L’eros raffinato e le produzioni – parte 01
Il 1985 è l’anno che segna il tentativo di Massaccesi di entrare nel cinema erotico di serie A dirigendo alcuni film ispirati ai capolavori di Tinto Brass, soprattutto La chiave (1983).
La chiave fu un film scandalo che rilanciò la Sandrelli come star dell’erotismo nostrano e soprattutto incoronò Tinto Brass re del porno soft, dopo il disastroso Io, Caligola. Ma fu uno scandalo soprattutto perché per la prima volta il cinema erotico italiano si spingeva oltre ogni limite, soprattutto non lo faceva ricorrendo a un’attrice presa in prestito dall’hard, ma con una delle più grandi interpreti della commedia italiana. Ne La chiave si resta comunque entro i limiti del consentito. Si costruisce un successo scandalizzando molti critici benpensanti che mai avevano visto una Sandrelli così nuda e maliziosa. Oltre tutto non era più giovanissima e mostrava con sensualità nudità piuttosto opulente. La stampa nazionale ne parlò a lungo, alimentando scandalo e curiosità, le sale si affollarono oltre ogni aspettativa e fu un successo senza precedenti.
L’alcova (1985) di Aristide Massaccesi, che per l’occasione si firma Joe D’Amato, si pone sulla scia del successo di questo genere di film. L’ammirazione per Tinto Brass, già presente in Caligola… la storia mai raccontata, si fa ancora più esplicita. Il film è scritto e sceneggiato da Ugo Moretti, fotografato dallo stesso Massaccesi (nascosto dallo pseudonimo Federico Slonisco) e montato da Frank Martin. Le scenografie sono di Richard Ribovsky e le musiche di Manuel De Sica. Prodotto da Helen Handris per Mad Film. Distribuzione Crc. Protagonisti: Lilli Carati, Al Cliver (sappiamo che è Pier Luigi Conti), Laura Gemser, Robert Caruso, Annie Belle e Nello Pazzafini.
L’alcova sta a metà strada tra il porno e l’eros ed è un prodotto costruito a imitazione del cinema di Tinto Brass, anche se mantiene una sua originalità. D’Amato fotografa e gira con pochi mezzi (non ha certo la produzione di Brass…) una storia di Moretti sempre indecisa su quale strada prendere. Si tenta di softizzare l’hard e non è facile dire sino a quale punto l’operazione riesca. La storia vede il gerarca fascista Elio De Silvestris (Al Cliver) di ritorno dal fronte abissino in compagnia di Zerbal (Laura Gemser), una bella principessa nera. Alessandra (Lilli Carati), la giovane seconda moglie di Elio, e Wirna (Annie Belle), la sua segretaria nonché amante segreta di Alessandra, scatenano gelosie e attenzioni morbose attorno alla nuova arrivata. Non è difficile intuire sviluppi e sequenze. Interessante lo spunto di sostituire La chiave di Tanizaki con The Alcove, un finto classico dell’erotismo scritto da un’inesistente Judith Wexley. In realtà la storia è di Ugo Moretti e di classico ha ben poco, soltanto situazioni ai limiti dell’hard ben interpretate da tre attrici di notevole bellezza. Lilli Carati si muove molto bene nelle scene più spinte, Annie Belle (al tempo fidanzata con Al Cliver) si dà un gran da fare nelle scene lesbiche, Laura Gemser recita senza essere doppiata (una delle poche volte) e il suo buffo italiano la rende una credibile principessa africana. Il suo fascino esotico domina tutti. Lei è la schiava del gerarca fascista che conduce la danza erotica e diventa padrona della situazione. Finisce bruciata viva in un finale da incubo. Al Cliver lo ricordiamo più a suo agio nelle vesti dell’indomito gladiatorie del futuro che in certe situazioni di erotismo spinto. Lui stesso confessa di sentirsi soprattutto attore da film avventurosi. Nello Pazzafini, il giardiniere Peppe, recita senza problemi (sfoderando una notevole erezione) la scena della violenza carnale a Wirna.
