispirate) sono di Marcello Giombini. Produzione di Oscar Santaniello per P.C.M. International e Filmirage. Distribuito da Cinedaf.

Interpreti: Tisa Farrow (Julie), Saverio Vallone (Alan), Vanessa Steiger – Serena Grandi sotto pseudonimo – (Meggy), Mark Bodin (Daniel), George Eastman (Klaus Weltman), Zora Ulla Keslerowa (Carol), Bob Larson (Harold), Rubina Rey (Ariette) e Margaret Donnely (Ruth).

Il film è stato girato interamente nel Lazio, a parte qualche esterno ad Atene (l’Acropoli e il cambio della guardia). Le riprese iniziarono nell’aprile 1980 e durarono un mese. Il film fu girato in 16 mm e successivamente gonfiato a 35 mm., prodotto dalla neonata Filmirage, fondata da Joe D’Amato e da Donatella Donati. Il film fu girato in esterni ad Atene, Sperlonga, Nepi e a Sutri, mentre gli interni furono girati in una villa a Sacrofano (proprietà del padre di Donatella Donati). La misteriosa isoletta greca avvistata dalla barca è in realtà Ponza. Le scene ambientate nella grotta sono state girate nella Catacomba di Santa Savinilla a Nepi. Per l’occasione – come raccontato da Joe D’Amato a Nocturno Cinema – venne affittato un gran numero di teschi e ossa di plastica da mettere nelle diverse nicchie assieme ai veri resti umani presenti. Al termine delle riprese, vennero raccolte per sbaglio tutte le ossa, vere e finte, che in seguito D’Amato conservò a casa sua.

Si parte alla grande con due turisti tedeschi massacrati sulla spiaggia: la donna viene trascinata sott’acqua e uccisa, l’uomo viene picconato sulla testa mentre è intento ad ascoltare musica. Lo spettatore capisce sin dalle prime sequenze di essere finito in un incubo terribile. C’è un mostro che uccide sull’isola, ogni volta che si avvicina si sente il suo odore appestante di sangue e morte. La colonna sonora del bravo Giombini lo sottolinea cambiando di tono e amplificando il rumore del suo respiro. Rimane la suspense perché vediamo morire i turisti in modo orribile ma non compare ancora il volto del mostro.

Una delle cose migliori di questo slasher movie, che risente di pellicole americane tipo Halloween (1978) è proprio il crescendo di tensione e la suspense efficace che il regista riesce a  realizzare. Dopo l’eccidio iniziale si cambia scena e siamo ad Atene dove facciamo conoscenza con i veri protagonisti del film. C’è Judy (Tisa Farrow, sorella della più celebre Mia), una studentessa che si unisce a un gruppo di turisti perché deve andare sull’isola da una coppia di francesi che hanno una figlia cieca. Gli altri cinque sono: Alan (Saverio Vallone), che noleggia una barca per compiere la spedizione, sua sorella Carol (Zora Ulla Keslerowa), una sensitiva e cartomante, Harold (Bob Larson) e Meggy (una giovanissima Serena Grandi), marito e moglie in attesa di un figlio e Daniel (Mark Bodin), il bello del gruppo che corteggia contemporaneamente Carol e la nuova arrivata Judy. Completa l’equipaggio un pilota greco.

La parte del viaggio in barca alla volta dell’isola è un po’ troppo lunga e se fosse stata accorciata con un montaggio più rapido il film ne avrebbe guadagnato in snellezza. La lentezza è un difetto ricorrente dell’intera pellicola.

