Lungo le piastrelle della camera sono dispersi scatoloni di cartone sigillati con lo scotch. Altri scatoloni sono già stati aperti e da essi debordano libri, vestiti, portaritratti, asciugamani. A fianco alla parete ci sono io, il pennello in mano e una tuta macchiata di bianco addosso.
- Sarà più che mai accettabile – penso mentre assesto le ultime pennellate alla parete.
Ho coperto una grossa macchia di muffa su questo muro che dà a nord. Levarla via con uno straccio intriso di candeggina e impolparla di antimuffa.
Mio padre è tornato a casa da due settimane e ho dovuto liberargli l’appartamento. Anche se la casa, quella che è stata la mia tana in tutti questi anni, è abbastanza grande per starci in due, non sarei in grado di sopportare una convivenza con il mio vecchio. E così eccomi in questo modesto appartamento di periferia, economico ma funzionale, all’irrisorio canone di 300 euro mensili.
- Irrisorio fino a un certo punto – penso tra me.
Sì, perché, senza l’ammazzatina della vecchia zia e il vitalizio che abbiamo progettato, anche questa contenuta spesa sarebbe stata inarrivabile.
Con un pennellino ritocco la tintura sui bordi della porta e lungo il contorno del termosifone.
E così, grazie alla doppia piroetta sulle scale da parte della vecchia zia, ho potuto chiedere solennemente a Vanessa di venire a vivere con me. Un passo avanti che ha impressionato la mia fidanzata, disponendola ormai favorevolmente nei miei confronti. Il primo passo per iniziare una vita insieme.
Qualche brutto pensiero, ancora, mi fa visita la notte. Preoccupazioni sul futuro, angosce, paure di non riuscire a farcela… Fino a pochi mesi fa, erano incubi comuni, che non riuscivo a scacciare via nemmeno con la prima colazione. Ora sopravvivono, ma sono limitati.
- Ma quel coglione l’avrà capita che non deve più spendere soldi – digrigno involontariamente i denti.
Appoggio il pennello sul barattolo di vernice e mi asciugo le mani su uno straccio che tengo penzolante sulla spalla. Con lo sguardo rivolto alle pareti dell’appartamento, esco dalla camera. Le stanze sono piccole e silenziose, la luce entra da discrete finestre in legno. I pavimenti sono in marmo vecchio, color stracciatella, con i battiscopa bassi e sottili. Dalla cucina parte un terrazzino coperto da una tendina verde, strapazzata dal vento. Nelle mensole Vanessa ha riposto il servizio di piatti e l’argenteria di sua nonna. Un piccolo televisore sul mobiletto è il regalo che ci siamo fatti per festeggiare l’inizio della nostra convivenza.
Il suono del campanello. Dietro la porta compare il faccione di Vittorio.
- Il tuo nuovo regno! – fa entrando in casa.
- Accomodati – gli faccio mentre lui ha già superato anche la soglia della cucina.
Quando lo raggiungo, Vittorio se ne sta in piedi, la faccia pensierosa.
- Senti volevo chiederti alcune cose sui soldi.
- Sono tutto orecchie.
- No, non qui – fa girando gli occhi attorno – usciamo.
- C’è ancora il sole?
- Un poco.
- Un giretto al parco?
- Quel che volevo capire è come funziona tutto l’ambaradan. Sì, insomma, come i soldi vengono gestiti, chi li gestisce…
La statale che si srotola come un lungo tappeto grigio tra Vercelli e Biella sbiadisce dietro i finestrini. La mia Fiesta rossa fiancheggia concessionarie auto, McDonald’s, campi di riso, spiazzi su cui le prostitute aspettano, sedute sopra le sedie bianche.
- Partiamo da capo, Vittorio, così ti spiego bene.
- Sì.
- Allora, Enzo ha venduto le case e ha liquidato i fondi e i pronto conto termine della zia. In banca ha creato liquidità sul suo conto corrente, che sarebbe dovuta essere per 800 testoni, ma che grazie alle sue belle pensate è scesa a 500.
Silenzio nell’abitacolo.
- Ecco, ora – riprendo – siamo andati dai miei capi di Torino e abbiamo firmato un bel contratto di gestione…
Con la coda dell’occhio mi assicuro che lo sguardo di Vittorio non si sia perso tra le cosce di qualche puttana.
- … Ora loro potranno operare sul conto corrente di Enzo, ed investiranno i 500 mila in titoli azionari, obbligazionari e fondi, al fine di farli fruttare il più possibile.
- Questo mi è chiaro. Ma Enzo quindi non può più usarli, quei soldi?
- No, quello lo può fare – ci scambiamo un sorriso amaro – il conto corrente è suo e lui può prelevare, firmare assegni ed effettuare bonifici quando vuole.
