Titolo originale: Space-men
Anno: 1960
Regia: Anthony Daisies (pseudonimo di Antonio Margheriti)
Soggetto: Ennio De Concini (come Vassilji Petrov)
Sceneggiatura: Ennio De Concini (come Vassilji Petrov)
Direttore della fotografia: Marcello Masciocchi
Montaggio: Mario Serandrei
Musica: Lelio Luttazzi (come J.K. Broady) e Carlo Savina
Effetti speciali: Caesar Peace
Produzione: Turi Vasile e Goffredo Lombardo
Origine: Italia
Durata: 1h e 38’
CAST
Rick Van Nutter, Gaby Farinon (Gabriella Farinon), Archie Savage, David Montresor, Anita Todesco, Alain Dijon, Josè Nestor
TRAMA
Nel XXI secolo la conquista dello spazio è ormai divenuta una realtà. Basi spaziali in orbita intorno alla Terra e su altri pianeti del Sistema Solare aprono la strada agli esploratori di nuovi mondi. Così il giovane reporter Ray Peterson di “Interplanetary News” viene inviato a bordo della stazione spaziale BZ-88 per scrivere un articolo sugli “space-men”, uomini addestrati alla vita nello spazio a bordo di astronavi. Malgrado i problemi con il comandante della base, George, toccherà proprio a Peterson cercare di fermare l’astronave impazzita Alfa 2, un mezzo interstellare a propulsione fotonica. Dopo la morte dell’equipaggio, l’astronave continua infatti a essere guidata dal computer ed è in rotta di avvicinamento alla Terra, che rischia di distruggere a causa delle radiazioni dei suoi generatori fotonici. L’astronave è inavvicinabile, a causa delle radiazioni emesse dai motori, per cui l’unica soluzione è distruggerla. Molti saranno i tentativi di disintegrarla con siluri atomici o altre astronavi, che però falliscono nell’intento. Gli scienziati scoprono però un sottile corridoio, privo di radiazioni, da cui si potrebbe raggiungere la nave, ma è molto stretto, troppo per un veicolo spaziale. Allora Peterson ha l’idea di raggiungerla a bordo di uno “space taxi” una piccola navicella monoposto, lanciando intorno a sé parti di ricambio e piccoli rottami, che si disintegrano a contatto con la barriera fotonica. In questo modo riesce a trovare il varco e seguirlo. La folle impresa del giovane ha successo e, salito a bordo dell’astronave, modifica la sua rotta allontanandola dalla Terra e riuscendo a salvarsi appena in tempo.
NOTE
Antonio Margheriti, dopo aver lavorato come aiuto in molte produzioni di vari generi in Italia con registi del calibro di Paul Morrissey e Mario Bava, esordisce alla regia nel 1960 con questo film di fantascienza scritto insieme a Ennio De Concini. Si tratta di un genere insolito per la produzione italiana dell’epoca: infatti, a parte qualche parodia, ne era stato fatto solo un altro prima di questo, ovvero “La morte viene dallo spazio” di Paolo Heusch (1957).
Nel sito dedicato alla vita e alle opere di Antonio Margheriti (vedere sezione Link), così scrive il figlio Edoardo in merito alla lavorazione di questo film ricordando le parole del padre: “Space-men rappresentava una specie di scommessa. Era un genere a cui sono stato sempre molto legato, e volevo dimostrare che anche noi potevamo fare dei film di fantasia totale, diversi da quelli che si facevano in Italia in quegli anni”. Infatti Antonio dovette dar fondo a tutta la sua fantasia per realizzare il film, che aveva un budget ridottissimo, meno di 50 milioni di lire, e completarlo in poco più di venti giorni compresi gli effetti speciali. Margheriti realizza anche la sua prima contaminazione di generi, una peculiarità, ricorrente in molte sue opere per cui diventerà famoso, mescolando il clima fantascientifico a quello del western, del film avventuroso e pionieristico. Leggendo la trama si rimane sconcertati dalle similitudini con altri film che, molti anni dopo, hanno segnato la storia del cinema di fantascienza: il rapporto tra uomo e spazio, e tra uomo e macchina, con il computer impazzito che prende il controllo di un’astronave, come in “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick; oppure l’intera trama, simile ad “Abbandonati nello spazio” di John Sturges; e per finire il piccolo corridoio spaziale per raggiungere il cuore dell’astronave e distruggerla, che ricorda l’attacco alla “Morte Nera” di “Guerre Stellari” di George Lucas… tutti film che verranno realizzati molti anni dopo”.
