Quentin Tarantino ha rivalutato molti artigiani del nostro cinema vituperati e distrutti dalla critica italiana e tra questi non poteva mancare Fernando di Leo, regista simbolo del noir alla Scerbanenco, di un poliziottesco atipico e originale, di un erotismo malsano condito di violenza e perversione. Non serviva Tarantino per capire che di Leo è un autore interessante capace di rappresenta il male della società contemporanea descrivendone gli eccessi. Adesso il genere noir è abbondantemente rivalutato dalla critica letteraria e cinematografica, ma negli anni Settanta era difficile far apprezzare autori come Scerbanenco, ritenuti scrittori pulp di nessuna importanza. Le pellicole tratte da certi soggetti subivano la stessa sorte e venivano apprezzate dal pubblico, ma snobbate dalla critica. Quentin Tarantino scopre tra i primi film in cassetta della sua adolescenza proprio I padroni della città e si entusiasma di fronte a una storia di gangster girata per le strade di Roma. Tarantino apprezza lo stile di un regista che ricorda autori noir americani come Don Siegel e resta impressionato dal ruolo di Jack Palance, perfetto cattivo nei panni dello sfregiato. Tarantino cerca altri film del regista pugliese e si imbatte ne La mala ordina, capolavoro di noir violento a base di interminabili inseguimenti e molte scene a effetto, vero gioiello di tensione narrativa. Il terzo film che Tarantino ama è Il boss, un capolavoro di crudeltà interpretato da Henry Silva e Richard Conte. Tarantino sostiene (e ha ragione) che i personaggi dileiani non sono mai tipizzati e fasulli, ma sono dei veri delinquenti, perfetti figli di puttana da odiare. Per questo lo spettatore resta coinvolto dai meccanismi narrativi. Di Leo scava nella psicologia, non abbozza caricature fumettistiche, ma insiste nella caratterizzazione del cattivo perché non ama gli psicologismi. Secondo di Leo, un film si salva per la buona forma, non tanto per il contenuto, quindi presta attenzione al tipo di storia da raccontare e cerca di renderla nel modo più realistico possibile.
“Nei film girati da di Leo c’è sempre un’ironia di fondo, anche nelle pellicole più truci. I miei debiti di passione e cinematografici con questo regista sono tanti…” afferma Tarantino.
In Italia, invece, il cinema di genere viene vituperato e aborrito da certi critici intellettuali, salvo poi recuperare molte pellicole dopo aver letto giudizi positivi made in USA. Nel nostro paese, autori come di Leo, Fulci, D’Amato, Deodato, Lenzi e Castellari sono stati studiati soltanto da Nocturno, Amarcord, Cine 70, da pubblicazioni amatoriali e piccoli editori come Profondo Rosso, che coltivano da anni la materia con passione e professionalità. Per questo adesso non ci stupiamo della rivalutazione di un’opera meritoria e possiamo dire con orgoglio che non avevamo bisogno di Tarantino per apprezzare gli anni d’oro del cinema di genere.
Fernando di Leo nasce a San Fernando di Puglia (Foggia) l’11 gennaio 1932 da una famiglia della media borghesia che da alcune generazioni si dedica alla pratica dell’avvocatura. Fernando sarebbe destinato a seguire le orme del padre e del nonno, perché si iscrive alla facoltà di giurisprudenza a Roma, ma presto comprende che non è la sua strada. Le qualità letterarie e l’amore per la scrittura vengono fuori prepotentemente e gli danno diverse soddisfazioni. A sedici anni vince il concorso Gastaldi per il teatro con l’atto unico Ore morte, a diciannove si aggiudica la coppa Murano con il dramma esistenziale in tre atti Lume del tuo corpo è l’occhio. Il lavoro di Fernando va in scena in molti teatri sperimentali e viene pubblicato sul Ridotto di Venezia. Nello stesso periodo cura un’antologia di giovani autori intitolata L’Arlecchino, collabora a Vie Nuove, Sipario, Leggere e altre riviste. Nel 1960 pubblica con Rebellato la raccolta di liriche Le intenzioni, nel 1963 pubblica per Gauguin I racconti della provincia, venti racconti brevi di ispirazione verista. Poco dopo dà alle stampe il romanzo I nostri atti, per il Club degli Autori, una storia autobiografica ambientata a Roma. Purtroppo si tratta sempre di editori – tipografi non distribuiti ed è un vero peccato perché di Leo è un autore vero che non ha niente in comune con chi pubblica a pagamento i parti della propria fantasia.
