EROTISMO, ORRORE E PORNOGRAFIA SECONDO JOE D’AMATO 15

Il ritorno al porno - Il periodo cinese

Il 1993 segna una svolta decisiva nella carriera di Aristide Massaccesi, che fino a quel momento aveva alternato film di genere a lavori di imitazione ispirati a successi nazionali e internazionali. Il regista romano abbandona i generi e rivolge sempre più la sua attenzione al mondo del cinema hard, sia come regista che come produttore. Il suo è un rientro in grande stile che lo vede in compagnia di Luca Damiano, guida esperta del mondo hard. Non dimentichiamo che in Italia il primo film porno lo ha girato proprio Massaccesi e che se Gola profonda di Gerard Damiano (1972) può essere considerato il primo hard internazionale è vero che Sesso nero di Joe D’Amato (1980) è il primo tentativo di porno fatto in casa. E poi – in definitiva – pure l’hard è un genere, sui generis quanto si vuole, ma tale resta.

Massaccesi torna all’hard dieci anni dopo le prime esperienze e trova qualche cambiamento. Abbiamo reperito in rete un’intervista rilasciata nel 1996 alla rivista Duel, che riprende un vecchio colloquio con Andrea Giorgi e Manlio Gomarasca di Nocturno. Massaccesi parla della sua attività e soprattutto del rientro nel cinema hard. Leggiamola.

“Una volta gli davi più storia… oggi pretendono solo il porno. Ora i film devono essere molto forti: doppie, triple, quadruple penetrazioni, l’anale… la venuta deve essere in bocca. Credo che siano i distributori, non il pubblico, che pensano sia meglio mettere l’uccello in ballo dall’inizio alla fine: i film sono due palle incredibili! Ci vuole di più anche a farsi le pippe: se uno si deve fare una sega così, a freddo, non va neanche a vedersi il film, se invece entra un po’ nel personaggio magari gli fa anche più piacere. Il cinema porno oggi ha senz’altro meno problemi di censura, non si scandalizza più nessuno, però c’è il problema dell’Aids… Questa che nessuno si scandalizza è una cosa negativa secondo me, perché una volta c’era il senso del proibito, del vietato, e le sale a luci rosse erano sempre piene. Con il video si guadagna meno, è tutto livellato, anche qualitativamente, non ci sono più film che vanno bene e altri che non vanno. All’Aids secondo me in questo ambiente non ci crede nessuno, se no non si spiegherebbero le cose che fanno. Io non credo ai controlli, perché se anche fai il test mica sei sicuro…”.

Alla domanda sui motivi del sodalizio con Luca Damiano risponde: “Ci conoscemmo nel 1982, quando lui aveva una distribuzione di pellicole che poi, causa sequestri, dovette chiudere. Ritornando all’hard dopo tanto tempo cercavo l’appoggio di uno dell’ambiente. Poi abbiamo fatto Marco Polo e un’altra ventina di film che ha firmato solo lui. Questo perché con un solo visto di censura, oggi, puoi far passare un intero pacchetto di film. In pratica li dirigiamo assieme alternando scenari e attori”. Massaccesi si sbilancia anche su Rocco Siffredi. “Lavorare con lui è bello. Rocco non è dotato soltanto nelle parti basse, è uno che ha molto cervello, una persona gradevole e questo non guasta”.

