SE CI SEI BATTI UN COLPO: MYSTERY CLASSICO E SEDUTE SPIRITICHE

La letteratura poliziesca classica si è nutrita di tante cose.

La commistione con altri generi, in particolare il nero, ha dato vita a diversi romanzi dalle tinte gotiche, dove una parvenza di sovrannaturale si univa alle ferree regole della logica deduttiva. Interessante notare allora la presenza della tematica spiritista all’interno di alcuni plot del giallo. Non staremo qui a riassumere un terreno così vasto come quello dei fantasmi; giova comunque ricordare per sommi capi di cosa si sta parlando.

Dalle terre dei coloni americani piovono le sorelle Fox, neoconvertite evangelizzatrici del paranormale. Si spalanca un nuovo mondo e si cerca di provare quello che l’uomo cerca da sempre: le prove di una vita oltre la morte, la speranza di un’altra esistenza. Da subito la grammatica delle sedute spiritiche si concretizza in liturgie laiche, officiate da un massimo di quindici persone alla volta; si procedeva con l’oscuramento della stanza, lasciando accesa solo una candela, una piccola lucina; dopo ci si raccoglieva in silenzio, sperando che gli spiriti dei defunti entrassero in contatto coi vivi. La medium cadeva in un sonno magnetico, uno stato di trance che le conferiva l’autorevolezza di comunicare oltre la soglia della vita; spesso si sentivano dei colpi, voci prodotte dalla stessa medium, oppure messaggi trascritti automaticamente.

Dalla seconda metà dell’800 il fenomeno dello spiritismo esplode ovunque. Un nuovo spettro si aggira per l’Europa e non è figlio dei Lumi, anche se non sembra spiacere ai fautori delle utopie egualitarie e comuniste del periodo. Lo spiritismo si configura come un pastiche ideologico di goffi esperimenti, scienza “nera” e fantastico. Ad un certo punto i medium si confondono con gli illusionisti, come nel caso dei fratelli Davenport; altri come Houdinì invece dedicano le proprie competenze nello smascherare i medium, considerati come un cumulo di imbroglioni. Ad un certo punto divenne una moda farsi fotografare col fantasma. Dal 1860 scienza e soprannaturale si incontrano nella fotografia psichica, rappresentando l’altro mondo come un luogo di continuità e contiguità col questo. Certo i trucchi erano dietro l’angolo e si poteva falsificare le lastre vergini con lastre preparate, l’aggiunta di sostanze chimiche durante il procedimento di sviluppo facevano il resto. Tuttavia erano molte le famiglie (agiate e puritane) che chiedevano un ritratto col fantasma, spesso raffigurato come una nuvola di ovatta, una figurina dai contorni che paiono ritagliati. Non mancano sedute fotografiche delle sedute spiritiche, col corpo della medium, visionaria sonnambula, centro di un eros dirompente, con ectoplasmi che fuoriescono dalla bocca, dalle orecchie, dalla vagina. In molti si faranno affascinare dalla nuova materia. Su tutti Conan Doyle con le sue fate. Oppure il famigerato Lombroso e le sue ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici, vera autopsia fotografica sul corpo della medium Eusapia Palladino. Bene. Su questo mondo di scienza e occultismo, alcuni scrittori del mystery classico hanno costruito dei gialli interessanti e originali, inseguendo (come direbbe G. K. Chesterton) nella “scienza” dell’investigazione le forme esoteriche del pensiero.