- Ho capito – il venditore ambulante guarda il fiume Sesia che si nasconde tra i ciuffi di verde dell’argine.
- E noi, come facciamo a prendere i soldi a fine mese?
- I soldi investiti incrementeranno il loro valore e daranno delle cedole. Noi attingeremo da questo guadagno. Sarà Enzo, che, potendo operare sul suo conto corrente, preleverà i nostri soldi a fine mese e ce li farà avere.
Lo sguardo di Vittorio sta fissando qualcosa, tra la boscaglia attorno. Uno sguardo privo di interesse e di volontà.
Poi la nostra auto imbocca una strada sterrata, comincia a sobbalzare, e ci ritroviamo nel parcheggio del parco d’Albano.
- Quante volte ci siamo venuti! – dico scendendo dal sedile.
- Già, il nostro paradiso – il volto di Vittorio riprende energia e colore.
- Vieni, facciamo il solito percorso.
(Enzo)
Giorni fotocopia.
Lei che viene.
Lei che va.
Federica come uno spettro che si aggira nel palazzo di Enzo.
Nel suo nuovo appartamento.
Il palazzone nel centro città.
Non più il buco ammuffito coi suoi.
Aria fresca.
Muri in marmo chiaro.
Persiane pitturate.
Ascensore, tv al plasma, divano in pelle.
Oggi Enzo ha comprato a Federica calze di raso, bustino nero di pizzo e scarpe col tacco dodici rosse. Nel vederla non può fare a meno di deglutire. E’ uno schianto, un brillante. Federica se ne rimane impalata davanti allo specchio a calibrare i suoi fianchi generosi. Le sopracciglia si alzano e si abbassano come per dire “Posso andare?”
- Sì, puoi andare – gli esce a mezza gola.
Enzo deglutisce mentre lei ancheggia e si avvicina. Quasi balla nell’aria. Le unghie dei piedi sono smaltate e brillano come luci di scena. Federica tiene gli occhi chiusi e ondeggia al centro della stanza. Le braccia snodate come serpenti, i capelli che volteggiano e si contorcono. Enzo la aspetta a braccia aperte. Pensa che sia la cosa più bella che abbia mai visto.
- Se solo potesse essere mia tutti i momenti che voglio… – il nero gli cancella per qualche istante l’eccitazione.
Poi lei lo guarda con la testa voltata all’indietro, dandogli le spalle, il sedere praticamente in faccia ad Enzo. E il suo pensiero torna a quel corpo di velluto. Pensa che sarebbe bello morire così, tra le braccia di lei. Lo stereo manda le vibrazioni sonore di “The boots are made for walking”, Federica è leggera come una piuma. Si lascia adagiare sul letto. Si stropiccia gli occhi. Si morde il labbro inferiore. Reprime un sorriso. Infine schiude le sue gambe come petali di fiore.
- Quando verrai qui?
- Sono già qui.
- Quando ci rimarrai per sempre, voglio dire.
- Presto.
- Quanto presto?
- Presto presto.
- E’ una promessa?
- E’ una promessa.
Federica è allungata sul fianco. Nella sua nudità è ancora più disarmante. Le labbra poco più di una ferita sul cuore. Enzo decide di crederle. Non può fare altro. Le luci della sera filtrano dal salotto. E’ l’ora in cui Federica ha le prove di teatro e deve andarsene.
Lui la segue con gli occhi mentre cerca i pezzetti dei suoi vestiti sparpagliati per la casa. Ne osserva i glutei mentre si piega per rivestirsi. Assapora il rumore soffice dei suoi piedi che scivolano sul pavimento. Chiude gli occhi. Un momento perfetto per morire. Quando li riapre, Federica si è appena tirata dietro la porta. E’ tornato solo in quell’appartamento troppo grande. Com’è buffa la vita. Prima, a casa coi suoi, si lamentava di quanto si sentisse soffocare nella sua cameretta da eterno ventenne. Ora che ha i soldi in banca e la casa per conto suo, lo spazio pare troppo vasto. E un nuovo tipo di ansia gli opprime il petto. Enzo si veste. Deve uscire. Fare qualcosa. Non pensare. Aspettare che Federica ritorni. Ha promesso che questa sera, dopo le prove, si fermerà a dormire con lui. Avranno tutta la notte per loro. Controlla l’ora. I negozi sono ancora aperti. Enzo esce. Prende l’Audi A6. Non è la prima volta. Nelle ultime settimane le giornate sono fotocopie. Si sveglia tardi nel pomeriggio. Non sente nessuno. Nessuno lo cerca. Roberto amministra il capitale. Vittorio sembra svanito. Giorni fotocopia. Solo Federica che entra ed esce di scena e quando esce lo lascia con l’atroce tormento del nuovo spazio abitato. Uno spazio vasto come le volte del cosmo. Uno spazio da riempire. Giorni fotocopia fatti di corse notturne all’Outlet always aperto. Benedetto quel Governo che ha allungato le ore lavorative di quei quattro schiavi che ancora ci lavorano. Prima, da commesso, l’idea di lavorare fino alla mezzanotte l’avrebbe schiantato, adesso è solo un’ancora di salvezza dalla noia.
