DALLA SCRITTURA ALLA MACCHINA DA PRESA
Di Leo torna alla regia, dopo il debutto giovanile con Gli Eroi, sul finire degli anni Sessanta e firma un discreto numero di pellicole caratterizzate da una buona dose di violenza e un erotismo malsano. La sua filmografia non è sterminata e in meno di vent’anni esaurisce la vena creativa che sfiorisce con la fine del cinema di genere.
Il primo lungometraggio è Rose rosse per il Furher (1968), un modesto film di guerra atipico per la sua produzione. Seguono due film sperimentali e vagamente erotici come Brucia ragazzo brucia (1969) e Amarsi male (rieditato come Brucia, amore, brucia) (1969), opere acerbe e retoriche sui miti del sessantotto e i problemi giovanili. Brucia ragazzo brucia riporta un grande successo al botteghino e crea scandalo perché affronta il tema della sessualità femminile. La buona accoglienza del pubblico convince i produttori a realizzare in tutta fretta Amarsi male, una brutta copia del primo film che non bissa il successo neppure giocando sul titolo ammiccante. Il vero di Leo, quello che si ricorda come autore realistico, crudo e geniale, comincia a venir fuori con il primo film tratto da un’avventura dell’ispettore Duca Lamberti, personaggio creato da Scerbanenco. Sto parlando de I ragazzi del massacro (1970), un buon film che apre la strada ai veri capolavori, le tre pellicole per le quali si ricorda l’opera di Fernando di Leo. Nel 1971, Di Leo compie l’unica incursione nel thriller orrorifico girando in poco tempo il modesto La bestia uccide a sangue freddo (1971). L’autore pugliese si riscatta subito con la Trilogia della mala (Trilogia del Milieu): Milano calibro 9 (1972), La mala ordina (1972) e Il boss (1973), tre lavori insoliti per violenza, ritmo, realismo e contenuti scomodi. Tutti film che influenzeranno molto Quentin Tarantino. La seduzione (1973), interpretato da Jenny Tamburi e Lisa Gastoni, è un ritorno all’erotico, ma questa volta di Leo si cimenta con un’opera a imitazione di Malizia ambientata nella provincia meridionale, che mette in primo piano la figura della Lolita. Il film non piace a tutti, ma ottiene un discreto successo e a mio giudizio va rivalutato. I film successivi non toccano le vette artistiche dei lavori precedenti, anche se Il poliziotto è marcio (1974) è un poliziottesco atipico, ancora una volta scomodo per contenuti e rappresentazione della violenza. La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori (1975) è un film più ordinario che non si può citare tra le sue opere migliori. Colpo in canna (1975) rappresenta un’incursione nella comicità legata a una trama poliziesca. Ursula Andress e Lino Banfi sono l’insolita coppia di attori che interpretano una pellicola piacevole ma non memorabile. Gli amici di Nick Hezard (1976), I padroni della città (1977) e Diamanti sporchi di sangue (1978) sono tre polizieschi del periodo decadente che segnano il passo insieme al restante cinema di genere. Avere vent’anni (1978) riveste un ruolo importante nella filmografia del regista pugliese, un film indeciso tra il dramma erotico, la commedia on the road sugli hippy e il noir sadico. Di Leo non lo reputa riuscito e forse non ha tutti i torti, ma sono ancora molti i messaggi validi di un lavoro che si ricorda per la presenza di due stupende attrici come Gloria Guida e Lilli Carati alle prese con una trama di un certo spessore. Gli ultimi lavori del regista pugliese usciti al cinema sono Vacanze per un massacro (1980) e Razza violenta (1983), che ha per tema la guerra del Vietnam. Il serial televisivo L’assassino ha le ore contate (1981) non è mai stato trasmesso e la pellicola Killer contro killers (1985) non è stata distribuita in Italia. Ricordiamo en passant che di Leo collabora alla regia del lacrima movie napoletano Pover’ammore (1982), diretto da Vincenzo Salviani. In ogni caso non è certo un suo film.
