IL CINEMA SECONDO DI LEO – TRA EROTISMO PERVERSO E NOIR PRE TARANTINO 07

LE PRIME PELLICOLE

Un posto in Paradiso è un episodio del film collettivo Gli eroi di ieri… oggi… e domani (1963), noto anche più semplicemente come Gli eroi o I tre magnifici eroi, girato da Enzo Dell’Aquila e Fernando di Leo che scrivono anche soggetto e sceneggiatura. Si tratta della prima esperienza da regista per il cineasta pugliese che si avvale della collaborazione di Guido Cosulich De Pecine per la fotografia, Renato Poccioni per il montaggio e Armando Sciascia per le musiche. Produce Alfredo Salvati. Interpreti: Giancarlo Corbelli, Mario Siletti, Maria Monti e Tilde Simon.

Si tratta di un film introvabile, poco distribuito e quasi inedito fino ai primi anni Settanta, girato da Franz Weisz, Sergio Tau, Enzo Dell’Aquila e Fernando di Leo, un gruppo di amici che frequentano il Centro Sperimentale Cinematografico. La pellicola è divisa in tre episodi incentrati attorno al tema dell’eroe, anche se spesso si tratta di un eroismo atipico. Inverno di guerra 1917 di Sergio Tau racconta le gesta di un gruppo di soldati italiani bloccati sul Carso durante la Grande Guerra. Weisz narra una storia senza titolo con protagonista un perito agrario che fa carriera nel mondo delle canzonette fingendosi americano. Di Leo e Dell’Aquila realizzano Un posto in Paradiso, una satira graffiante sul sistema delle indulgenze plenarie elargite dalla Chiesa che manda su tutte le furie il Vaticano. Il protagonista della storia è un vecchio industriale libertino che in punto di morte si compra il Paradiso lasciando tutti i suoi averi alla Chiesa. Gli eroi si attira gli strali dell’Osservatore Romano e nessuno lo difende, neppure la critica di sinistra. Il film viene bloccato con la solita accusa di oscenità, anche se il vero problema sta nel contenuto anticlericale e nella critica ai sistemi ecclesiastici in odore di Medio Evo. Tra l’altro la pellicola descrive in maniera esemplare una figura di monsignore corrotto, mentre Giancarlo Corbelli interpreta il nipote del defunto e Maria Monti è la sua fidanzata. La parte che presta il fianco alle critiche cattoliche è quella dove il nipote intenta una causa controla Chiesa per dimostrare l’ascesa in Paradiso dello zio.

“Facevamo accuse al pagamento delle indulgenze del Vaticano: tu dai i soldi agli orfani, questi orfani fanno le preghiere per te e se stai in Purgatorio ti levano qualche anno. La Chiesale ha inventate tutte…” dice di Leo a Davide Pulici che lo intervista per Nocturno Cinema.

Gli eroi resta un film sperimentale e coraggioso che si permette di puntare il dito sul Vaticano e lo squallido commercio di indulgenze in un periodo storico nel quale non è facile prendersi simili libertà. Di Leo dimostra coraggio e anche un acerbo talento da regista capace di raccontare per immagini la realtà, in modo rapido e deciso.

Rose rosse per il führer (1968) è il secondo film del regista pugliese, che arriva dopo ben cinque anni dalla prima esperienza e interrompe una lunga serie di lavori come sceneggiatore di western. Il soggetto è di Luigi Petrini, di Leo lo sceneggia con la collaborazione di Enzo Dell’Aquila, la fotografia è di Franco Villa, il montaggio di Mario Morra e le musiche sono di Gino Peguri. Produce la Dino Film. Intrerpreti: James Daly, Anna Maria Pierangeli, Peter Van Eyck, Bill Vanders, Gianni Garko, Max Turilli, Polidor, Gino Santercole, Sergio Ammirata, Nino Castelnuovo e Mia Gemberg. Nella colonna sonora Don Powell canta Canto della libertà. Aristide Massaccesi è operatore e Franco Lo Cascio funge da aiuto regista.

