16.
La notizia della morte di Armando si diffuse presto per tutta Guanabacoa. Ad Alamar ce la portò Fernando che raccontò tutto a Barbara in preda a un’agitazione incontenibile.
Roberto non c’era, per fortuna. Era uscito di buon mattino con destinazione Centro Avana per chissà quali traffici.
“A Guanabacoa non si parla d’altro” esordì Fernando.
Armando era il santéro più famoso dell’Est Avana, la sua morte aveva sconvolto tanta gente che aveva aiutato e che adesso era rimasta senza un punto di riferimento importante.
Fernando era a pezzi. Non poteva capire il gesto di quel pazzo criminale. Dopo aver affidato i bambini alla madre era scappato da Barbara approfittando della prima guagua del mattino. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, ma soprattutto di confidare a lei le sue pene.
Era l’unica che poteva capirlo.
“Tutti dicono che si è trattato di un amarre.”
“Cosa sarebbe un amarre?”
“Anch’io non sono esperto di certe cose. Me l’hanno spiegato i fedeli che andavano a vegliare il santéro. Un amarre si fa per uccidere una persona anziana. È una specie di rito vudu haitiano. Si prede un pupazzo di stoffa, lo si lega per mani e per piedi, poi si seppellisce in un cimitero. A Guanabacoa dicono che il santéro era un personaggio scomodo e che qualcuno l’ha fatto morire così. La sua casa adesso è un pellegrinaggio continuo di gente che porta fiori, candele e immagini dei santi. C’è un via vai di persone vestite di bianco e anche tutti i santéros della zona gli vanno a rendere omaggio. Oggi ci sarà una gran folla al funerale”.
“Speriamo che nessuno sospetti di noi” aggiunse Barbara “io la scorsa notte ho avuto un incubo…”.
“Che genere di incubo?”.
“Ho sognato la casa del santéro e c’era lui disteso su quel letto, proprio nella posizione in cui lo abbiamo visto l’ultima volta”.
“E poi?”.
“Eravamo tu e io accanto al letto. Lui tentava di parlare”
“Cosa diceva?”
“Le stesse frasi di quella sera. Tentava di metterci in guardia. Vi ucciderà… ha mormorato. Vi ucciderà tutti…”.
“Hai rivissuto la sera che è morto, Barbara. Il tuo subcosciente non riesce a liberarsi di quella terribile scena”.
“Credo di sì, però lui sembrava ancora vivo e le sue parole mi sono rimaste ben impresse nella mente anche dopo il risveglio”.
“Non ricordi altro?”.
“Soltanto che lui non ce l’ha fatta a completare il suo avvertimento. L’ho visto cadere sul letto e non riuscire più a parlare. Poi mi sono svegliata. È stato un incubo”.
“Se ripenso a quella sera sono ancora terrorizzato”.
“Lo abbiamo visto morire e siamo fuggiti”.
“Non potevamo fare altro”.
Barbara era in cucina e stava preparando il caffè, si era svegliata da poco e aveva trovato il solito biglietto con cui Roberto l’avvisava di non preparare il pranzo per lui. Si sarebbe arrangiato e non sapeva a che ora avrebbe fatto rientro. La giornata di Barbara era cominciata male, anche se le capitava spesso di trovare quei messaggi non ci aveva ancora fatto l’abitudine. E adesso era arrivato anche Fernando con quella bella notizia. Tutta Guanabacoa parlava della morte del santéro e presto lo avrebbe saputo L’Avana intera. Lei sapeva come funzionavano certe cose. Il passaparola tra la gente era più efficace di Radio Reloj e della televisione nazionale. Tra poco l’avrebbe saputo anche l’ispettore Abril che indagava sulla morte di Azela. Avrebbe potuto ricollegare i fatti? Poteva sospettare di loro? Mentre Barbara si poneva quelle domande portava il caffè a Fernando che se ne stava seduto sul divano immerso in tristi pensieri. L’uomo ringraziò, quindi bevve a piccoli sorsi quella miscela calda e ben zuccherata.
Poi riprese a parlare della morte di Armando.
“Qualcuno dice che l’ha ucciso uno spirito più forte di lui, lasciato in quella casa da qualcuno che il santéro aveva aiutato. Nessuno crede alla morte naturale”.
“Questo è normale. Armando aveva fama d’essere quasi un santo. Il popolo non può credere che sia morto per un semplice arresto cardiaco…”
“Spero solo che nessuno ci abbia visto uscire da casa sua quella sera. Potremmo passare dei guai. Io non voglio andare neppure al funerale. È da ieri sera che sento rumori di tamburi e chitarre provenire da casa di Armando e quei suoni mi tormentano l’anima. Mi pare di sentire la sua voce e sono parole d’accusa che non sopporto”.
“Dobbiamo stare tranquilli. Non abbiamo fatto niente di male. Se non ci tradiamo nessuno ci verrà a cercare” disse Barbara.
“Neppure l’ispettore Abril può pensare di mettere in connessione la morte del santéro con quella di Azela. Lui non sa niente dello scambio di teste e della nostra visita a casa di Armando” concluse Fernando.
Barbara pensò che era vero. In realtà soltanto padre Antonio conosceva come si erano svolti i fatti fin nei più piccoli particolari, ma Barbara aveva raccontato tutto nel segreto del confessionale. E poi di lui c’era da fidarsi. Non avrebbe parlato. Non c’era proprio niente da temere.
Barbara invitò Fernando a mangiare qualcosa insieme e lo tranquillizzò ancora. Stava facendo la parte dell’uomo e se ne rendeva conto. Ma in quel momento era la più forte, c’era poco da fare. Fernando si sentiva smarrito e abbandonato. Era rimasto solo, privato del suo grande amore, della compagna d’una vita, della madre dei suoi bambini. Doveva pensare alla casa e ai figli, continuare a lavorare e soprattutto doveva affrontare la vita come non era abituato a fare. In solitudine. Senza le parole e i silenzi della sua donna. Senza la sua presenza rassicurante.
Aveva cominciato a farsi prendere da una vita fatta di ricordi e il vuoto del quotidiano ingigantiva i sogni della memoria.
Si sentiva solo, insicuro, debole. E non bastavano i bambini a dargli la forza per continuare. Era troppo presto. La morte di Azela era troppo recente. E lui neppure riusciva a pensare che un giorno ce l’avrebbe fatta a sopravvivere al suo rimpianto.
(16 – continua)