Ricordiamo di questa parte iniziale la scena in cui Carol legge nelle carte a Meggy il futuro del figlio che porta in grembo. La donna è terrorizzata dal responso: le carte non hanno dato risposta e quando le carte non parlano vuol dire che non c’è futuro. Judy si dà da fare per tranquillizzare Meggy, ma Carol da quel momento in poi è sempre più sconvolta. Sente che sull’isola c’è odore di morte. Notevole anche la scena con Carol sul ponte immersa in pensieri nefasti mentre sfoglia le carte e le getta in mare. La colonna sonora diventa intensa, in un crescendo cupo e angoscioso la barca si avvicina all’isola e attracca. Quando scendono dallo scafo Meggy si fa male a una gamba e il gruppo decide di lasciarla a bordo in compagnia del marinaio greco. Si ode il respiro affannoso del mostro che sta osservando tutto.

I nostri eroi si accorgono che il paese è deserto, le case sono state abbandonate, i negozi  hanno le porte aperte ma i padroni sono scappati, tutto intorno si respira un’atmosfera pesante di pericolo imminente. Vedono una donna dietro una finestra, entrano nella casa e trovano la scritta: “Andate via”, quindi scoprono un cadavere in decomposizione, poi si accorgono che la donna sta scappando. Pare l’unica abitante dell’isola. Una colonna sonora fatta di cupi rintocchi di campane, musica sintetica e colpi di gong accompagna il vagare del gruppo. L’atmosfera intrisa di inquietanti segnali di morte e di angoscia rimanda a molti capolavori del gotico italiano anni Sessanta.

Si cambia scena e la macchina da presa si porta sulla barca dove assistiamo all’uccisione del marinaio, catturato e gettato in mare mentre sta cambiando l’acqua per curare la gamba di Meggy. La donna lo chiama, ma non riceve risposta, quindi si reca lei stessa a prendere l’acqua. Nel secchio vede la testa mozzata del greco, mentre il resto del corpo pare come divorato da una belva. Una sequenza girata con perizia che presenta buoni livelli di tensione. Mentre il resto del gruppo fa ritorno alla barca vediamo il corpo di Meggy catturato da due robuste mani e trascinato via. La barca intanto è disancorata e la corrente se la porta via. Ogni possibilità di fuga è perduta. I cinque amici decidono di andare a casa dei francesi dove Judy avrebbe dovuto prestare servizio. Qui registriamo le parti peggiori del film che presenta un punto debole nella recitazione e nei dialoghi. Gli attori sono pessimi, soprattutto gli uomini. Inespressivo Saverio Vallone, poco credibile Bob Larson, pessimo Mark Bodin. Salverei soltanto Montefiori nella parte del mostro. Un po’ meglio le donne. Tisa Farrow se la cava a dovere, anche Serena Grandi ha fatto di peggio. Forse la più in difficoltà è Zora Ulla Keslerowa, per colpa delle penose battute che le fanno recitare. Il copione presenta dei dialoghi poco costruiti nella parte centrale. Esemplifichiamo. “Perché non c’è nessuno su quest’isola?” “Sarà un’epidemia, un virus…” “Ma se è un virus perché i corpi non ci sono?” … Inutile commentare.

