CAPITOLO I: CIO’ CHE CI DISTINGUE
Charles Darwin, nel suo libro “The Descent of Man” fu il primo a formulare la tesi che l’uomo, come tutti gli altri animali ancora esistenti o no dovevano avere degli antenati, una provenienza e delle caratteristiche tipiche di animali a cui poteva, almeno in parte assomigliare e che questi animali non potevano essere che le scimmie quindi Darwin non ha mai detto che l’uomo discendesse dalla scimmia. Effettivamente l’uomo e la scimmia hanno molto in comune: dal punto di vista genetico assomigliamo a loro con una percentuale del 99 per cento del DNA proveniente dallo scimpanzé. Era quindi logico e corretto pensare che l’uomo e la scimmia potessero aver avuto un antenato comune. Ora, una cosa che accomuna tutti i primati è un’incisione a forma di “Y” nella dentatura, precisamente sui molari e proprio grazie a questa particolarità è stato possibile risalire al più antico primate conosciuto fino ad oggi. Il suo nome, ricordiamolo, è “Purgatorius” ed è vissuto qualcosa come settanta milioni di anni fa; era simile a uno scoiattolo e dotato di una lunga coda grazie alla quale si arrampicava sugli alberi. Il suo cibo preferito erano gli insetti e fu proprio da lui che ebbero origine le prime proscimmie. Ora, qualcosa come quaranta milioni di anni fa, in quella che più propriamente viene chiamata Era Terziaria, da queste proscimmie si evolveranno lentamente delle scimmie con caratteristiche molto più simili a quelle attuali e chiamate antropoidi, il che vuol dire che le loro fattezze erano più simili a quelle umane. L’evoluzione non si ferma qui: attraverso essa e in fasi successive, arriviamo alle scimmie propriamente dette e agli ominoidei e poi agli ominidi. Facciamo un passo avanti e arriviamo a una quindicina di milioni di anni fa, esattamente quando cominciò a formarsi un’enorme frattura nella crosta terrestre che darà poi origine in epoche successive a quella che oggi viene chiamata “Great Rift Valley”,una vasta conformazione geografica e geologica che attualmente si estende in direzione nord-sud per circa 6400 km, dal nord della Siria (sud-ovest dell’Asia) al centro del Mozambico (est dell’Africa) e diventerà nel corso dei secoli e dei millenni, una frattura larga dai trenta ai cento chilometri e profonda anche parecchie migliaia di metri. La sua origine è dovuta dalla separazione delle placche tettoniche africana e araba e dalla separazione dell’Africa dell’est dal resto dell’Africa. Le fu dato questo nome dall’esploratore John Walter Gregory. La sua espansione non è mai precisa e costante ma è variabile da zona a zona; mediamente l’espansione delle dorsali oceaniche è di 2 cm l’anno ma può variare da circa 1 cm a circa 15 cm l’anno e non è costante nei vari tempi geologici. Questo fenomeno causò dei cambiamenti climatici che ebbero come effetto un clima più arido per cui l’immensa foresta che ricopriva tutta la parte equatoriale lasciò il posto, nella parte orientale, alla Savana con il risultato che gli ominoidei che si erano ormai abituati alla vita sugli alberi rimasero nella residua e pur sempre ampia foresta e fu proprio da loro che si sono evolute le attuali scimmie antropomorfe come i gorilla e gli scimpanzé, mentre gli ominidi si adattarono al clima della Savana e fu proprio questa ambientazione che favorì lo sviluppo degli antenati dell’uomo e questo sviluppo, con il passare degli anni e dei secoli, si è perfezionato e quindi evoluto, grazie a diversi fattori che si sono influenzati reciprocamente e che hanno contribuito allo sviluppo della massa cranica. Muovendosi sul terreno e nascondendosi dietro i cespugli, a caccia di cibo, essi, lentamente cominciarono ad assumere una posizione più eretta per poter meglio osservare, nascosti, le loro prede e quindi, in seguito, un’andatura bipede per cui lo scheletro si è progressivamente modificato fino ad assumere quella che oggi viene chiamata “stazione eretta”. Tra i due arti superiori e quelli inferiori (in altre parole le mani e i piedi) avvenne una diversificazione: quelli inferiori si sono modificati in modo da poter sostenere il corpo e, al tempo stesso, quelli superiori, liberatisi dal contributo fino a quel momento richiesto di far muovere il corpo e sostenerlo, cominciò ad essere usato per manipolare oggetti grazie soprattutto al pollice opponibile che è più lungo di quello del gorilla dando la importantissima possibilità di prendere in mano oggetti di una certa grandezza e dimensione, ma anche quelli piccoli potendoli racchiudere tra il pollice e l’indice. Questo particolare, simile in altri animali ma non così’ perfezionato, viene fatto notare in un piccolo film del 1953 quando un gruppo di persone si trova di fronte ad un essere proveniente da un altro mondo di cui una di loro ha potuto vedere la mano grazie ad un lampada a raggi infrarossi. Lo scienziato di turno esclama:
“…Prima di tutto la signora Randall ha visto una mano, con dita simili alle nostre e con pollice opponibile, questo già di per sé è un segno di intelligenza…”
(Il Fantasma dello Spazio - Phantom from Space di W.Lee Wilder).