Fernando si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia, ma non si diploma perché non ritiene utile passare tre anni a studiare teoria e preferisce fare pratica sul set. La sua prima esperienza nel cinema è il cortometraggio Un posto in paradiso contenuto nel film Gli eroi, girato insieme a Enzo Dell’Aquila, Franz Weisz e Sergio Tau, compagni del Centro, distribuito malamente e prodotto da Alfredo Salvati. Un posto in paradiso è un episodio surreale di un film collettivo a circolazione limitata, che procura al suo autore parecchi guai con la censura per via di un esplicito atto di accusa nei confronti della Chiesa cattolica.
Il servizio militare giunge come pausa poco gradita a interrompere molti contatti che di Leo riprende dopo un anno e mezzo del tutto improduttivo. Torna a Roma nel 1963 e si occupa di teatro. Insieme a Eco, Flaiano, Malerba e Patti scrive i testi del cabaret Can can degli italiani, divertimento musicale in due tempi, per Corbelli e Maria Monti. Lo spettacolo va in scena al Piccolo di Milano e riscuote un grande successo. Adatta e traduce per la Compagnia della Quercia del Tasso di Sergio Ammirata classici di Plauto e Aristofane come Il gorgoglione, Il persiano e Le donne in assemblea. Non solo. Scrive pure due commedie originali come l’Ulisseide e Western Simphony, episodio quasi unico di teatro western. Forse è proprio questa commedia l’anello di congiunzione che lo porta a scrivere pellicole western. Il giovane di Leo comincia a lavorare come sceneggiatore per puro caso, solo perché frequenta set cinematografici e conosce gente che lavora nel mondo del cinema. Qualcuno si accorge che a Fernando vengono delle buone idee e Duccio Tessari è il primo a ingaggiarlo. Di Leo intraprende una prolifica carriera come sceneggiatore che procede sino a contare oltre cinquanta lavori al suo attivo, anche se ne risultano accreditati soltanto ventiquattro. Le sceneggiature ufficiali cominciano con Il ritorno di Ringo (1964) e terminano con Uomini si nasce poliziotti si muore (1976). Il primo lavoro effettivo – ma non riconosciuto dai crediti – è Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone, western italiano ispirato a Yojimbo (titolo italiano: La sfida del samurai) di Kurosawa (1961). Non ci sono molti soldi per girare la pellicola e per questo viene scritturato come attore principale il televisivo (e allora sconosciuto) Clint Eastwood. Duccio Tessari scrive un trattamento e cerca di limitare le similitudini con Yojimbo (che però sono volute proprio da Leone) e di Leo è incaricato di pulire la sceneggiatura per renderla meno simile alla storia di Kurosawa. Ne viene fuori un film stupendo, scritto secondo reminiscenze della tragedia greca, girato con tempi dilatati da un grandissimo regista e interpretato in modo perfetto da Cleant Eastwood. Di Leo collabora senza essere accreditato al lavoro di Tessari, così come non viene indicato tra i realizzatori di Per qualche dollaro in più, film che scrive insieme a Enzo Dell’Aquila e che è il secondo western di successo girato da Sergio Leone. Il trattamento ha il titolo provvisorio de La collina degli stivali e la sceneggiatura è precisa, scandita da sequenze numerate che Leone rispetta punto per punto. Possiamo affermare senza timore di smentita che Fernando di Leo è uno dei padri del genere western. Nel 1966 rivede (in amicizia) Django per Sergio Corbucci e scrive Sette pistole per i Mac Gregor di Franco Giraldi, una pellicola che anticipa il western farsesco. Nel 1976 scrive Sette donne per i Mac Gregor con lo pseudonimo di Fernand Lyon (unico caso nella sua produzione) e