Si tratta di un film di guerra poco memorabile che non mi sento di rivalutare. Non è il caso di recuperare per principio tutto quello che in passato è stato disprezzato, perchè esistono anche prodotti mediocri.  Rose rosse per il führer è uno di questi e per quel che mi riguarda ha pure il difetto di essere un film bellico, genere al quale sono refrattario da sempre. In ogni caso la pellicola è superiore alla media dei molti film di guerra che vengono girati in questo periodo storico, perché non è manichea e cerca di fare un discorso serio sulla Seconda Guerra Mondiale e i rapporti tra alleati e partigiani. Nel film girato da di Leo i cattivi e gli stupidi non stanno tutti da una parte: le carogne e le persone intelligenti sono equamente ripartite tra partigiani, statunitensi e nazisti. In ogni caso di Leo non è per niente entusiasta di questo lavoro e in un’intervista a Nocturno Cinema afferma: “Era tutto convenzionale: i partigiani erano eroi, gli americani e gli inglesi problematici ma determinati, i tedeschi cattivi ma in alto loco resipiscenti, la donna si sacrificava, il prete pure, ci misi anche un ragazzino barbaramente ucciso dai biechi nazisti… insomma il festival dell’ovvio e dello stereotipo”. I mezzi sono limitati e tutto sa di già visto e già detto, ma non è facile essere originali in un film bellico.

Il film è ambientato a Ostenda dove il maggiore Mike Liston (James Daly) cerca di recuperare un prezioso memorandum dalle mani dei nazisti con l’aiuto di un gruppo di partigiani belgi. Tutto comincia dopo una notte di amore tra il maggiore e una bella giornalista francese (Mia Gemberg) che viene eliminata perché spia tedesca. Parte l’Operazione Rose Rosse che si svolge in Belgio dove vengono paracadutati intrepidi soldati americani e il maggiore incaricato del recupero. Il film è girato quasi completamente negli studi della Elios con aggiunte di filmati d’epoca ed è facile rendersene conto per la diversa colorazione della pellicola. Il regista realizza anche buoni esterni che mettono in scena convincenti scontri a fuoco tra tedeschi e partigiani, facendo saltare ponti, riprendendo bombardamenti e imboscate. L’ambientazione belga è curata, tra casolari di campagna, strade sterrate, mulini a vento, campagne brulle e strade di città percorse da soldati invasori. Interessante anche lo scontro tra tedeschi dal volto umano e SS al servizio diretto del führer che seguono metodi ben diversi. Il regista stigmatizza le inutili brutalità delle SS, ma fa capire che non tutti i tedeschi sono uguali, perché alcuni si impegnano a combattere una guerra dal volto umano. Gianni Garko è il russo Alex, finto ufficiale nazista che si infiltra nell’esercito di occupazione per aiutare partigiani e americani nella ricerca del documento. Fa una brutta fine perché viene scoperto ed eliminato dalle SS, ma la sua interpretazione è a livelli ottimali. Polidor è un convincente prete cattolico, codardo ma divertente, che beve vin santo in compagnia di miscredenti, confessa e nasconde soldati alleati, si dichiara neutrale secondo il volere di Pio XII, ma alla fine aiuta chi combatte contro i tedeschi. “Questa chiesa sta diventando un covo di anglicani e di atei!” esclama. Nino Castelnuovo è il capo dei partigiani di Ostenda e Anna Maria Pierangeli è la donna che non esita a tradirlo con il maggiore americano, soltanto perché erano in pericolo e perché lui lo voleva. Prima di morire entrambi sotto il fuoco tedesco, la bella Pierangeli confessa al compagno il tradimento e gli chiede di perdonarla. Il finale mette in scena una vera strage di partigiani, muoiono molti uomini per un documento che in realtà i tedeschi vogliono far tornare nelle mani degli americani. La posta pagata per il successo della missione è molto alta, ma il maggiore ha una brutta sorpresa quando rientra in patria e scopre che il memorandum era tutto un bluff. “La guerra è uno sporco gioco”, afferma il generale. Il maggiore vorrebbe soltanto non aver partecipato. In un suggestivo altalenarsi di dissolvenze campeggia la parola fine e si succedono volti di uomini e donne che hanno perso la vita inutilmente.

