“…Possono nulla?” si presenta con il primo capitolo senza numero e poi va dal 2 al 19 con una numerazione assolutamente tradizionale. La mancanza dell’1 corrisponde forse alla completa assenza della natura sulla Luna – poiché su di essa ogni cosa è costruzione dei Lunariti, come dice Selene; in altre parole, lì tutto è cultura (come abbiamo già detto persino la procreazione avviene attraverso la fecondazione artificiale), cioè si tratta d’un mondo di grado secondo. Oppure, per mantenerci più in linea con l’aspetto numerico del testo: “ ‘Ho un’idea, un’idea molto semplice basata sul fatto ovvio che il numero due è ridicolo e non può esistere.’ [ …] ‘Era sensato supporre che il nostro universo fosse l’unico che potesse esistere ed esistesse, in quanto è l’unico in cui viviamo e che ricade sotto la nostra esperienza diretta. Ma una volta avute le prove che esiste anche un secondo universo – quello che noi chiamiamo para-universo – diventa ridicolo supporre che ne esistano due e solo due. Se esiste un secondo universo, allora è possibile che ne esistano in numero infinito. In casi come questi non ci sono numeri reali accettabili. Non due soltanto, ma qualsiasi numero finito è ridicolo, e non può esistere.’ ” (corsivo nostro): proprio per questo, infatti, il primo capitolo, ciò che allude sempre simbolicamente e subliminalmente alla nostra unicità come specie intelligente sul solo pianeta in cui c’è vita, non ha numero. La scoperta di Denison e Selene rassomiglia molto al momento in cui il bambino comincia ad accettare il principio di realtà e a comprendere che il mondo non gira tutto intorno a lui, ma che anzi gli altri esseri umani (passati, presenti e futuri) sono in una tale quantità da cancellare per sempre l’idea di unicità, di 1. Come possiamo sperimentare ogni giorno, la maggior parte degli individui (o forse tutti?), accetta soltanto a livello cosciente questa idea – ma nel proprio inconscio continua a mantenere una profonda nostalgia per la speranza, disattesa nel corso della propria esistenza, di essere per sempre quell’unico spermatozoo fecondatore che si è issato sopra tutti gli altri (fatto che si ritrova per esempio negli sport). Ecco perché Asimov, dimostrando una profonda saggezza, ha eliminato una volta per sempre da “Neanche gli dèi” il numero 1 (come si può notare, infatti nessun capitolo comincia con 1, ma al massimo con 1a). La sua è forse anche l’ammissione che se si sa esaminare in maniera abbastanza scientifica, cioè sintetica e contemporaneamente analitica, un problema o un qualsiasi oggetto filosofico, la causa prima è sempre seconda. Ovvero la Causa Prima, l’Origine, l’Autentico non esistono. Ciò dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, quanto i numeri dei capitoli in “Neanche gli dèi” siano centrali dal momento che interagiscono con i contenuti dei capitoli stessi, dialogando con questi ultimi in maniera più o meno serrata. Ci pare sia proprio questa la cifra dell’avanguardismo maturo del testo di Asimov, a suo modo una variante romanzesca delle poesie numeriche di Kurt Schwitters in grado di non sacrificare la leggibilità tradizionale sull’altare dello sperimentalismo o viceversa. Ma al di là di tutto questo, ci piacerebbe che un Asimov redivivo commentasse i suoi enigmi con le stesse parole sdrammatizzanti usate da Ernesto Pérez Masón per i propri: “Ho fatto una stronzata, […] erano troppo facili da risolvere, ma se li avessi fatti difficili nessuno li avrebbe scoperti” (R. Bolaño, “La letteratura nazista in America”).
(4 – fine)