Per fare una breve analisi storica dobbiamo dire che negli anni il ruolo del cinema hard si è modificato radicalmente. Negli anni Settanta era estremista e si faceva portavoce di istanze di liberazione sessuale diffuse nella società civile, metteva in primo piano cose scomode come l’incesto, il sesso minorile e la violenza carnale, il tutto caricato di una certa valenza politica. Deep throat (1972) di Gerard Damiano, noto in Italia come Gola profonda, è il primo vero film hard prodotto per il grande schermo. Prima di questa pellicola esistevano soltanto i filmini per uso domestico e per le sexy cabine dei locali specializzati (i cosiddetti loops). Cinema e pornografia si incontrano e sono i registi della sexploitation a passare dal cinema normale all’hard, sventolando la bandiera della libertà sessuale. Nei primi tempi prevale la tendenza mimetica che prevede meccanismi narrativi ed estetici tipici del cinema alto, si producono B movies arricchiti da sequenze hard e restiamo ancora a metà strada tra cinema di genere e underground. Non esistono ancora registi specializzati in cinema hard e si passa con noncuranza dai generi più disparati al porno. Persino attori e attrici si guadagnano un loro ruolo da star, nomi come Samantha Fox, Vanessa Del Rio e John Holmes sono tra quelli che si ricordano. All’inizio degli anni Ottanta il porno si diffonde un po’ ovunque (a parte gli stati comunisti e l’Inghilterra) e le produzioni video prendono sempre più campo. Si assiste anche a un abbandono della tendenza mimetica per generi più facili, del tutto privi di trama, come il gonzo e i prodotti amatoriali. Gli attori divengono performers, il regista spesso gira con la camera a mano e finge di incontrare belle ragazze, che l’attore di turno convince a fare sesso (approccio gonzo). Nell’amatoriale (o finto tale) le cose sono ancora più semplici: casalinghe, studentesse, persone comuni vengono reclutate per girare un film. Joe D’Amato ha sempre rifiutato questo tipo di cinema porno. Per lui l’erotismo e anche la pornografia non possono prescindere da un certo voyeurismo che si basa sulla trama. Nel cinema di D’Amato il sesso è inserito in un contesto culturale, sociale e politico (vedi le pellicole girate a Santo Domingo), i suoi film tentano sempre un approccio problematico e rifuggono da facili tecniche che ricordano i loops. Nelle sue pellicole difficilmente il sesso raggiunge percentuali dell’ottanta per cento sul totale del girato, come invece capita nella maggior parte delle pellicole attuali. I lavori di Joe D’Amato e di Luca Damiano, salvo debite eccezioni, sono prodotti di maggior impegno produttivo che non trascurano scenografie, ambientazione, storia e personaggi. Vedremo in seguito come i due cineasti hanno rivisitato classici della letteratura, del cinema e della cultura pop. D’Amato inoltre ha sempre rifiutato il mondo delle produzioni in VHS perché riteneva la pellicola insostituibile. Ha dovuto cedere soltanto per le ultimissime produzioni (1987-88). Luca Damiano invece si è convertito presto al video e ha pure girato una sit comedy porno per Stream TV. Al giorno d’oggi possiamo dire che è rimasto Mario Salieri l’unico regista da home video che conserva un approccio mimetico all’hard. Negli anni Novanta la funzione sovversiva del cinema hard non ha ragione di esistere. Anzi, il porno da cassetta è diventato uno strumento di consumo come tanti altri e soprattutto di conservazione dello status quo.

Tra i titoli girati da D’Amato nel 1993 che non hanno bisogno di molti commenti citiamo: L’Atelier di Rosa, Roxana - Fra le gambe di Luana, Francesca – Goduria anale, Incontri anali nell’autosalone, Il labirinto dei sensi, Tre porcone sul biliardo.  Più importante il periodo orientale, che in ogni caso non è ancora hard ma soltanto cinema erotico, anche se Massaccesi comincia a esplorare i sentieri di un erotismo forte. Vediamo i titoli: I racconti della camera rossa, China and sex, Chinese kamasutra, La casa del piacere (noto anche come Sete di piacere) e Il labirinto dei sensi. Sono tutti film del 1993.

I racconti della camera rossa lo firma Robert Yip da regista, Lim Seng Yee da sceneggiatore e Boy Tan Bien per la fotografia. Fa tutto lui, in sostanza. A parte la musica che è di Chin Bao (chi sarà mai?). Dubitiamo che esista anche la Golden Dragon Productions. Di sicuro è Filmirage. Interpreti sconosciuti: alcuni cinesi veri, altri italiani travestiti da cinesi. Massaccesi affronta i classici dell’erotismo orientale e applica le regole tragicomiche del decamerotico a un’ambientazione cinese. Questa pellicola è strutturata come un lavoro a episodi, si svolge in una casa da tè, dove un vecchio cliente intrattiene gli ospiti e le ragazze raccontando storie erotiche. Sono storie dal sapore boccaccesco. Un giovane innamorato di una vicina si fa coinvolgere nell’omicidio del marito e poi si rende conto che lei è un transessuale. La moglie di un re si concede a tutti coloro che riescono a  liberarla dalla cintura di castità impostale dal marito. Un marito impotente beve un elisir che invece di risolvere i suoi problemi lo fa cadere addormentato. Un mercante viene sodomizzato da un marito tradito e alla fine ci prova pure gusto.

Chinese kamasutra (1993) lo firma con un altro nome cinese: Chang Lee Sun. La sceneggiatura accreditata a tal Fu Shen è sempre sua e così la fotografia (i titoli dicono Hsu Hsien). Le musiche non sono certo di Sun Chang ma di un non identificato autore italiano. Interpreti: Giorgia Emerald, Marc Cosavez, Leo Gamboa, Li Yu, Liezl Santos e Lim Yao.