L’esempio più famoso è quello offerto da Agatha Christie e dal suo Un messaggio dagli spiriti, in originale The Sittaford Mystery, scritto nel 1931. Si tratta di un classico intreccio della Christie, appartenente agli anni d’oro del giallo all’inglese, ma con una curiosa eccezione: non c’è alcun detective che spicca. The Sittaford è ambientato in un piccolo mondo antico tanto caro alla Christie, un paese semi feudale e pre-industriale incastonato in un’Inghilterra incantata e bucolica. Siamo nel Dartmoor, la medesima regione che fa da sfondo alla vicenda de Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle. Non si tratta di una coincidenza. Alex Falzon, studioso agathiano, nella prefazione al volume della Mondadori degli anni ’80 (quelli con la parte inferiore della copertina gialla e l’illustrazione di  Karel Thole, grande copertinista di Urania), spiega che Un messaggio dagli spiriti è un omaggio appassionato della Christie a Conan Doyle, suo maestro letterario. Un messaggio dagli spiriti non ruba solo l’ambientazione del Dartmoor da Il mastino; anche qui si respira un’aria di occulto e di sospensione dal reale che apre il romanzo con la grande scena della seduta spiritica praticata da alcuni facoltosi e annoiati abitanti del villaggio di Sittaford. Troviamo un maggiore a riposo con la passione per gli sport e i giochi, il maggiore Burnaby, la signora Willett, cittadina britannica residente in Sud Africa, sua figlia Violet e altri affittuari delle villette di proprietà di un certo capitano Trevelyan, uomo ricchissimo e antipatico. Per noi, il gruppo si diletta in una seduta spiritica dilettantesca, descritta con la consueta pacatezza e sinteticità della Christie. Un tavolinetto rotondo con il piano lucido e levigato, qualche battuta umoristica dello scettico maggiore Burnaby. Poi il tavolino comincia a sussultare. Alla fine arriva un messaggio dagli spiriti. Il capitano Trevelyan è morto. Morto? Ammazzato? Da questo incredibile inizio la Christie dipana la sua matassa, divertendosi a ricalcare le orme di Conan Doyle. Torna la brughiera spettrale e rarefatta, la terribile prigione e la fuga di un pericoloso criminale a cui addossare eventuali colpe o delitti, inoltre la Christie aggiunge ulteriori tocchi conandoyleiani con l’interesse per la parapsicologia, la nebbia impenetrabile che avvolge il paese e i segnali luminosi nel buio della notte. Altro elemento naturale ad assumere significati testuali è il manto copioso di neve che isola Sittaford e richiama la nevicata terrificante di Tre topolini ciechi. Un messaggio dagli spiriti è un gustoso omaggio al mystery con venature gotiche e ultraterrene e i soliti dialoghi scorrevolissimi che sono un vero e proprio marchio dell’autrice.

Anthony Wynne nacque nel 1882 in Scozia e nella vita collaborò a lungo col Times scrivendo articolo di medicina, si occupò del celebre cardiologo scozzese James MacKenzie e pubblicò dei saggi storici sull’epoca napoleonica. Per diletto scrisse 29 romanzi gialli, con la media di due all’anno. Tra questi Wynne scrisse La dama in rosso (1935), un giallo assai macabro che incrocia l’argomento di cui mi occupo. L’incipit pare richiamare, per larga associazione, qualcosa delle atmosfere presenti nel thrilling italiano La dama rossa uccide 7 volte. Un finanziere filibustiere viene assassinato durante una conferenza, alle sue spalle un quadro, la dama rossa di Holbein, appunto. Sembrerebbe uno dei tanti delitti impossibili che punteggiano la storia del mystery classico. A complicare la vicenda (seguita dal dottor Eustace Hailey, il protagonista di tutte le opere di Wynne) è la scomparsa del cadavere del finanziere, probabilmente mutilato e bruciato assieme al corpo di un secondo uomo. Particolari macabri e arcani sembrano assediare la costruzione di un romanzo scritto con leggerezza e agilità, sorretto da dialoghi serrati e veloci. Ad un certo punto ecco fare la sua comparsa madame Sévigné, una medium, confidente del finanziere filibustiere smembrato. Il detective del libro, il dottor Hailey, decide di consultarla e qui abbiamo un altro classico del genere, ossia la seduta spiritica usata per avere informazioni dalla vittima, per scoprire l’assassino. Non servirà a molto. Il capitolo 15 è intitolato proprio “La seduta spiritica” ed è praticamente a metà libro. Il flaneur detective partecipa come generico osservatore, sicuramente scettico, perché nel mystery la fascinazione per elementi gotici o ultraterreni è sacrosanta, ma sempre smentita da soluzioni logiche, razionali. I fantasmi non esistono e se esistono non interessano granché ai fini della trama.