Le capacità visive del nostro ominide si svilupparono con il tempo. Questo si rese indispensabile per poter coordinare al meglio i movimenti delle mani e, in questo modo e di conseguenza, si sono sviluppate anche le capacità del cervello che coordinavano il movimento dei bulbi oculari. Passando poi dalla masticazione erbivora a quella onnivora non solo la mandibola si ridusse ma di pari passo subirono delle modifiche la dentatura e i muscoli masticatori. Tutti questi particolari primari ebbero effetto sul volume della massa cranica con l’aumento quindi la superficie della corteccia cerebrale che assunse solchi e circonvoluzioni e questo produsse un significativo aumento dei neuroni con la conseguente capacità di adattarsi all’ambiente che lo circondava rendendolo attivamente partecipe e adattabile nonché dominante rispetto al suo habitat.
Nel corso dei secoli questa primitiva creatura si evolverà in “Homo Abilis” e la sua scatola cranica aumenterà di conseguenza tra i seicento e gli ottocento centimetri cubici, apprenderà a lavorare la pietra per farne degli strumenti.
Più robusto dell’Homo Abilis” sarà l’Homo Erectus il cui resti risalgono ad oltre un milione e mezzo di anni fa. Aveva una struttura cranica di 900 centimetri cubici ed era in grado di usare un linguaggio ed era anche in grado di utilizzare il fuoco che fu un ulteriore passo verso l’evoluzione rendendolo in grado di cucinare i cibi e costruire utensili più elaborati.
Arriviamo così all’Homo Sapiens e a circa quattrocentomila anni fa. La sua caratteristica era principalmente quella di possedere un cervello di oltre millecento centimetri cubici, aveva una fronte più ampia, un cranio arrotondato, la mandibola si era ulteriormente ridotta e un mento accentuato.
In questo periodo della evoluzione umana troviamo in Europa l’uomo di Neanderthal e in Africa l’Homo Sapiens.
L’Uomo di Neanderthal era presente in Europa circa cento milioni di anni fa e vi è rimasto fino a trentacinque milioni. Fu il periodo di un’intensa glaciazione e l’Europa del Nord era coperta di ghiacci. Queste creature erano piuttosto basse e robuste: misuravano tra l’1,55 e l’1,65 metri, avevano un cranio largo e la mascella sporgente nella parte posteriore ma avevano un volume cerebrale che era superiore al nostro (circa 1.500 centimetri cubici), erano dotati di arcate dentarie sporgenti e infatti si pensano che usassero i denti per lavorare le pellicce. Oltre a questo erano abili cacciatori e avevano il culto di seppellire i loro morti e proprio per questa usanza ci è stato possibile ritrovare dei resti perfettamente conservati. Poi, misteriosamente, trentacinquemila anni fa, circa, queste creature scomparvero.
Per lunghi anni si è dibattuto sulle cause di questa scomparsa per arrivare alla conclusione che scomparsa non è, almeno così sembra accertato. Inoltre sappiamo che la mescolanza tra questa specie e quella dell’homo sapiens sarebbe avvenuta circa cinquanta mila anni fa in Europa e nel Medio Oriente. Oggi, l’eredità dei Neanderthal è stimata tra l’1 e il 4% del DNA delle persone che vivono al di fuori dell’Africa per cui ci sono prove che parlano di una mescolanza tra le due specie, o meglio di una ibridazione. Gli scienziati sono arrivati di conseguenza alla conclusione che la scomparsa dei Neanderthal sembra essere il risultato di un’ampia e complessa evoluzione che si è protratta a lungo nel tempo e dovuta a molti fattori dinamici come la bassa densità di popolazione e il crescente numero di migranti nei territori dei Neanderthal. Quindi, la mescolanza con gli antenati dei moderni esseri umani, a cui abbiamo accennato prima, ne è stata la causa primaria anche perché una attenta analisi dei reperti archeologici risalenti a 200mila anni fa rivelano che i Neanderthaliani erano più avanzati e sofisticati di quanto si fosse supposto prima e di conseguenza le differenze tra le due sottospecie umane non erano abbastanza da portare alla regresso dei Neanderthal.