Intanto spira un vento terrificante che si confonde al respiro del mostro, Carol continua a dire che non dovevano venire, sente intorno una presenza inquietante e malefica. “Ci distruggerà tutti”, dice la sensitiva. Piove a dirotto. La notte è costruita secondo stilemi classici, di maniera, tipica di un film horror dal taglio fumettistico. Ma la pellicola si risolleva subito con una stupenda scena thriller. Judy vaga per la casa con una candela in mano perché ha sentito dei rumori. All’improvviso sbuca una mannaia che fa sobbalzare lo spettatore tanto l’effetto è riuscito. Non è il mostro ma Daniel: anche lui ha sentito dei rumori e sta cercando di capire. Non facciamo a tempo a riprenderci dallo spavento che c’è un secondo falso allarme: un piccolo gatto salta sul pianoforte e lo fa suonare. La tensione è in crescendo. Alla fine il gruppo raggiunge la cantina e da un tino ricolmo di sangue esce fuori una donna che accoltella Daniel alla schiena. La scena è un chiaro omaggio al Carrie (1976) di Brian De Palma tratto dal romanzo di Stephen King. Si tratta di Ariette, la figlia cieca dei due francesi, unica superstite di un eccidio che riesce a narrare solo a tratti. Parla di un mostro che profuma di morte quando si avvicina, lei lo sente, sa che ha ucciso i suoi genitori. Daniel ha bisogno di cure per la ferita che Carol gli ha amorevolmente fasciato. Alan e Harold vanno in paese sfidando la tempesta per procurarsi delle medicine. Judy è sola con la ragazza cieca. Daniel attende che Carol dorma e va da Judy per dirle che è innamorato di lei. Altra parte del film da dimenticare. Mark Bodin è patetico quando afferma di sapere che Carol è innamorata di lui ma lei non è la donna che cerca, perché solo Judy può dargli quel che vuole da una donna. Il dialogo è pessimo e mal recitato. In ogni caso Carol sente tutto e fugge via disperata, Judy la segue per rassicurarla che tra lei e Daniel non c’è niente. Tutto poco credibile. Alla fine Carol rinchiude Judy nel cimitero, lei riesce a  scavalcare il muro e a fuggire proprio mentre passano Alan e Harold di ritorno dal paese. Anche qui il colpo di scena è ben riuscito. Intanto nella casa Ariette avverte la presenza del mostro che vediamo in volto per la prima volta. Si tratta di un uomo dal viso butterato e i capelli radi, gigantesco, gli occhi spiritati fuori dalle orbite. La trasformazione di Montefiori è sorprendente. La lotta tra lui e Daniel vede quest’ultimo soccombere in un trionfo splatter a base di giugulare spezzata a furia di morsi. Subito dopo questa bella scena di sangue si torna a un pessimo dialogo tra Harold, Alan e Judy. Come già detto i dialoghi sono la cosa peggiore del film, tanto sono costruiti e  artefatti. I tre raggiungono la villa della famiglia Weltman, dove Judy spiega chi sono. Klaus Weltman fece naufragio, morì con la moglie e il figlio un po’ di tempo fa. Resta soltanto la sorella, impazzita dal dolore. La donna è alla finestra quando arrivano e al loro ingresso si suicida gettandosi nel vuoto con una corda al collo. Una scena spettacolare e inattesa. Inaspettatamente ritrovano Carol che si scusa con Judy e dice di essere stata trattata bene dalla donna. Da una finestra intanto si vede la barca che sta tornando verso al riva. Alan e Harold si precipitano a recuperarla e lasciano sole le donne. Vengono alla luce un diario, alcune foto di Klaus Weltman e il mistero comincia a dipanarsi. I due uomini si separano perché Harold trova una scarpa della moglie ed entra in una grotta spettrale piena di scheletri e cadaveri decomposti. La musica è sepolcrale, pare di sentire dei canti di chiesa recitati al contrario, e accompagna bene un crescendo di paura e tensione. Ci sono topi che divorano cadaveri in decomposizione. La sequenza è notevole, tutto il percorso all’interno della grotta è girato con sapienza e maestria. Alla fine Harold scopre Meggy nascosta in una cripta e il ritrovamento è introdotto da una mano che esce all’improvviso ad afferrare qualcosa. Poteva essere l’assassino,  invece è lei. L’effetto suspense è riuscito.