Ai fini del giallo classico, le reminiscenze gotiche o spiritiche sono un pre-testo, un modo per sganciarsi momentaneamente dal pensiero puro della logica e provare a riassumere in modo metafisico, astratto, l’intera realtà delle cose. I romanzi gialli dell’epoca d’oro (diciamo dal 1915 al 1939, anno di uscita di Dieci piccoli indiani) hanno sempre trame fitte, intricate, multiformi, piene di personaggi. Ognuno è uno specchio deformante, portatore di illusioni e tortuose deviazioni. Compito del detective di turno è quello di non lasciarsi ingannare o distrarre e ricondurre tutto alla ratio, alla ragione. Ragione e verità che esistono e sono connesse alle leggi sociali, alla società civilizzata e completamente razionalizzata. Il romanzo giallo delinea un mondo particolare, una realtà fittizia e ideale, in cui il mistero è un’intrusione che genera delitti, sventure e paure ancestrali. Il mistero è ambiguo, spesso zona d’illegalità, di effrazione dalla norma. La legge è un modo per proteggere la collettività dal caos primordiale, quello da cui la società si è originata, quello verso cui tornerà un giorno. La ratio è una sentinella, una fiammella di deviazione e (vera) anarchia rispetto al non senso della vita. L’universo del giallo classico si aggrappa sempre a dei luoghi chiusi (per quanto grandi come un’isola), a dei personaggi circoscritti, compressi in un buon senso vittoriano coi suoi mediatori e sacerdoti (la polizia, il giudice, l’avvocato, il notaio, il detective, il medico); il bisogno che si avverte sotto le strutture schematiche e ripetitive è quello di arginare l’avanzata ambigua della morte, forza elementare e superiore, capace di infiltrarsi nella comunità dall’esterno o dall’interno. Morte, mistero, peccato, forze spiritiche, voci dei morti dall’aldilà, incarnazioni di un pre-mondo caotico e cosmico sempre pronto a ingoiare la società civilizzata.

In Wynne, come in qualunque altro autore del mystery classico, la società è rappresentata attraverso la carrellata di personaggi, quasi sempre appartenenti a una classe sociale agiata, protetta e non stritolata dalle forze del capitale e resi anonimi, intercambiabili tra loro, stillati dall’elemento psicologico, ridotti a particelle residuali di psiche sublimata; stereotipi, decalcomanie di figure ideali, tipicizzate dal funzionamento sociale, bisognoso di ruoli mediali, di tropi familiari e anacronistici a cui affidare i comportamenti convenzionali del mondo civilizzato. Personaggi funzioni che assolvono con omogenea pacatezza la loro funzione di sentinella, estranea alla psicologia del romanzo colto. I personaggi di un mystery classico sono atomi anonimi, frammenti funzionali a un disegno generale, caratteristi sconosciuti di una rappresentazione collettiva, regolata da leggi e codici autonomi. Ecco allora che il detective s’aggira sarcastico tra i ruderi di psicologie occulte, assiste alle sedute spiritica, già in cerca di quel sintomo, di quell’indizio di male, di quella particella malata che finirà per infettare l’intero corpo collettivo. Eziologia d’una indagine. Epistemologia del male. La seduta spiritica, in questi romanzi degli anni ’20 e ’30 è un indizio, una traccia “maschera” dietro a cui non c’è nessuna verità, soltanto altre maschere. La metafisica della seduta spiritica (nel mystery classico, perché di quello e quello soltanto stiamo parlando) non è una porta sull’altrove, bensì una falsa pista manipolata da chi si muove nell’illegalità.

Per tornare alla Dama rossa di Wynne, il capitolo 15 del romanzo è magistrale. Wynne, come la Christie, si affida a una prosa a effetto, poco descrittiva, poco satura di particolari, digiuna di descrizioni a cascata come in tanta prosa di oggi. Wynne è sicuro, costruisce con poche pennellate. L’atmosfera fredda della stanza, la medium in trance, la risata di un bambino, un forte clangore, il suono di un gong, di una campana, strilli odiosi, altri tonfi, infine un gemito dal buio e il corpo della medium ritrovato rattrappito sulla sedia, accoltellata dalla mano dell’assassino. Oltre la foschia espressiva, emotiva, della paura, oltre al fraseggio all’apparenza incoerente del male, ecco emergere le medesime chimere nascoste dietro le maschere dei personaggi. Nel cuore della collettività, qualcuno ha infranto la legge, si è spinto oltre le barriere del lecito e ha recitato il ruolo del negromante. Al dottor Hailey sciogliere, almeno per il momento, il mistero esoterico. Libro magnifico, a noi consegnato nella bella traduzione di Dario Pratesi, nella collana de I bassotti di Marco Polillo Editore (2016).