continua sulla strada del western comico. I testi del regista pugliese si caratterizzano per la psicanalisi, la psicologia dei personaggi, cose come l’odio tra fratelli e altri elementi che danno spessore alle storie. Il ritorno di Ringo, per esempio, è scritto tenendo come riferimento l’Odissea, mentre I lunghi giorni della vendetta ricorda la trama de Il conte di Montecristo. Per scrivere soggetti e sceneggiature, di Leo pesca a piene mani nella bassa cultura ottocentesca e fa largo uso di elementi psicologici. Ne I lunghi giorni della vendetta troviamo di Leo nelle vesti di aiuto regista, perché Florestano Vancini non è esperto di western e non si trova a suo agio con la materia. Di Leo collabora con Duccio Tessari, regista che stima, ma anche con Sergio Corbucci e Sergio Giraldi. Non ama il western politico, lo ritiene pretenzioso e inutile, infarcito di un’ideologia che non serve e limita la forma. Per di Leo il cinema si fa soprattutto con la tecnica ed è un errore cercare di inserire contenuti ideologici che spesso risultano retorici ed eccessivi. Altri importanti lavori come sceneggiatore sono il fulciano Tempo di massacro, il western più sadico della storia, e l’ottimo Navajo Joe di Sergio Corbucci, pellicola che rivede in chiave moderna la posizione degli indiani. Di Leo scrive pure Johnny Yuma di Romolo Guerrieri, dove troviamo una stupenda e cattivissima dark lady come Rosalba Neri. Kiss kiss bang bang è una gustosa parodia dello spy movie scritta con Duccio Tessari e Bruno Corbucci, così come Baleari operazione oro di José Maria Forqué è un altro film comico che ironizza sulla moda dei Bond movies. Di Leo e Tessari collaborano molto, spesso il primo non è accreditato nei lavori del secondo, ma c’è da credere che molti gialli e noir di Tessari risultino condizionati da idee dileiane (si pensi a I bastardi, La morte risale a ieri sera e Tony Arzenta). Di Leo è uno specialista del western e solo nel 1967 sceneggia una decina di pellicole. Non vanno dimenticati Lola Colt di Giraldi, Odio per odio di Domenico Paolella, Un poker di pistole di Giuseppe Vari, Pecos è qui:prega e muori di Maurizio Lucidi e Wanted di Giorgio Ferroni. Nel 1968 scrive Ognuno per sé di Giorgio Capitani (regista insolito per un western), pellicola intrisa di psicologia che analizza il complesso di Edipo. Altri lavori sono Dio li crea… io li ammazzo di Paolo Bianchini, tra umorismo e violenza, Con lui cavalca la morte di Giuseppe Vari, Al di làdella legge di Giorgio Stegani, E venne il tempo di uccidere di Enzo Dell’Aquila e Un treno per Durango. Da ricordare anche un insolito Lalunga sfida di Nino Zanchin, scritto a quattro mani con Alberto Cavallone, lavoro incentrato su narcotraffico e mondo della droga. Di Leo comincia a interessarsi ai temi che ne faranno un grande autore del noir italiano. Da un soggetto del giallista Franco Enna scrive Omicidio per appuntamento, diretto da Mino Guerrini, un bel thriller di ambientazione romana e Gangster 70, un noir perfetto. Di Leo entra nel genere prediletto e non lo abbandona più, anche come regista. Tra i suoi ultimi noir duri e violenti troviamo anche Uomini si nasce poliziotti si muore di Ruggero Deodato e Liberi, armati,pericolosi di Romolo Guerrieri, scritti dopo aver girato la mitica Trilogia del Milieu.
Di Leo sceneggia parecchi film di altri registi e ovviamente tutti i propri, a parte il serial televisivo L’assassino ha le ore contate, scritto da Fabio Pittorru. Per questo motivo va definito autore nel senso più alto del termine. Per la filmografia completa da sceneggiatore rimando alla esaustiva appendice.
(1 – continua)