L’Aquila 1 rientrava dalla missione esplorativa. Alle sue spalle, il misterioso pianeta azzurro percorso da striature gialle brillava prepotente, era l’ennesimo sfiorato dalla Luna durante la sua folle corsa nello spazio.
Sulla Base Lunare Alpha, nella Sala Comandi, il comandante John Koenig fissava serio lo schermo principale. Stranamente, l’Aquila era scomparsa alla vista dei sensori interrompendo ogni contatto per alcune ore e adesso, senza una spiegazione, era ricomparsa.
Paul Morrow, seduto alla sua postazione, tentò ancora una volta di ristabilire il contatto video. Ebbe successo.
Le interferenze sul monitor si diradarono lasciando intravedere il volto di Alan Carter.
«Carter, riesce a sentirmi?» tuonò Koenig pieno d’impazienza.
L’immagine divenne nitida, Carter apparve euforico.
«È tutto a posto Comandante, abbiamo attraversato una tempesta e credo che la densità delle nubi abbia provocato il blackout, ma ora riesco a vedervi e a sentirvi benissimo».
«Cosa è successo laggiù? Siete riusciti a scendere?»
«Sì Comandante. Siamo scesi come previsto, è un mondo bello come la Terra».
«Quando abbiamo perso il contatto con voi, quel pianeta ha cambiato per ben due volte il colore della sua atmosfera. È molto strano. Che mi dice dei campioni, li avete raccolti?»
«Abbiamo tutto. Laggiù è meraviglioso, Comandante. Non vedo l’ora di andarci a vivere!»
Il professor Victor Bergman, che fin’ora aveva osservato senza parlare, raggiunse il computer da cui fuoriusciva la striscia di carta appena stampata. Esaminò velocemente l’elaborato, poi si avvicinò a Koenig.
«John, tutti i dati inviati al computer sono positivi. Possiamo dare inizio all’Operazione Exodus».
«Prima voglio un’analisi di quei campioni, Victor. Non dobbiamo rischiare. Se abbandoniamo Alpha non devono esserci brutte sorprese».
«Ti riferisci al cambiamento di colore delle nuvole, vero?» il professore tamburellò le dita sulla tempia. «Effettivamente è strano. Eppure, secondo il computer, si tratta di un fenomeno di rifrazione sui vapori esterni dell’atmosfera».
«Abbiamo ancora quindici ore prima di superare il pianeta. Non sono molte ma devono bastare per indagare e, se vale la pena, per dare inizio all’Operazione Exodus».
«Ci lavorerò su, John. Sono convinto che il computer non possa sbagliare, ma ti assicuro che controllerò tutte le possibili varianti».
«Bene, Victor» John sorrise soddisfatto, poi tornò a occuparsi di Carter che, attraverso lo schermo, aveva assistito alla conversazione. «Esamineremo quei campioni, Carter. E se quel mondo risulterà adatto a ospitare gli esseri umani ci andremo ad abitare».
«Io potrei tornarci anche subito, Comandante» fu la battuta di Carter «Quindi facciamo in fretta e non lasciamoci sfuggire quel paradiso».
Fu in quel momento che la porta scorrevole della Sala Comandi si aprì e Alan Carter entrò, barcollando. Sembrava uno che si era appena ripreso da una sbornia. Avanzò verso i presenti, eppure nessuno sembrò curarsi di lui. Nessuno parve far caso ai due Carter identici: uno nello spazio, alla guida dell’Aquila 1 e l’altro lì, sulla Base Lunare Alpha.
Il Comandante, invece, inorridì.
«Carter!» gridò quasi per reazione istintiva e, incredulo, si voltò a guardare lo schermo; poi tornò a guardare l’uomo confuso che aveva di fronte. Infine osservò tutti gli altri, calmi come se non fosse successo niente di strano.
Il professor Bergman gli si avvicinò, stupito: «John, che ti succede? Sembra che tu abbia visto un fantasma».
«Victor… non lo vedi? Come fai a non vederlo?»
«Chi dovrei vedere?»
Koenig si rivolse a tutti, visibilmente alterato: «Nessuno di voi lo vede, qui dentro?» gridò fuori di sé «Siete diventati ciechi?»
Morrow, Bergman, Sandra Benes, ciascun membro della Sala Comandi lo squadrò con sospetto, temendo che fosse impazzito.
John si avventò su Carter, lo afferrò per le spalle e lo scosse.
«Carter! Riesce a spiegarmi cosa sta succedendo? Lei è qui e a bordo dell’Aquila 1, come è possibile?» indicò deciso lo schermo «Guardi!»
