- Sì, sì, compri cinquanta cappa di Italcementi, sì sono convenienti a centounovirgolazerodue, io le comprerei senza pensarci minimamente. Cosa? No, no, non si metta primo in lettera sul book come con le Prysmian, metta fuori i cinquanta cappa a mercato, le prenda pure ora.
Chiudo la conversazione che ho tutto il lobo dell’orecchio destro che brucia. Cazzo (chissà se faranno veramente venire il tumore al cervello, questi affari?). Il cliente va sempre un poco corteggiato, bisogna indorare la pillola, vendergli sicurezza.
E’ dalle nove del mattino che sono attaccato a quella cimice elettronica, i miei capi di Milano mi hanno detto di “piazzare lotti da cinquanta cappa di Italcementi a tutti i clienti”. In gergo, cinquanta cappa, o meglio 50 k, significa 50.000 euro. Facciamo comprare le obbligazioni Italcementi perché speriamo in una trimestrale positiva e in un allungo del prezzo di mercato dell’obbligazione.
- Pronto? Sì, Giorgio, sì, abbiamo fatto quasi… Come? Le analisi? Te le mando tra quarantacinque minuti, nessun problema, ciao.
Molto simpatico, il mio capo attuale, devo dire. Molto meglio di quando lavoravo in banca. Qui ho la possibilità di portare avanti i miei studi finanziari e di lavorare dal tavolo di casa. Peccato per la paga.
- Sì, dottor Vincenzi, lo sto guardando ora. Il suo portafoglio segue bene la rotta, abbiamo un bel quattro per cento su otto mesi, siamo saliti su qualche cavallo di razza e ora attendiamo che il mercato si giri per il verso giusto. No, non si deve preoccupare, le opzioni la copriranno da ogni imprevisto. Si figuri, a presto.
(Enzo)
- Le sta a pennello, pare fatta per lei questa tuta.
Enzo batte le mani lungo i fianchi di una prosperosa cinquantenne, i capelli biondo tinti, le unghie rosse come sottili lingue di gatto.
- Quanto costa giovanotto?
- Sono quattrocentottanta, signora mia bella, ma per lei facciamo un poco di sconticino… I clienti affezionati…
E’ mezzora che il nostro store manager sta dietro alla cinquantenne come una lepre. “Signora mia quanto è bello questo… Madonna come le dona quest’altro…
- Se ti fai fare una bella maschera in faccia spendi meglio i tuoi soldi! – desidererebbe tanto dirle.
- Ma siamo sicuri che se cado non mi faccio male al gomito, giovanotto?
- No signora, e poi sono sicuro che lei è una guidatrice di grande esperienza!
- Per me dovresti startene a casa ai fornelli, che cazzo ci vai a fare in giro in moto, mummia!? – sarebbe la risposta proveniente dal suo cuore.
Sono solo le undici e l’Outlet di Vicolungo è un fiume in piena. Gente che entra, gente che esce. Gucci Prada Louis Vuitton Adidas Nike Freddy Levis Gas Boxeur de Rue Navigare Intimissimi LaCoste Denim Ralph Laurent. I marchi, lucidi e abbaglianti, sono enormi divinità sopra le teste della gente. I negozi enormi bazar da cui fuoriesce la roba. Le mani scivolano frenetiche, tra merce e roba, gli occhi carezzano gli dei profumati, omologati, eleganti.
- Se io avessi un lunedì mattina libero, non verrei certo a sprecarlo qua dentro – pensa Enzo da dietro la vetrina del negozio.
La cliente se ne è appena andata, ha comprato la tuta da motociclista, oltre a guanti, casco, cappellino, foulard, maglietta, dolcevita, mutande che Enzo è riuscito a rifilarle (la sua esperienza a Foot Locker gli ha insegnato che ogni cliente è un pollo che va spennato fino all’ultimo brandello di pelle).
- Hai visto Jacopo, come si fa? – dice girando le spalle.
Dietro di lui, il fantasma di un ragazzone alto e biondo emette un grugnito.
(Vittorio)
La luce filtra a stento, una linea tratteggiata sul muro. Sulla parete si intravede il poster di Sylvester Stallone che impugna una mitragliatrice. Si sente il rumore di un aspirapolvere, in lontananza.
- Quel bischero è buono solo a dormire! Fallito! – si sente provenire dietro il muro.
Il nostro eroe è lì, la testa sotto il cuscino e il corpo rovesciato sulla pancia.
- Vittorio, ti vuoi alzare??? – un urlo.
(Roberto)
Salgo l’ultimo scalino e alzo la testa: in fondo alla sala siede la mia fidanzata.
- Robi…
- Ciao amore.
- Come va?
- Bene, un po’ di fretta. Hai già ordinato?
- No, ti aspettavo.
Ordiniamo il “sushi pranzo” entrambi. Vanessa ha un trucco eccessivo, che mi ha messo di malumore fin da quando sono entrato. Non che mi spiaccia vederla ben curata ed elegante. Però mi infastidisce quando esagera con la matita e il phard e finisce con il somigliare paurosamente a mia nonna.