Intanto la camera stacca e torna alla villa dove Judy indaga e scopre sotto le lenzuola dei cadaveri in decomposizione. Ormai si è capito che il mostro è Klaus Weltman e che la sorella l’ha sempre protetto. La scena si sposta di nuovo alla grotta e qui abbiamo la scoperta definitiva. Arriva il mostro e Harold tenta di proteggere Meggy. “Mia moglie aspetta un bambino”, grida. A queste parole Klaus ha un terribile flashback nella mente sconvolta. Rivede il naufragio e soprattutto il giorno che uccise moglie e figlio per cibarsi di loro. Da quel giorno è impazzito e vaga come uno zombie uccidendo e cibandosi di carne umana. A questo punto assistiamo a  una delle scene più orribili di tutto il film. Weltman uccide Meggy e le strappa il feto dal corpo in un grondare di sangue. “Era soltanto un coniglio spellato a cui avevamo appiccicato un budellino che doveva fare da cordone ombelicale, poi avevamo spruzzato tutto di sangue finto”, disse Massaccesi. Però l’effetto gore è ben ricreato, al punto che in Inghilterra passarono la scena accusandola di snuff-movie. Intanto alla villa Judy ha scoperto tutto, poco dopo il mostro si libera pure di Carol e insegue le due ragazze superstiti. Judy e Ariette si rifugiano in soffitta, dove Weltman le bracca e cerca di sfondare la porta. Non ci riesce e allora passa dal tetto aprendosi un varco a colpi di piccone. Anche il destino della ragazza cieca è segnato: il mostro l’afferra per i capelli e le azzanna il collo alla giugulare. Judy non ancora doma, raccolto il piccone che il mostro ha fatto cadere, lo colpisce a una gamba. Weltman compie un tremendo volo e cade nel pozzo, ma vi trascina pure Judy e cerca di ucciderla. Lei fugge via salendo le scalette del pozzo. La colonna sonora torna sull’insistente canto di chiesa che ricorda un rosario, un ora pro nobis. Non riesce a catturarla ma si aggrappa a una corda ed esce dal pozzo. Quando sta per afferrarla arriva Alan e piccona il mostro al petto. La scena è un altro gioiello di suspense. Dalla ferita escono le viscere di Weltman che si lascia andare a un ultimo terribile pasto divorandole prima di morire.

La pellicola è diventata per eccesso e trasgressioni un cult dello slasher movie che strizza l’occhio pure ai film sugli zombie. In realtà è un giallo-macabro con molti riferimenti al gotico italiano classico e l’utilizzo dello splatter e del gore non è fine a se stesso. Proprio come piace a noi. Massaccesi usa lo splatter come tecnica cinematografica che padroneggia da maestro, ma lo inserisce sempre in apparati narrativi ben congegnati. Lo stesso farà con l’hard, ma ne parleremo a  tempo debito.

Joe D’Amato affronta tematiche simili pure in Porno Holocaust e in Le notti erotiche dei morti viventi e pare chiaro che in tutti questi lavori la principale fonte d’ispirazione è il cinema di Lucio Fulci, soprattutto Zombi 2 (1979). Da non trascurare anche il cinema cannibalico (Deodato e Lenzi su tutti) che stava andando forte in quel periodo e che Massaccesi aveva già contaminato a dovere in un episodio della serie Emanuelle. Antropophagus è un film originale per il suo fascino perverso e per l’atmosfera morbosa che circonda le gesta di un singolare serial killer a metà strada tra il morto vivente e il folle assassino. Il film è ben ambientato in una finta isola greca, dove si respira un clima di desolazione e abbandono, accentuato dalla fotografia fredda e spenta. Il giovane regista tedesco Andreas Schnass ha girato Antropophagus 2000 (1999), una sorta di omaggio al film di Massaccesi e a Cannibal holocaust (1979) di Ruggero Deodato. Si tratta di un lavoro non distribuito in Italia e che si può vedere soltanto in lingua originale acquistandolo sul mercato estero delle Home Video.