Proprio quando Alan alzò la testa un disturbo cancellò l’immagine. «Cosa… cosa devo guardare, Comandante?» scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee. «Io… io non sono sicuro di sentirmi bene».
Paul Morrow tentò l’impossibile sulla sua consolle per ripristinare il collegamento, ma senza esito.
«La comunicazione si è interrotta, Comandante».
Koenig non badò a lui, non badò agli altri. Tenne gli occhi fissi sulla faccia di Carter e non mollò la presa. Carter abbassò lo sguardo, rifletté su quanto gli era accaduto; poi, lentamente parlò.
«Ora ricordo… mi sono svegliato per terra, non so come sia arrivato là… c’era quel tentacolo attorno al mio collo, ma a un certo punto mi ha lasciato. Non so perché, forse per qualche ignoto motivo si è indebolito».
«Quale tentacolo? Che sta dicendo?» Koenig spostò di poco Carter verso il professore.
«Victor! Alan è qui davanti a me, come puoi non vederlo?»
«Non lo vedo, John… perché non c’è. Forse sei vittima di allucinazioni».
Vittima di allucinazioni. John Koenig era sicuro di non essere pazzo, ma si rese conto di essere solo. L’unica persona con cui valeva la pena di parlare per venire a capo di quell’incubo era Carter, quindi ignorò gli altri.
«Alan, può dimostrare quello che dice?»
«Posso mostrarle il tentacolo, venga con me».
«Paul, prenda lei il comando».
«Sì, Comandante».
«Andiamo!». Koenig e Carter si avviarono fuori dalla Sala Comandi.
«John, dove stai andando?» la domanda del professor Bergman non ebbe risposta, davanti a lui si chiuse inesorabile la porta scorrevole appena furono usciti.
Poco dopo entrarono nel travel tube sotterraneo per il collegamento alle sezioni più lontane di Alpha e partirono diretti agli hangar delle Aquila. Nessuno dei due parlava, ma si guardavano seri, quasi con sospetto. Nella testa di Koenig frullavano mille dubbi su quello che stava facendo e iniziò a chiedersi se quell’uomo che aveva davanti, ottimo pilota e amico, era veramente chi diceva di essere. Per un attimo temette di essersi chiuso lì dentro insieme a un essere inumano che per qualche inspiegabile ragione era apparso su Alpha assumendo l’aspetto di Alan. E che adesso avrebbe potuto ucciderlo. Lentamente portò la mano al laser, nella fondina, e si preparò a difendersi.
«Comandante…» disse Alan avvicinando la mano alla sua nuca.
Koenig estrasse il laser e si mostrò minaccioso, pronto a sparare.
Carter esitò, attese che l’altro riacquistasse fiducia in lui e rafforzò con un sorriso il più amichevole possibile. Poi, con prudenza, toccò qualcosa che stava attaccato al collo di Koenig.
«Ha perso forza. Come è successo con me. Ho cominciato a vederlo solo ora».
Anche Koenig iniziò a vederlo, sembrava un tentacolo, ma aveva la consistenza della corteccia e diventava sempre più visibile. Con un gesto di stizza lo allontanò da sé e lo vide ritirarsi fino a scomparire nella parete. Ripose il laser nella fondina.
«Cosa diavolo era?»
«Non lo so, Comandante. Ma sta succedendo qualcosa di strano e almeno noi due avevamo un parassita attaccato addosso».
«Anche il tentacolo che voleva mostrarmi, probabilmente si sarà ritirato come questo».
«Probabilmente».
«Un momento… non lo vedevamo prima, ma c’era e finché ci stava addosso riusciva a ingannare i nostri occhi».
«Forse ci riesce comunque, forse continua a ingannare ogni membro della Base».
«Questa è l’unica certezza che abbiamo». La luce che indicava il movimento del travel tube si fermò, segno che erano arrivati. Koenig si alzò in piedi e col commlock aprì la porta scorrevole, poi si precipitarono nel corridoio.
Si avventò sulla prima colonna per le comunicazioni che incontrarono e digitò un comando. Sgranò gli occhi per lo stupore. Sul monitor si vedeva l’Aquila 1, ferma nel suo hangar, spenta e inutilizzata.
«Non… non è mai partita. Abbiamo solo creduto di vederla partire e qualcuno ci ha indotto a crederlo».
«Io dovevo essere alla guida» disse Alan «per questo quel qualcuno mi ha tenuto fuori gioco, ma deve essergli andata storta e mi sono svegliato».
«Carter, attivi l’elevatore. Dobbiamo fare in modo che la nostra gente si svegli! Faremo uscire l’Aquila 1 sulla rampa, quando dalla Sala Comandi la vedranno sarà chiaro a tutti che l’altra è falsa».