E infatti ecco la luminescenza gommosa del grande spazio commerciale di Vicolungo. Ecco l’odore di copertoni bruciati che sale nell’aria azzurrina. L’opale albume dei neon che lo divora nella calca, tutti in fila, con la mente sbrinata spalancata sul ventre refrigerante dell’Outlet. Con le marche che frusciano sulla sua retina, Enzo non percepisce più il peso dello spazio vuoto di casa, non percepisce il pulsare del tempo, inutile senza la presenza di Federica.
L’Outlet pulsa di luce propria, si allarga e sconfina dentro i pensieri umani, liquidi cristalli, ormai del tutto simili al display di un cellulare. L’odore del posto è quello di una transumanza semidanzante, pungente, attorcigliata tra vetrine e reclame. Enzo nella fiumana di corpi che planano. Occhi e bocca proiettati sul bancomat. Un prelievo. L’ennesimo. L’ennesimo infinito. La carta di credito che ci rende liberi dal possesso delle banconote. Lo scivolare della carta dentro l’apposito erogatore e poi lo squarciarsi della merce che scivola come un’emorragia dentro di noi. Enzo sfoglia i negozi. Tutte le porte sono aperte. Uno studio di settore ha stabilito che si vende di più. Uno studio di settore ha stabilito che il cliente è invogliato maggiormente a comprare se il commesso è sempre in piedi, sempre impegnato a fare qualcosa di immaginario. All’Outlet tutti i commessi sono in piedi. Enzo compra, inghiotte un mix di prodotti squisitamente inutili. Bomber da Top Gun, Blauer, Diadora Heritage, Dekker, Gant, la rinascita delle atmosfere pretty degli anni ’60, il camouflage, le grisaglie di lana, i Brunello Cucinelli, piumini, Fred Perry, Seventy, Brooksfield per dandy nottambuli contemporanei, occhiali da surf, North Sails nautiche, polo, sneakers che scaldano la pelle dei piedi, che scaldano la pelle del cuore e il calore emanato allontana lo spazio sfinito di casa. Enzo stracarico di borse come nei giorni precedenti. Sente fame. Odia mangiare da solo. Come faceva quando viveva coi suoi.
Prende l’Audi A6. Guida verso la città. Prima di arrivarci perfora squarci periferici dove il vuoto urbano la fa da padrona. Piazzali, capannoni, magazzini inghiottiti dalla rovina. Attività all’asta. Aziende di famiglia. Vetrine blindate. Orizzonti stipati di “Compro oro” in mano all’Ndrangheta…
La periferia è il cimitero delle vendite giudiziarie, dove si svende tutto quel che resta delle piccole imprese che finiscono in bancarotta. Ovunque prezzi in saldo da fallimento e facce felici che fanno finta di niente. Tanto ormai la crisi è passata. Tanto ormai la crisi è finita.
Enzo guida fino in centro, al ristorante giapponese Sushi Fuji. Si siede al tavolo e ordina sushi misto, sashimi al salmone e zuppa di miso. Mangia e origlia i discorsi di due accanto. Due com’era lui prima: due anonimi lavoratori. Un padre e un figlio mangiano due zuppette di miso. Le assaporano, le fanno durare come se fossero oro fuso. Non hanno le etichette dei pacchi di Enzo a consolarli. Ma paiono sereni. Parlottano di ripresa economica. Dicono che c’è qualcosa di nuovo nell’aria. Che la crisi non è stata poi così dura…
- Bastava rimboccarsi le maniche, da buoni italiani!
- Le strade pullulano di mendicanti, e allora? E’ gente che si è lasciata scoraggiare, tutto lì. E i negozi desolati con parecchi dipendenti senza paga?
- Ma quali negozi deserti? Li pagano fin troppo per quello che lavorano!
- Dieci, venti ore al giorno…
- Ebbè, capirai, mettere su e giù degli scatoloni!
- E chi vive con 500 euro al mese?
- Evasori, chissà cos’hanno messo via… No, no, questa sì che è vita, non siamo mai stati così bene. Niente di meglio che essere tornati una generazione di migranti. Coi nostri figli che se ne vanno di casa e non rimangono a poltrire come quelli nati nei ’70. Partono e conoscono nuovi luoghi, nuovi paesi.