Antropophagus 2000 non è certo un capolavoro, ma risulta interessante per la tecnica di ripresa e per gli effetti speciali, senza considerare che il regista ha dovuto realizzare il film con pochissimi mezzi. La produzione è di Sonia Schnass, tutto fatto in casa come da buona produzione indipendente che si rispetti. Gli amanti dello splatter e del gore andranno a nozze con questo film che fa dell’eccesso e della trasgressione la sua unica ragione di esistere. Sin dai titoli di testa non si fa mistero di volersi ispirare al lavoro di Massaccesi e Montefiori, pure la musica fredda e glaciale che accompagna le riprese lo sottolinea. La trama è la stessa, con poche differenze: il viaggio non si affronta in barca ma con un camper e l’azione non si svolge in un’isoletta della Grecia ma a Borgo San Lorenzo, un paesino della Toscana. Schnass ha voluto recare una sorta di omaggio all’Italia e ha ambientato l’opera nei luoghi che furono teatro di barbare uccisioni da parte del cosiddetto Mostro di Firenze.

Tutto il resto ripete le cose già viste in Antropophagus, con minor tensione e poco ritmo. Molte sequenze (come la tempesta che dà il via alla tragedia e al primo episodio di cannibalismo) sono girate in studio e si nota. Le uccisioni sono il piatto forte del film, consigliate soltanto a chi è di stomaco forte. Schnass ci sa fare con lo splatter e gli effetti speciali, riproduce scene originali del film portandole alle estreme conseguenze. Assistiamo subito a un’uccisione a base di colpi d’ascia, dita mozzate, piercing divelti e pelle strappata dal volto. Poi c’è la scena disturbante di un povero scemo che si ciba delle cose vomitate da una ragazza incinta. Si continua con frattaglie e viscere che vengono estratte dalla bocca durante altri delitti. C’è persino un omaggio a Cannibal holocaust di Ruggero Deodato con un impalamento realizzato con la stessa tecnica del sellino e il cuneo di legno che esce dalla bocca. Gli efferati omicidi sono intervallati da qualche scena di sesso, la recitazione è quasi sempre a livelli indecorosi e il ritmo è troppo lento. Ben fatta la parte girata all’interno della grotta che cita a piene mani l’Antropophagus originale. Pure la realizzazione fisica del mostro cannibale è a somiglianza del personaggio reso da Montefiori. A questo punto c’è il solito flashback sul naufragio, però viene descritto nei minimi particolari l’orribile pasto dei cadaveri di moglie e figlio. Non poteva mancare la scena del feto strappato: al solito Schnass esagera con un orribile taglio cesareo praticato a mani nude e un bambolotto (si nota che è finto) che viene fuori dalla pancia della madre. Sconsigliata ai deboli di stomaco la scena del pasto cannibale con la testa del bambino divelta da un morso. Il finale offre alcune variazioni sul tema originale. Intanto si salva soltanto uno dei turisti che pare uccidere il mostro con un colpo di pistola. Immancabile la scena ultrasplatter dell’autocannibalismo, tra l’altro poco giustificata perché non c’è stato il colpo d’ascia che ha aperto la pancia e il mostro impazzito deve fare tutto da solo. Subito dopo ci accorgiamo che il cannibale non è morto e non se ne comprende il motivo (forse è uno zombi). Tenta di uccidere il ragazzo affogandolo in una piscina, ma lui ha la meglio dopo una strenua lotta e gli stacca la testa con un colpo di badile. Il film non è finito. Si torna alla scena iniziale con il ricercatore che ha trovato il diario del mostro nella grotta e vediamo che qualcuno gli fracassa la testa con un colpo di fucile. L’orrore ricomincia: il ragazzo ha preso il posto del cannibale, adesso tocca a lui essere lo zombi del paese. Resta spazio per un Antropophagus 2000 parte seconda. Per fortuna mai realizzato.

Abbiamo voluto citare questo film per sottolineare quanto ancora sia presente nell’immaginario giovanile una pellicola come Antropophagus e come sia giustificato parlare a proposito del capolavoro di Massaccesi di vero e proprio cult. I moderni registi dell’orrore, come l’italiano Roger Fratter e il tedesco Andreas Schnass, non fanno mistero di ispirarsi a questa e altre opere di chi considerano un maestro indiscutibile.

(6 – continua)

Gordiano Lupi