Quando ci troviamo a metà piatto, alzo lo sguardo e gli occhi di Vanessa sono già puntati sul mio viso.
- Buono, non trovi?
- Uhm.
- Come va con il lavoro?
- La solita menata, chiama quello, analizza quel dato, fai comprare quel titolo…
Vanessa mi guarda con un’aria compiacente.
- Il mio capo dice che vado bene.
- Ah sì? Quanti anni sono che te lo dice?
- Vane, lo sai che per queste cose… – scuoto la testa, come a dire “sai già come termina la frase”.
- Cosa?
- Ma sì, ci vuole tempo… La nostra generazione è stata così sfortunata…
Vanessa allunga la mano verso la mia.
- Lo so tesoro.
La guardo sorridendo. Lei beve un sorso d’acqua e asciuga le labbra sul tovagliolo di stoffa.
- Il tempo finisce, amore – lo sguardo di Vanessa resta complice, un sorriso dolceamaro le compare sul viso.
- Cosa vuoi dire? – l’ombra di un’ansia remota, che avevo dimenticato da un lungo periodo, si riaffaccia su di me.
- Tesoro, tra un mese compio trent’anni. Per me il tempo di giocare è finito.
La guardo da una luce distante, come mi avesse appena investito un tir. La sua mano stringe la mia.
- Stai per lasciarmi?
- Dipende da te, amore mio.
Nella stanza entra una luce fredda. Il sole è solo un dio minore, appannato e lontano. Riaccendo il computer alla mia scrivania e avvio i programmi. Poi vado in cucina e metto a scaldare dell’acqua per un the. Compio ogni azione meccanicamente, la testa è piena come un palloncino. Le parole di Vanessa mi rimbalzano dentro, sono tante piccole onde che si infrangono ripetutamente sul cervello.
- Sto a 800 euro al mese – mi ritrovo a pensare – d’accordo, non ho l’affitto da pagare. Buono. Però con il suo stipendio non siamo messi bene…
L’acqua si mette a scoppiettare e ci intingo una bustina di the nero.
- Potrei dirle di venire qui da me. Le cose si aggiusterebbero per un po’. In attesa di tempi migliori… Abbiamo due stipendi, seppur striminziti, e abbiamo pur sempre questa casa. Questa casa. – un bagliore di ottimismo ricompare.
Il suono del citofono.
- Sì, Gabriele, sali.
- Vanessa sarebbe così contenta di arredare a nuovo la casa…
La sagoma di un ragazzone si materializza alla porta
- Entra, Gabriele, entra.
Ci sediamo al tavolo e il ragazzone riccioluto e pieno di lentiggini, comincia a mostrarmi i compiti a casa.
- Mia mamma dice di chiederle se posso venire qualche giorno di meno a ripetizione, ora che ho tutte le materie sufficienti.
Mi sorprendo a sollevare il mio sguardo su di lui. Come se fossi un burattino, come se fossi vissuto da qualcun altro. Lo fisso senza dire nulla.
- Non è d’accordo, prof?
- Assolutamente no, ragazzo – mi sento dirgli – abbiamo ancora un sacco di lavoro da fare.
Le due ore successive passano su un’orazione di Cicerone, la Pro Achia, credo, o forse la Pro Sesto. Ascolto il brufoloso diciottenne parlare, intanto io gli conto i chicchi di forfora che ha sulle spalle. Ogni tanto, a caso, lo interrompo:
- Sicuro? – gli faccio con occhio truce.
Il panzone sputa fuori qualche lapillo di saliva.
- No, che stupido, mi scusi.
Poi ricomincia la tiritera, cadenzata come una macchina a vapore
- Num facio de his rebus tam clamore, si tu…
Il telefonino attacca a squillare. Sul display compare il numero di mio padre dal Madagascar. Non mi chiama da quel numero da diverso tempo.
- Ti dispiace, Gabriele?
- Si figuri – bofonchia il rospo.
- Pronto?
- Citoneeee! – la voce di mio padre esce dal cellulare come se fosse il ruggito di una canzone degli anni Sessanta.
- Ciao papà!
- Come sta il mio figlio adorato?
- Me la cavo.
- Me la cavo? Qui bisogna darci alla grande, altro che me la cavo!
- Già.
- Qui ho un harem di quindici splendide fanciulle! Quando ti annoi di quella… Come si chiama?
- Vanessa.
- Già. Dicevo… Quando ti annoi di quella, basta che prendi l’aereo e che mi raggiungi, ti cedo lo scettro.
- Senti, papà, sto lavorando.
- Quando mai!?
- Adesso.
Una risata strozzata.
- Senti – si ricompone l’arzillo ultrasettantenne – qui le cose si sono messe male – il tono si è fatto serio.
- Cosa vuoi dire papà? – gli domando preoccupato.
- Voglio dire che ha smesso di funzionarmi il pisello! – erutta una fragorosa risata – Qui per il tuo vecchio è finita, citone mio! – la sua voce è un fiume in piena, non smette di alzarsi di decibel – Faccio ritorno alla base, sto tornando a casa!
(3 – continua)