Per Marco Giusti Chinese kamasutra è un film hard ed è pure  “il capolavoro teorico di Massaccesi”. Secondo noi è soltanto un film mal costruito come scenografie e ambientazione, che si svolge tutto in un cortile di un palazzo, tra vecchi ruderi e interni di una casa finto cinese. Per la trama non vi fidate del Giusti, che dei tre film parla solo per sentito dire. Prima di tutto Chinese kamasutra non è un hard ma un erotico puro, un po’ spinto in alcune sequenze ma sempre di erotico si tratta. La storia è molto confusa, per non dire che in realtà una storia vera e propria non esiste. C’è una bella americana che lavora in Cina e un giorno scopre un libro intitolato Kamasutra e questa cosa le sconvolge la vita. Un ragazzo del posto le fa una corte serrata, ma lei non cede e va invece a perdersi nella casa di uno strano vicino che ogni giorno la spia. La ragazza viene rinchiusa nel palazzo e sottoposta a continue prove erotiche, mentre il suo aguzzino le dice che in un’altra vita lei era una principessa e loro due si amavano alla follia. Adesso per ritornare insieme lei deve purificarsi.  “Vivi nel tempo sbagliato. Hai dimenticato l’amore e con esso la vita. Devi imparare di nuovo e per questo sei qui” le dice più volte il santone. Ci sono anche delle belle scene erotiche in questa parte, costruite su imitazione delle pellicole orientali di gran moda. C’è anche una fantastica Giorgia Emerald che da sola vale la visione. Niente di più. Il film è lento, noioso, prevedibile, ripetitivo, privo di nerbo. Girato tutto in Italia, in un cortile scalcinato e acquitrinoso con dei buffi soldati che marciano e un comico santone cinese che dovrebbe essere l’iniziatore al piacere della ragazza. C’è pure uno scontato lieto fine che vede la ragazza tornare tra le braccia del suo innamorato cinese. Un tentativo maldestro di fare eros raffinato. La trama che abbiamo cercato di sintetizzare ha poco a che vedere con quel che racconta Marco Giusti su Stracult: “Chinese kamasutra è la storia di una donna che per reinventare il rapporto di coppia decide di andare alla scoperta dell’esoterico e si appassiona agli antichi segreti orientali. Scopre un mondo fantastico e si perde in un labirinto di bruciante passione”.

Massaccesi, intervistato da Duel nel marzo 1996, dice: “Tutto cominciò con l’inaspettato successo di Sex and Zen, che secondo me è una delle più grosse stronzate mai viste. L’hanno spacciato per un film colto, ma io l’ho rivisto tre o quattro volte per capire cosa ci vedevano in ‘sto film e non l’ho mica capito… Quindi, visto che aveva avuto un buon riscontro, ho pensato che potevo farlo anch’io e magari meglio. Infatti i tre film non sono andati neanche male. Chinese kamasutra è il migliore, gli altri due sono stati fatti solo per il video, usando qualche scenario che già avevamo. Sapete, nel cinema non si butta via niente…”.

Citiamo anche l’opinione di Antonio Tentori che nel suo libro Joe D’Amato l’immagine del piacere (Castelvecchi, 1999) dice che il film ha un’indovinata dimensione sogno-realtà e capovolge la prospettiva, dato che presenta una donna occidentale che si fa irretire dai piaceri orientali. Inoltre giudica ottime tutte le scene ambientate nella villa abbandonata, soprattutto le parti erotiche.

China and Sex fa ancor più il verso al successo internazionale di Sex and Zen di Michael Mark (1993). Il rifacimento dei successi altrui è uno dei canoni fondamentali di D’Amato. Qui il dramma si coniuga al misticismo orientale e al sadomasochismo. Un mandarino si innamora di una danzatrice, ma lei scappa e lo umilia, fino al punto di sfidarlo ad attraversare per lei il Giardino dei Supplizi, luogo dove piacere e dolore si sposano. Il mandarino supera il mitico Giardino, incontra la danzatrice e si abbandona ai piaceri dei sensi. Al culmine della passione la donna lo evira, trasformandolo in qualcosa che lei definisce “l’angelo del piacere”. Da segnalare che la critica ufficiale scambiò questi tre film per veri prodotti orientali e che un critico de Il Manifesto avvertiva i lettori di fare attenzione perché non erano film cinesi ma giapponesi. Il gioco dei falsi nomi orientali e della finta casa di produzione riuscì a Massaccesi sino in fondo e la trilogia ebbe un buon riscontro al botteghino.