Ci sono alcune sequenze davvero trash come quando Laura Gemser dice in un buffo italiano: “Signora andate a fare in culo!”, oppure quando se ne sta nuda in giardino a fare la doccia e afferma che “I costumi dei bianchi sono ipocriti e pieni di vergogna”. Così come è molto caricata tutta la prima parte della pellicola, quando si vuol far capire la gelosia e il razzismo nei confronti della bella Zerbal. Laura Gemser viene trattata come una bestia, definita una scimmia, un essere senz’anima né volontà. Subito dopo tutti ne subiscono il fascino perverso, soprattutto Alessandra che ama le donne più degli uomini. Un cambiamento di prospettiva che lascia sconcertati. Le scene erotiche sono molte ed esplicite, voyeurismo e rapporti saffici si sprecano, ma pure sequenze sadiche e violente non mancano. Come ne La chiave l’ambientazione è ai tempi del regime fascista ed è una scusa per lasciarsi andare a qualche motivazione di critica politica di maniera. D’Amato lancia la pellicola con la frase: Oltre i limiti del piacere e all’estero la distribuisce come The lust (in Francia La retape). Il film non è un capolavoro ma si lascia guardare, oltre tutto incassa due miliardi e inaugura un vero e proprio filone erotico.
Il piacere (1985) è realizzato da Joe D’Amato sulla base dell’opera di Restif de la Bretonne. Sceneggiatura di Franco Valobra (Homerus S. Zweitag) e Claudio Fragasso (Clyde Anderson), montaggio di Franco Alessandri, scenografie di Italo Focacci, musiche di Cluster. Fotografia di Massaccesi e produzione della sua Filmirage, diretta da Donatella Donati.
Interpreti: Isabelle Andrea Guzon (Leonora), Steve Wyler (Gerard Antoniani), Marco Mattioli (Edmud), Laura Gemser (Haunani), Lilli Carati (Fiorella), Dagmar Lassander e Vincenzo Gallo (gerarca).
La trama è piuttosto debole e scontata. Leonora e Gerard si amavano alla follia, ma il loro era uno strano rapporto. Gerard registrava su di un magnetofono tutte le loro esperienze sessuali. Adesso che Leonora è morta c’è la figlia Ursula (in tutto e per tutto identica alla madre) che vuole prenderne il posto e la sua principale ambizione è quella di farsi sverginare dal patrigno. Pare evidente anche qui l’ispirazione a La chiave di Tinto Brass: al posto del diario abbiamo il magnetofono e poi c’è una bella ambientazione veneziana in periodo fascista. Ursula si veste e si trucca come la madre ed eccita Gerard, poi ascolta al magnetofono i ricordi dei rapporti sessuali tra i due amanti e interpreta le medesime situazioni. Da ricordare la scena al cinema, quando Ursula si diverte a farsi toccare da uno spettatore sconosciuto e a provocare Gerard. Insieme a Ursula c’è anche Edmond, il figliastro epilettico che non approvava la relazione della mamma con Gerard e tanto meno condivide il comportamento della sorella. Ursula finisce nella casa di appuntamenti che frequentava la madre e viene messa all’asta tra alcuni clienti particolari. Alla fine Ursula e Gerard si innamorano davvero e la figlia prende il posto della madre nel cuore di Gerard. L’ultima sequenza del film vede i due recitare la scena del primo incontro come se l’antico amore fosse tornato. In questa trama esile trovano posto numerose scene di rapporti sessuali, voyeurismo, masturbazioni femminili e scene saffiche a non finire (interpretate da Laura Gemser e Lilli Carati). D’Amato cavalca il successo di pubblico de L’Alcova e lo supera incassando tre miliardi con un film girato in economia. La pellicola è un erotico raffinato, non eccessivo nelle scene di sesso, si avvale soprattutto di tre attrici belle, brave e ben dirette. La scenografia è molto curata, la fotografia pure, ma la lentezza è il difetto maggiore. Si fatica ad arrivare alla fine soprattutto per la mancanza di storia. Nel film ci sono sequenze hard che uno spettatore attento può vedere sullo sfondo di un rapporto soft.