Tra parentesi proprio questo fenomeno è attualmente allo studio perché sta provocando un accadimento simile: l’afflusso di migranti nel nostro e negli altri paesi europei.
L’Homo Sapiens Moderno apparve in Africa circa centotrentamila anni fa. Il suo sviluppo cerebrale era di milletrecento cinquanta centimetri cubici, una testa tondeggiante, le mascelle erano meno robuste, le arcate sopracciliari non erano sporgenti. L’Homo Sapiens si diffuse dall’Africa in tutto il mondo: è il nostro antenato diretto.
Parecchie volte il cinema ci ha mostrato assurde scene di vita preistorica mescolando in maniera irrazionale gli uomini primitivi con i dinosauri, creature apparse molto prima sulla Terra e all’epoca già praticamente estinte o evoluitesi in altre forme. Possiamo essere certi che tra le ultime grandi creature estintesi e che si sono rapportate con l’uomo, c’erano sicuramente i Mammuth, l’antenato dell’elefante e la Tigre coi denti a sciabola. Non molto tempo fa In Siberia è stata trovata una femmina di mammuth imprigionata tra i ghiacci. La carcassa è ancora ben conservata e da un buco fatto per raccogliere un campione di tessuto è colato del sangue che non è ghiacciato, nonostante i 17 gradi sotto zero. Potrebbe essere fonte di cellule fresche per tentare la clonazione dell’animale.
Nel campo dell’attendibile non possiamo non segnalare La Guerra del fuoco (La Guerre du Feu di Jean–Jacques Annaud del 1981), anche se all’inizio della vicenda si esagera in eccesso sulla datazione:
«80.000 anni fa, la sopravvivenza degli uomini nelle immense distese inesplorate dipendeva dal possesso del fuoco. Per quegli esseri primitivi, il fuoco rimase un oggetto misterioso fino a quando non impararono a crearlo. Il fuoco doveva essere rubato alla natura, mantenuto in vita, protetto da vento e pioggia, difeso dai nemici. Il fuoco divenne simbolo di potere e sinonimo di sopravvivenza. Coloro che possedevano il fuoco, possedevano la vita.»
La tribù degli Ulam è attaccata dai neanderthaliani e nella fuga il piccolo focolare che costituisce la sua riserva di fuoco, fonte di vita e di calore, finisce in acqua. In tre si mettono alla ricerca del fuoco, riuscendo a rubarlo a una tribù di cannibali. Nel trambusto una giovane donna catturata dai cannibali riesce a liberarsi dai legacci e si unisce ai tre cacciatori. Tra il capo dei cacciatori e la giovane nasce un legame. Durante il viaggio di ritorno i tre vengono in contatto con la tribù della giovane dalla cui cultura più sviluppata apprendono la tecnica per accendere il fuoco, l’uso delle frecce scagliate col propulsore ma anche la capacità di ridere. Tutto ciò lo trasmetteranno alla loro tribù una volta concluso il loro viaggio.
Ovviamente ci sono state altre pellicole come 10.000 A.C. (10.000 A.C.) di Roland Emmerich del 2008, ma che hanno ben poco di attendibile e che si perde in castronerie storiche come i Mammuth in Egitto o come il precedente Mammoth (Mammoth – 2006) di Tim Cox nel quale un meteorite non trova di meglio che andarsi a schiantare sul Museo di Storia naturale di Blackwater, fino a quel momento, una tranquilla e pacifica cittadina americana. Grazie a questo avvenimento la pace finisce perché una misteriosa forma di vita che si trovava all’interno del bolide celeste, fa resuscitare un gigantesco Mammuth che se ne stava pacifico e tranquillo nel suo angolo di museo. Il bestione si scatena in tutta la sua furia devastatrice e un paleontologo cerca di fermarlo…
Il film di Emmerich ci presenta la Tigre dai denti a sciabola in quello che doveva essere uno dei suoi luoghi naturali e nei quali imperava, ma la fantascienza la fa rivivere, clonata, in due film dimenticabili di cui citiamo solo i titoli: Wild – Agguato sulle montagne (Sabretooth – 2002) di James D.R. Hickox e Primal Park: Lo Zoo del Terrore (Attack of the Sabretooth del 2005) per la regia di George Miller.
(1 – continua)