«Bene».
«Io andrò alla Sezione Medica, forse Helena è ancora in sé e può darmi un farmaco utile contro le allucinazioni».
I due si divisero. Carter prese il corridoio di destra, nel settore successivo avrebbe potuto controllare l’elevatore manualmente. Koenig, invece, prese il corridoio a sinistra, che portava alla Sezione Medica.
Aprì la prima porta scorrevole col commlock e si trovò di fronte la dottoressa Russell. Fu sorpreso, ma poi ripensò al suo comportamento in Sala Comandi e fu certo che Morrow, prendendo il comando della Base, avesse ritenuto opportuno allertare i medici e forse anche la sicurezza.
La osservò bene, non aveva tentacoli legnosi addosso, o forse ce li aveva e a lui serviva del tempo per riuscire a vederli, perché era ancora preda latente del mostro.
Le disse tutto. Non aveva tempo da perdere, la falsa Aquila 1 si avvicinava sempre più ad Alpha e servivano alleati per fronteggiare l’incombente pericolo. Purtroppo il risultato fu alquanto deludente. Negli occhi di lei lesse solo incredulità.
«John, non stai bene. Io posso aiutarti».
«Helena, devi credermi! Siamo minacciati. Alan me li ha fatti vedere, sono qui tra noi».
«No, John. Alan sta tornando, è alla guida dell’Aquila 1, l’abbiamo visto tutti partire. Ascoltami, Victor mi ha detto che ti comporti in modo strano. Credo che abbia ragione, lascia che faccia dei controlli su di te».
Era tutto inutile, Koenig si rese conto che non poteva convincerla. Abbassò lo sguardo e le voltò le spalle.
«Non seguirmi» col commlock aprì la porta scorrevole ed entrò nel corridoio da cui era venuto. Lei fu per dire qualcosa, ma la porta le si chiuse davanti.
Koenig seguì il percorso a ritroso e imboccò il corridoio attraversato da Carter. Lo trovò non molto lontano, oltre la seconda porta, per terra con gli occhi sbarrati. Si muoveva appena e aveva un tentacolo che gli stringeva il collo. L’avevano ripreso.
«Carter! Si svegli!» cercò di toglierglielo, ma sembrava impossibile. Aveva la resistenza di una quercia e per quanti sforzi facesse, non riusciva a muoverlo di un centimetro. Alzò lo sguardo seguendolo fino al soffitto, dove sfumava. Furioso impugnò il laser deciso a reciderlo con la forza.
«John…» si voltò e vide Helena, l’aveva seguito fin lì.
«Devi venire con me al Centro Medico, è per il tuo bene». Dietro di lei si aprì ancora la porta scorrevole ed entrarono gli uomini della sicurezza.
Mentre si avvicinavano vide con terrore che in tutti, da dietro il collo, partivano quei cordoni legnosi che salivano verso il soffitto e anche Helena ne aveva uno.
Tentò un diversivo.
«Va bene Helena, verrò con te».
Mentre gli uomini della sicurezza avanzavano, coperto dietro la dottoressa, regolò il laser su stordimento. Poi con una mossa fulminea aprì il fuoco. Uno dopo l’altro caddero a terra tramortiti.
«Fermati John» lo implorò lei.
Lui le puntò contro il laser, ma non se la sentì di sparare, abbassò l’arma, si voltò e corse via.
Ebbe una scena orribile davanti a sé mentre attraversava il settore successivo della Base. C’erano quei tentacoli vegetali ovunque, scendevano dall’alto intersecandosi e generando una specie di giungla. Erano attaccati a persone sdraiate sul pavimento, e queste pareva che sognassero. Forse tutti quelli che avevano interagito con lui erano stati attivati al momento opportuno dal mostro. Forse prima di vedere il doppio Alan anche lui in Sala Comandi era stato sdraiato a sognare. Forse.
Qualcuno dei sognanti, al suo passaggio si attivò, volse lo sguardo verso di lui, ma chissà quale immagine ingannevole gli arrivò nel cervello. Koenig non perse tempo cercando di svegliare i sognanti, proseguì in mezzo a decine di rami tentacolati e si accorse che potevano essere attraversati, erano incorporei. Si chiese perché in altri momenti erano risultati duri e legnosi, ma non seppe trovare una risposta che avesse un senso.
Era evidente che l’entità aliena, il mostro che minacciava gli Alphani non era ancora sulla Base, altrimenti che senso avrebbe avuto far tornare la falsa Aquila? Quei tentacoli erano un controllo mentale a distanza per preparare la strada all’invasione.