Il labirinto dei sensi è ancora del 1993. Regia di Joe D’Amato, scritto da Leslie Wong (sempre lui), costumi di Noel Ribaya, fotografia di Federico Slonisko (ormai sappiamo che è Massaccesi), musica di Piero Montanari. Interpreti: Monica Seller, Steven Rogers, Lora Luna, Mike Monty, Muriel Lim, Ricky Jonez e Liezl Santos. Antonio Tentori definisce il film “un Chinese kamasutra al contrario” (si veda Joe D’Amato – l’immagine del piacere, Castelvecchi 1999). La trama si racconta in poche parole e forse è proprio il punto debole di un film che per essere un erotico soft è come al solito abbastanza spinto. Valery è una governante francese che viene assunta da una famiglia di Saigon (anche se la location è la stessa del film precedente) e fa innamorare tutti. Moglie, marito, figlio gay e nonno si lasciano sedurre dal fascino della ragazza che ha per tutti il consiglio e la parola giusta. La pellicola è un trionfo di scene saffiche, bagni con donne che si accarezzano, masturbazioni femminili, rapporti spiati da porte socchiuse e rapporti sessuali compiuti nei posti più disparati. Valery addirittura fa capire al figlio gay che deve essere libero di scegliere la sua sessualità e che non deve farsi dominare dal compagno. La tranquillità della famiglia è sconvolta e alla fine sono tutti innamorati di lei. Valery sceglie il nonno e se ne va con lui, ma promette di ritornare. Anche in questa pellicola notiamo un’ottima ambientazione orientale, ma soprattutto molta malizia e sensualità. Monica Sellers è brava e ci sa fare con le sequenze che lasciano intuire molto di più di quel che mostrano.

La casa del piacere (noto pure come Sete di piacere) è l’ultimo film orientale firmato per l’occasione come Joe D’Amato, mentre il finto nome cinese resta come scrittore e sceneggiatore (Dan Chang), così come ricorre al solito pseudonimo di Federico Slonisko per la fotografia. La musica è di Piero Montanari. Interpreti: Irina Kramer (una stupenda mora dagli occhi blu), Nick Nicholson, Marco S. Gonsalvez, Andrea Ruiz e Liezl Santos. Ha ragione Antonio Tentori quando dice che La casa del piacere è un remake orientale di Voglia di guardare. La trama è identica. Siamo a Manila e una coppia europea in viaggio di nozze è ospite della casa di Lin Piao, figlio di Xao Chang, un vecchio amico del marito che è morto inaspettatamente. Lin Piao corteggia Eleanor, la bella moglie e riesce a portarsela a letto, quindi intreccia con lei una relazione. In breve ci accorgiamo che il marito è d’accordo con il cinese e che lui ama spiare i rapporti sessuali della sua donna. Nell’atelier di Lin Piao infatti c’è un doppio vetro e il marito se ne sta seduto a bere champagne e a godere mentre assiste agli amplessi della moglie. Ma non è solo Lin Piao ad avere rapporti con la donna che viene costretta a prostituirsi con tutti i clienti dell’atelier. A questo punto la compagna del cinese confessa a Eleanor la macchinazione ai suoi danni, ma le cose non cambiano. Eleanor dimostra di amare il marito proprio per questo suo vizio. La coppia torna in Europa e  il gioco inizia di nuovo con un altro uomo. Diciamo che per essere un remake di Voglia di guardare è più riuscito dell’originale, soprattutto perché ha una protagonista che pare fatta apposta per il ruolo. Irina Kramer sprizza sensualità da tutti i pori e Jenny Tamburi al suo confronto è una dilettante. Il film è molto malizioso e ci sono scene ad alto contenuto erotico. Su tutte ricordiamo quella con le mani del cinese che si insinuano insistentemente sotto il tavolo e vanno a frugare tra le gambe della Kramer. Il voyeurismo alla Massaccesi qui è un trionfo di sensualità e le sequenze preferite dal regista si sprecano. Masturbazioni femminili a letto e sotto la doccia, uomini che spiano da porte socchiuse e rapporti rubati sono il filo conduttore della pellicola. Notevoli anche i primi piani dei particolari anatomici e delle carezze. Come in tutti i film erotici di questo periodo Massaccesi sfiora l’hard e i rapporti sessuali sembrano sequenze porno tagliate. Per finire diciamo che pure la location asiatica è molto suggestiva.

(15 – continua)

Gordiano Lupi