Mereghetti concede una stella e mezza al film e riconosce a di Leo un tocco di antimilitarismo e il coraggio di aver inserito battute di sinistra come I Romani erano i nazisti dei loro tempi piuttosto inconsuete. Un altro elemento interessante sono le frecciate contro la neutralità della Chiesa ed è ottima la resa dell’attore Polidor, clown del cinema muto, come figura di prete pauroso. La colonna sonora è ben fatta, spesso attualizza motivi tratti dalla musica popolare come la Balalaica e dai canti patriottici come La Marsigliese, L’Internazionale e l’inno nazionale tedesco. Costumi e scenografie sono ben curati  e rappresentano un altro elemento importante che valorizza un film abbastanza convenzionale. La trama è debole e si sorregge sui soliti manierismi da film bellico, ma gli attori sono ottimi. Per pochi secondi (non accreditata) debutta pure Francesca Romana Coluzzi. Ricordiamo su tutti un giovanissimo Nino Castelnuovo e la bellezza inquietante di Anna Maria Pierangeli, un’attrice sul viale del tramonto. Di Leo ha una particolare predilezione per lei e la fotografa in tutta la sua bellezza con numerosi primi piani. Anna Maria Pierangeli merita qualche parola per la tragica fine che la consegna alla storia del cinema come una nostrana Marlyne Monroe. Nasce a Cagliari nel 1932, viene lanciata nel mondo del cinema da Leonide Moguy con Domani è troppo tardi (1950) e Domani è un altro giorno (1951), viene chiamata a Hollwood per Teresa di Fred Zinnemann (1951) e Lassù qualcuno mi ama di Robert Wise (1956). A Hollywood la ribattezzano Pier Angeli e, dopo i primi successi, comincia a fare cinema dozzinale negli Stati Uniti, con un destino artistico simile a quello della sorella gemella Marisa Luisa (in arte Marisa Pavan). Anna Maria Pierangeli muore a Los Angeles nel 1971, in un modesto appartamento di Hollywood, per mezzo di un tubetto di sonnifero, simbolo della sua decadenza di attrice e di donna. La madre, Enrica Pierangeli, non si rassegna all’ipotesi del suicidio e racconta l’accaduto come una tragica disgrazia. Il successo brucia le persone e Anna Maria Pierangeli è vittima di una notorietà troppo rapida da star giovanissima che entra trionfante a Hollywood. Uomini ricchi e famosi come Kirk Douglas si innamorano di lei, il figlio del presidente del Messico la chiede in sposa e il mito hippie di James Dean le sconvolge la vita. Anna Maria Pierangeli è una donna complessa. Una ragazza ingenua, semplice e carina diventata una star e sradicata dal proprio ambiente borghese per essere catapultata a Hollywood. Una donna bruciata dal rapido successo, un’attrice che non riesce a ritrovare se stessa dopo aver vissuto a lungo in un mondo fiabesco. Una donna contraddittoria nella quale coabitano due nature in conflitto tra loro, ma pure una ragazza che non sa ricominciare a vivere una volta sfiorita la bellezza femminile. Anna Maria è anche la riprova della superficialità con la quale si creano i miti dello spettacolo e la crudeltà con cui si abbattono.

Torniamo a Rose rosse per il führer per dire che da questo film in poi comincia una stretta collaborazione tra Fernando di Leo e Tiziano Longo, che apriranno la casa di produzione Ferti Film per produrre i successivi Brucia ragazzo brucia e Amarsi male. Nasce anche una sorta di factory naturale che fa capo a di Leo, una squadra di tecnici e attori che lo accompagnerà lungo tutta la sua avventura cinematografica. Franco Villa è un ottimo direttore della fotografia che firmerà molti lavori successivi. Gilberto Galimberti è maestro d’armi e per l’occasione veste i panni di un partigiano. Franco Lo Cascio è aiuto regista e recita (ben travestito) come suora per una breve scena in un ospedale militare. Raoul Lo Vecchio e Sergio Ammirata sono due caratteristi che seguiranno di Leo nei film successivi. Molte di queste persone stringono con lui un rapporto di amicizia che va oltre l’aspetto professionale. Sergio Ammirata è amico intimo del regista pugliese, attore e regista di teatro, scrive insieme a lui drammi e commedie, ma dirige pure un film scadente come Sesso in testa (1974), avvalendosi dell’aiuto del più esperto regista.

Va da sé che dopo queste due prove abbastanza incolori nessuno scommetterebbe sul destino di Fernando di Leo nel mondo del cinema. Le sceneggiature, però, presentano un autore originale e interessante, che racconta storie con crudo realismo e grande tensione narrativa. Non resta che aspettare, perché stanno per uscire due pellicole erotiche ambientate nel mondo giovanile che modificheranno i vecchi schemi mentali.

(7 – continua)

Gordiano Lupi