Di Leo abbandona il cinema dopo il flop annunciato di Killer contro killers e comprende che lo spettacolo popolare sta cambiando per colpa della televisione. Nessuno fa più cinema di genere, ma l’attenzione dei produttori si concentra sulle redditizie ed economiche fiction televisive. Di Leo torna al vecchio amore per la scrittura e nel 2001 dà alle stampe i romanzi noir I nostri atti, Da lunedì a lunedì (titolo originario di Milano calibro 9), Beati gli ultimi… se i primi crepano (un mix romanzesco delle sceneggiature di Colpo in canna e Uomini si nasce poliziotti si muore) e gli erotici Quello che volevano sapere due ragazze per bene, Le donne preferiscono le donne, Suite a due voci e Tra donne. Gli editori sono tutti molto piccoli, alcuni addirittura non distribuiti e classificabili come APS. Peccato. Di Leo sapeva scrivere e avrebbe meritato un miglior trattamento. Sono numerosi anche i progetti incompiuti, sia per mancanza di finanziamenti che per idee troppo originali e inattuabili. Vorrebbe girare una sorta di Rambo italiano intitolato Bazooka ma non comincia neppure. Plotone di esecuzione è un progetto non realizzato del 1971, basato su una sceneggiatura scritta dal regista sulle tragedie di molti soldati italiani nella Prima Guerra Mondiale. Il tema affrontato è molto delicato, si parla di disertori, militari condannati dopo rapidi processi e fucilazioni per abbandono del posto di combattimento. Di Leo stringe rapporti con la Dunia Produzione, ma non riesce a realizzare un film che ha il difetto di essere troppo duro per i tempi. Un altro progetto incompiuto è una storia omosessuale del 1972 che dovrebbe intitolarsi Il pederasta, poi modificata come Uno di quelli. Di Leo forma un cast eccellente composto da Margaret Lee, Barbara Bouchet e Gianni Macchia, gira qualche scena, ma poi si ferma. Margaret Lee si ammala, ma per di Leo è soltanto una scusa per bloccare la produzione, forse si rende conto che la storia è troppo in anticipo sui tempi. Un altro film mai realizzato è Il dio Kurt, scritto da Franco Arcalli e tratto da un’opera teatrale di Alberto Moravia. Un tema delicato, intellettuale e introspettivo, che affronta il mito di Edipo in un campo di concentramento nazista. Ci dovrebbero essere niente meno che Henry Fonda e Charlotte Rampling, il budget è di un miliardo, ma alla fine non se ne fa di niente. Sabato nero, un noir scritto con Augusto Finocchi nel 1972, non viene mai realizzato ed è strano perchè i film neri del regista pugliese vanno molto bene. La sceneggiatura è ambientata a Milano e segue il canovaccio de La mala ordina, perché il protagonista è un poveraccio che resta invischiato nel giro della camorra per uno scambio di persona. Il filmazzo è un’idea incompiuta del 1982, un progetto firmato di Leo – Tessari che avrebbero dovuto pure interpretarlo nella parte di loro stessi. Il film doveva essere una satira sul mondo dello spettacolo, sulla televisione spazzatura (che cominciava a imperversare) e sugli aspiranti artisti che tentano la strada del successo. Tra i protagonisti dovevano esserci Eleonora Vallone, Renzo Arbore e Beniamino Placido. Finanziava Euramerica International Film, ma non se ne fece di niente e quel che ci resta è soltanto il flani del progetto. Un altro progetto incompiuto è quello di un film storico su Gaetano Bresci, l’anarchico che il 29 luglio 1900, a Monza, uccide con due colpi di pistola il re Umberto II. Bresci viene condannato all’ergastolo, ma dopo dieci mesi muore nel penitenziario di Santo Stefano, apparentemente suicida. La sceneggiatura del regista pugliese parte dall’arresto di Bresci e si sviluppa con la tecnica del flashback come un apologo dell’anarchico, evidente sin dal titolo Va’ e uccidi il re! Il film non viene realizzato.
Fernando di Leo muore a Roma nel 2003, all’età di 71 anni. Aveva ancora tante idee nel cassetto e molta voglia di tornare alla ribalta, dopo che Quentin Tarantino lo aveva consacrato regista di culto. Se n’è andato troppo presto per potersi godere una legittima rivalsa nei confronti dei critici che lo definivano un modesto autore di film inutili, sadici e violenti. Fernando di Leo era un signor autore e questo libro vuol cercare di portare acqua al mulino della critica più attenta, che dalle colonne di Nocturno Cinema, Amarcord e Cine 70 non ha mai mancato di affermarlo. La storia rende quasi sempre giustizia degli errori di valutazione, soprattutto quando vengono compiuti per pressappochismo e pretenziosità.
(2 – continua)