Lussuria (1986) è una logica conseguenza del successo dei due primi lavori. La finzione è ancora che sia stato tratto da un romanzo: un non meglio identificato Luxure della solita Judith Wexley. Sceneggiatura di René Rivet, fotografia e montaggio di Massaccesi che lo gira firmando Joe D’Amato. Musiche di Guido Anelli e Stefano Mainetti. Scenografia e costumi di Laura Stein. Produzione di Donatella Damiani (moglie di Massaccesi) per Cinema 80. Distribuzione C.R.C.. Protagonisti: Lilli Carati, Noemie Chelkoff, Al Cliver, Martin Philips e Ursula Foti.
Non fidatevi di Marco Giusti che su Stracult pare aver visto un altro film (parla addirittura di un’inesistente sorella uccisa…) e fatevi un’idea da soli di quel che può essere Lussuria. Film dignitoso, erotico patinato, ben ambientato in un’Italia fascista e ben diretto da Massaccesi che lo fotografa con perizia. La storia è quella del giovane Alessio (Martin Philips), traumatizzato per la perdita della madre e affetto da una malattia psicologica che lo porta a chiudersi in un mutismo esasperante. Il padre (Al Cliver) si è risposato con una ex prostituta (Noemie Chelkoff) e pare che entrambi vogliano aiutare il ragazzo a guarire. Collabora nell’impresa anche la zia Marta (Lilli Carati) che lo ospita nella sua bella villa di campagna. Qui incontriamo pure Caterina (Ursula Foti), una bella restauratrice ingaggiata per sistemare gli affreschi del palazzo. La pellicola ci fa capire, scena dopo scena, che la malattia del figlio è dovuta ai vizi della famiglia borghese che l’ha allevato. Il padre infatti è un depravato egoista che non perde occasione per farsela con altre donne e non si è mai occupato di lui. Quando Alessio era piccolo ha violentato la zia e il ragazzo ha assistito alla scena. Alessio vive una realtà fatta di sogni e incubi, dove immagina di fare l’amore con la matrigna, con la zia e infine con Caterina. Spia dalle porte socchiuse le tre donne che vivono nella casa ed è ossessionato dal sesso. Quando il padre e la matrigna vanno dalla zia Marta per sapere come va la salute del figlio, scopriamo che il padre gode nel vedere la moglie fare l’amore con altre donne (non ultima la zia Marta). Alla fine si porta a letto persino Caterina con la collaborazione della moglie e della zia in un triangolo che sarà la sua ultima prodezza erotica prima del suicidio del figlio. Alessio nell’ultima scena si toglie la vita davanti a Caterina. Questa parte è un piccolo gioiello di tensione: nessuno penserebbe alla morte del ragazzo che pareva aver finto la malattia perché disgustato da quel che vedeva intorno.
Tra gli attori è ben calata nella parte Lilli Carati che pare fatta apposta per ruoli maliziosi e perversi. Da ricordare la sequenza del rapporto erotico sul tavolo di cucina con un giardiniere. Pure Ursula Foti non è male come sexy restauratrice e interpreta un paio di scene degne della miglior Malizia (calze nere su scala e mutandine di pizzo). Meno ispirata la Chelkoff che resta comunque su standard sufficienti. Da dimenticare Al Cliver (Pier Luigi Conti), molto più a suo agio nei film avventurosi che in una parte da erotomane senza morale. Non rende credibili battute come: “La vita è un gioco e l’incesto fa parte di questo gioco”. Su Martin Philips poco da dire: sta quasi sempre zitto e ha la stessa espressione per tutto il film. La parte era quella. Il film è un erotico soft molto spinto. Ci sono lunghe scene di rapporti saffici tra Lilli Carati e Noemie Chelkoff, altre di malizia esasperata e di voyeurismo con masturbazioni prolungate sul letto. Proprio il genere di film erotico che a Massaccesi piaceva girare: si mostra molto, ma è ancor più quel che si lascia intuire. I difetti sono quelli di sempre: lentezza, insistenza sul flashback, scene ripetute all’eccesso, alcuni attori non all’altezza… ma la storia c’è tutta e lo spettatore che ama il cinema erotico apprezza. Troviamo una sorta di accusa alla famiglia borghese convenzionale (parafrasando Miklós Jancsó) piena di vizi privati nascosti da apparenti pubbliche virtù. Oltre tutto Lilli Carati, in una delle ultime scene, lancia pure un atto d’accusa rivolto ai genitori che non sanno crescere e che dovrebbero pensarci bene prima di mettere al mondo dei figli.