E poi Edoardo prosegue scrivendo: “Il film fu prodotto da Turi Vasile e Goffredo Lombardo per la Titanus che, vedendo l’ottimo risultato, fece un grosso lancio a livello nazionale. Funzionò soprattutto il seguente slogan pubblicitario: “Nessuna scena di questo film si svolge su quel pianeta del Sistema Solare conosciuto col nome Terra”. Il film ebbe successo, ricevendo buone critiche e recensioni. Ottime furono anche le vendite all’estero, specialmente nel mercato americano, dove riscontrò il favore del pubblico. Questo successo consacrò Antonio Margheriti come regista e specialista di effetti speciali, aprendogli la strada per altre, e immediate, produzioni dello stesso tipo”.
E ancora, sempre in merito alla pellicola, scrive il figlio di Margheriti sul sito dedicato ad Antonio: “Mio padre era molto affezionato a questo suo primo film, e ne parlava spesso, ricordandolo con piacere. Per anni ha conservato in soffitta i caschi spaziali, i fucili laser in legno ed i modellini delle astronavi. Alcuni erano in plastica, acquistati in un grande magazzino e ricoperti di alluminio per resistere all’acetilene che simulava i getti propulsivi, altri erano in legno e metallo. Erano piccoli e tozzi, ma negli anni ‘60, l’esperienza di effetti del genere era inesistente, e si procedeva per tentativi o per intuizione. I trucchi si inventavano al momento, fatti con quello che c’era a disposizione, e c’era sempre molto poco. Antonio sopperiva alla mancanza di fondi e di mezzi tecnici con la sua straordinaria fantasia e duttilità. Ad esempio, raccontava sempre che nei bagni degli Studi Titanus Appia, ex “Scalera”, c’era una lampada fatta con una grossa sfera di cristallo bianco, che lui si faceva prestare e la dipingeva, illuminandola dall’interno per realizzare i pianeti; e poi (…) le miniature delle astronavi erano molto piccole, e c’era il rischio di vedere i fili che le sostenevano, allora Antonio ebbe un’idea: “Visto che gli spettatori più smaliziati tentavano di vedere i fili, guardando con attenzione il cielo sopra i modellini, misi i fili nella parte inferiore delle astronavi e feci lavorare le cineprese a testa in giù. Proiettando in modo normale tutto tornava a posto, ma i sottili fili si trovavano nella parte bassa dello schermo e nessuno se ne accorgeva”.
Le musiche vennero scritte da Lelio Luttazzi, un attore, cantante, direttore d’orchestra, musicista, regista, scrittore, showman e conduttore televisivo italiano fra i più apprezzati nel nostro paese: scrisse moltissime colonne sonore, oltre a brani di musica leggera di indiscusso successo, ma l’unica soundtrack per un film di genere fantastico fu questa per “Space-men”. Insieme a lui lavorò, pur non accreditato, anche Carlo Savina, che ricordiamo per le musiche, fra gli altri, di “La cripta e l’incubo”, “Malenka, la nipote del vampiro”, “Contronatura”, “L’assassino ha riservato nove poltrone”, “La casa dell’esorcismo”, “I cacciatori del cobra d’oro”, oltre a numerosissime colonne sonore per spaghetti-western.
Gli attori che hanno interpretato questa pellicola li ritroviamo in maniera sporadica in altri film di genere: ad esempio Rick Van Nutter in “Tempi duri per i vampiri”, Gaby Farinon (Gabriella Farinon) in “Il sangue e la rosa”, Archie Savage in “Gungala la vergine della giungla”, “Tarzak contro gli uomini leopardo” e “I Diafanoidi vengono da Marte” e Alain Dijon in “Il testamento del dottor Mabuse” e “Gli artigli invisibili del dottor Mabuse”.