Koenig giunse in un corridoio deserto, chiuse la porta scorrevole dietro di sé, si avventò sulla colonna per le comunicazioni e accese il video. Si vedeva l’Aquila 1 che atterrava sulla rampa sollevando una nuvola di polvere lunare. Non c’era più tempo, il mostro era arrivato per finire le sue prede! Doveva fare qualcosa.
L’immagine sul monitor cambiò e apparve il volto di Paul Morrow.
«Attenzione, il comandante Koenig è impazzito, è molto pericoloso, bisogna fermarlo a tutti i costi».
John Koenig, stizzito, spense il video e fu la sua fortuna perché sullo schermo spento vide riflesso il tentacolo che gli arrivava da dietro per avvolgergli il collo. Reagì d’istinto, alzò il braccio, impedì la manovra e si trovò a lottare disperatamente. Con la mano ancora libera fece saltare la grata di areazione dei circuiti sulla colonna. Poi tirò. Trasse a sé il tentacolo. Fu uno sforzo immane, ma riuscì a infilarlo fra collegamenti elettrici e microchip. Ne scaturì una fiammata, scintille schizzarono ovunque. Gli sembrò di udire un urlò che non aveva niente di umano. Il ramo tentacolato abbandonò la presa e si ritrasse svanendo nel soffitto.
Esausto per la lotta, Koenig, si afflosciò appoggiato alla colonna, sua involontaria salvatrice. Attese qualche minuto. Quando sentì le forze che tornavano, lentamente si alzò e riprese a correre verso la rampa, forse era ancora in tempo.
L’Aquila 1, intanto, era atterrata. Il suo equipaggio era sceso e calpestava il suolo di Alpha.
John Koenig irruppe nel corridoio che arrivava dalla rampa, erano presenti il professor Bergman e la dottoressa Russell insieme ad altre persone, tra cui alcuni uomini della sicurezza. Vide il falso Alan Carter che veniva avanti insieme al suo copilota. Quasi subito vide svanire il copilota, era solo un’illusione.
«Comandante, c’è qualcosa che non va?» disse con un ghigno sinistro il falso Carter, e aumentò il passo. Koenig non gli rispose, subito mirò agli uomini della sicurezza e li tramortì col laser. Poi regolò la potenza al massimo. Per “uccidere”. E puntò l’arma. Purtroppo in quel momento gli arrivarono addosso altri uomini, dovevano fermarlo, lo credevano pazzo. Riuscirono ad atterrarlo, il laser gli sfuggì di mano e con presa ferrea lo tennero fermo.
Ormai bloccato senza alcuna possibilità di liberarsi fu sopraffatto dalla disperazione; tutti quelli che gli stavano intorno avevano un tentacolo che li controllava. Si rivolse a Bergman, la sua ultima spiaggia.
«Victor! Siamo stati invasi! Quello non è Alan, siamo in pericolo! Devi credermi». Ma il professore rimase scettico e lo guardò con compassione.
Carter arrivò a pochi metri da loro. Aveva un’espressione di vittoria talmente forte stampata in faccia da stupire perfino gli uomini che bloccavano il Comandante. Gradualmente allentarono la presa.
John Koenig si divincolò dalla stretta che lo imprigionava, raggiunse il laser, lo impugnò e aprì il fuoco sul bersaglio.
Investito dalla scarica energetica, il falso Carter si incendiò. Perse il controllo delle sue vittime e rivelò la sua vera forma. Somigliava ad un albero ma aveva aspetto umanoide. Dalla sua testa partivano i tentacoli, simili a tante radici che si moltiplicavano all’inverosimile per poi svanire nel nulla.
Bruciò lanciando un grido disumano che scosse Alpha, arrivando in ogni sezione, in ogni corridoio, in ogni stanza. In pochi secondi la creatura si consumò.
Poco dopo la gente cominciò a svegliarsi, alcuni uomini accorsero con gli estintori per domare il fuoco. Bergman aiutò Koenig ad rialzarsi.
Helena era frastornata, usciva in quel momento da un sogno, come tutti.
«John, cosa ci è successo?»
«È tutto finito Helena, tutto finito».
In Sala Comandi Paul Morrow vide con la coda dell’occhio uno strano tentacolo legnoso, che lo lasciò libero, si agitò nell’aria e si dissolse. Tornò a guardare lo schermo davanti a lui, l’Aquila 1 sulla rampa non c’era più. Al suo posto troneggiava minacciosa un’astronave aliena, orrenda e irregolare. Qualcuno li stava attaccando. Subito azionò l’allarme.
Marco Alfaroli
Space 1999
Serie TV – Regno Unito, Italia. 1975-1977
ideata e prodotta da: Gerry Anderson
Sylvia Anderson e Fred Freiberger