- Dove farsi sfruttare?
- Ma che sfruttare! Dove ri-na-sce-re. Guadagnano come lavapiatti, fattorini, pizzaioli. E le lauree? Oh, che palle le lauree. Non la senti l’aria frizzante? C’è una nuova fibrillazione. Monti ha messo in moto qualcosa. Ci si arrangia. Mercati e mercatini a bassissimo prezzo. E gli Outlet coi saldi tutto l’anno. Una nuova vita da discount per il ceto medio. Sogni alla portata di tutti. Lo Stato non pagherà più la sanità. La scuola. Meglio, impareremo ad arrangiarci. Lavorare per galleggiare. Lavorare sempre di più. Meglio, perché la noia è una brutta bestia.
- Lavorare trattati come bestie da soma?
- E come vuoi essere trattato? Con la sveglia la mattina come il Marchese del Grillo? Con la pensione nella testa?
- Ma che pensione e pensione! Camperai fino a 100 anni e potrai chiavare fino a 99. Che te ne frega di smettere. Di non fare più qualcosa.
- Io sono ottimista. Vedrai che lavorando bene ne usciremo.
- I disoccupati? Avranno il tempo libero per andare a scuola. Ci andranno solo loro, sfigati del cazzo. Perché la scuola è quella roba lì. Scholé, cioè ozio…
Enzo esce dal giapponese. Ha la pancia che scoppia. L’Audi scoppia di borse.
Giorni fotocopia.
Riprende a girare dentro la città.
Di notte.
Controlla il pulsare del display.
Aspetta una chiamata da Federica.
Passa da casa. Posa le miriadi di acquisti, eppure lo spazio gli sembra ancora saturo di fantasmi.
Troppa estensione.
Troppa superficie.
Troppa dilatazione.
Troppo allungamento.
Troppo allargamento.
C’è ancora un’infinità di spazio da…
Riempire prima che arrivi Federica.
Enzo controlla il display.
Roberto non lo ha ancora cercato.
Vittorio sembra sparito.
Federica ritarda.
I suoi genitori, ombre tra i vivi.
Perché l’hanno fatto?
Perché l’ha uccisa?
Per chi l’ha fatto?
Esce nuovamente.
Riprende l’Audi A6.
La notte si dilata attorno alla carrozzeria.
L’ansia è in agguato oltre i vetri puliti.
Il peso del sonno lo ha lasciato da molte settimane. Solo gesti seriali. Ripetibili all’infinito. Lo alleviano dall’atroce passare del tempo immobile. Enzo affonda nella notte. Guida. Attratto dalla luce iperbarica dei supermarket. Nel buio, le stelle clandestine delle insegne che bruciano l’ossigeno. La realtà è un acido iperlogo stampato nel cielo. Lui guida nell’auto, sudario di lamiera. Il suo corpo è divenuto un tutt’uno con la carrozzeria piallata. Scende solo una volta per fare il pieno a un self desolato e riprendere a sfilare attorno alla città.
Il tronco decolorato e liquido del Carrefour, col suo blu notte che si fonde nella landa mentale del paesaggio, lo cattura. Enzo fa alcuni giri nel parcheggio. Da ragazzo frugava tra i carrelli, per vedere se qualcuno non fosse riuscito ad agganciarli e prendere una monetina. Vede delle auto abbandonate. Quante volte si è chiesto cosa ci facciano lì. Roberto e Vittorio avevano elaborato varie teorie. Ora non sono più importanti. Quello che è importante è che arriva una macchinina piccina. Una Mini bianca. Si accosta a un’altra macchinina piccina. Una Ka granata. A lui, la seconda macchina ricorda qualcosa. Dalla prima vettura vede scendere una figura femminile bruciata dai soffi dei lampioni. La figura si china ancora una volta dentro l’auto e bacia quello alla guida. Un ventenne brufoloso coi capelli da emo appiattiti come spaghetti. Un poeta del DAMS. Uno del gruppo. La ragazza si morde il labbro inferiore. Ha una faccia liscia che suggerisce una certa complicità. Un sorriso radioso. Federica si apre come il petalo di un fiore carnivoro. Una sgualdrina di natura. Totalmente incosciente.
Federica ha pelle che si fa luce che brucia.
Ha una pelle diffratta, che al suo passaggio lascia dietro di sé la quiete dell’estasi.
Una pelle che divora il vuoto, lo lacera, lo reprime, lo sprofonda.
Federica è quel pieno che imprime la pellicola.
E’ quel pieno che rimane.
(7 – continua)