In contemporanea a Lussuria D’Amato gira Voglia di guardare, utilizzando identico set e medesimo budget. Vale a dire che con quel che restava fuori dal primo ha fatto il secondo e, nonostante D’Amato sia sempre stato un maestro nel fare bene con poco, questa volta il riciclaggio si nota pesantemente.
Voglia di guardare (1986) è un erotico soft di scarso peso. Scritto da Elena Dreani, sceneggiato da Aristide Massaccesi, Donatella Donati e Italo Focacci, fotografato e montato da Massaccesi che alla regia firma Joe D’Amato. Le musiche sono di Guido Anelli e Stefano Mainetti. La produzione è fatta in casa da Massaccesi e Donati per la loro Filmirage, che farà cose ottime per l’horror italiano. Distribuzione D.M.V. Interpreti: Jenny Tamburi, Lilli Carati, Laura Gemser, Marino Masè, Sebastiano Somma e Aldina Martano.
La storia vede un poco convincente Marino Masè nei panni del marito voyeur e una Jenny Tamburi che recita svogliatamente il suo ultimo film erotico. Assistiamo a una serie di avventure libidinose, ben interpretate da Lilli Carati che di lì a poco passerà al cinema hard. Tutto il resto è da dimenticare.
Gli attori sono la cosa peggiore del film. Marino Masè recita così impostato la parte del marito medico che gode nel vedere la moglie far l’amore con gli altri da sembrare surreale. Jenny Tamburi è la moglie del voyeur, esibisce un fisico abbondante che vorrebbe imitare la Stefania Sandrelli de La Chiave (mala Sandrelli aveva ben altra sensualità). Sebastiano Somma è il finto paziente che se la fa con Jenny Tamburi per denaro ma poi finisce con innamorarsi. Pure lui solo bellezza da fotoromanzo. Da salvare Lilli Carati, bella e sensuale come sempre, che interpreta la ragazza di Somma, tenutaria di una casa di appuntamenti. Laura Gemser fa una piccola parte da amante lesbica di Jenny Tamburi, si nota che gli anni sono passati ma il fisico è sempre quello di Emanuelle.
Anche la storia non è il massimo e ricorda molto La Chiave, solo che qui la depravazione del marito non sta nell’eccitarsi pensando di essere tradito ma nel vedere la moglie all’opera nascosto da uno specchio. Il film si trascina stancamente sino alla fine ripetendo identici concetti e situazioni. Alla fine la moglie viene a sapere tutta la storia dalla donna del suo amante e si convince che suo marito le vuole davvero bene (perché poi?) e si innamora ancor più di lui. Jenny Tamburi scarica Sebastiano Somma e il gioco continua con un nuovo arrivato. Un film voyeurista che Laura Gemser teorizza in una frase: “Il voyeurismo è insito in ognuno di noi”. E per chiarire meglio il concetto si lascia andare a un rapporto lesbico con un’amica e chiede a Jenny Tamburi di osservarla. Possiamo dire che la pellicola presenta una coppia di ricchi depravati e così facendo cerca di mettere i vizi borghesi alla berlina. Ma è l’atmosfera che manca, la musica è soporifera, l’ambientazione in periodo fascista è carente (pochi mezzi), le scene erotiche poco credibili e (almeno dalla Tamburi) mal recitate.
Un breve accenno merita Prison Dancer (1985), pellicola a metà strada tra un prison-movie e un film di danza. La protagonista è in galera perché ha ucciso il padre che picchiava la mamma e dentro la prigione canta e balla mettendo su uno spettacolo. Film atipico e strano, poco conosciuto, diretto da Massaccesi sotto lo pseudonimo di Kevin Mancuso con la collaborazione di Claudio Fragasso. Interpreti: Michelle Gibson, Isabelle Ripley e Joanna Morris. Un anno prima Massaccesi aveva diretto pure Orgasmo infernale (1984), un hard con Nadine Roussial e Pauline Teutscher. Va citato per completezza.
(11 – continua)