Prima di proseguire, vorrei spendere ancora due parole, in senso generico, sul mystery dell’età d’oro, ossia dal 1915 al 1939.

Per inquadrare il mystery basterebbe l’elenco esaustivo speso da S. S. Van Dine nel suo saggio Venti regole per scrivere romanzi polizieschi. Ricordo al lettore i punti salienti: avere un investigatore al centro della trama, un detective che prenda per mano il lettore e lo conduca fuori dal labirinto; il colpevole deve essere tra i personaggi della storia e smascherato attraverso una serie di procedimenti logici, insomma deve essere una persona che ha avuto un ruolo nella vicenda; non ci deve essere una storia d’amore, perché al mystery serve solo un crimine, un criminale e il trionfo finale della giustizia; ci deve essere almeno un cadavere, un assassinio, un omicidio, magari brutale, magari no, ma qualcuno deve lasciarci la pelle e permettere al detective di iniziare la sua ricerca di indizi, di tracce; i metodi impiegati nell’assassinio e i sistemi usati per scoprirlo, devono essere razionali, scientifici.

Ecco, ognuno di noi può confrontare queste semplici regole con alcuni romanzi mystery che abbiamo letto; tuttavia non credo che un genere possa essere ricondotto a un insieme di codici; credo ci sia dell’altro, qualcosa di impalpabile che spesso sfugge alle definizioni e rimane nell’ombra, indeterminato. Prima ho nominato 10 piccoli indiani della Christie, giustamente considerato un libro altro, di rottura rispetto alle regole auree dell’età d’oro del giallo angloamericano. Infatti il libro della scrittrice inglese non ha un vero e proprio investigatore a sbrogliare la matassa, inoltre il colpevole riesce a farla franca, o perlomeno a completare il suo piano criminale. 10 piccoli indiani, come ormai molti mystery degli anni ’40 o ’50 (penso soprattutto a uno scrittore superbo come Fredric Brown) iniziano a interessarsi maggiormente alla psicologia del criminale piuttosto che ai procedimenti deduttivi per incastrarlo; alcuni romanzi di quegli anni sono anticipatori del thriller moderno. Tuttavia 10 piccoli indiani, con la sua isola metafisica, isolata dal resto del mondo, ci restituisce un’atmosfera che è intima essenza del mystery, a mio avviso più di tutte le regole elencate da Van Dine: Nigger Island è una “camera chiusa” emblematica satura di terrore, suspence e parvenze paranormali. L’atmosfera magica e surreale è un ingrediente importante per il mystery e non conta se poi alla fine viene spiegata e annullata da elementi probanti. Conta che ci sia, quasi a sigillare la boccia di vetro sotto la quale si dibattono i personaggi del romanzo. Il mystery classico rimanda spesso all’immagine della boccia di vetro: il paesino inglese isolato dalla neve, le camere chiuse, i delitti impossibili in treno, in aereo, sul traghetto, ovunque, purché luoghi (mentalmente) chiusi, limitati, perimetrati. Perché? E’ il fascino infantile di calarsi in una macchina astratta e burocratica, un non-luogo che funzioni come una prigione di lusso, come macchina disciplinare, mappa cosmogramma platonico di una realtà ideale che possa spiegare la struttura universale delle cose. In fondo, la seduta spiritica, coi suoi codici, i suoi tavolini, i calchi in gesso, le apparizioni, la fotografia spiritica, altro non è che un altro luogo metafisico in cui ricercare le strutture fondamentali dell’essere o del nulla. Credo siano state queste tensioni assolute, epistemologiche, a spingere il mystery verso tematiche all’apparenza contrastanti, séances affabulatorie, aure orrorifiche, sintomi di isteria o di neuropatie? Lombroso, all’alba del romanzo poliziesco, ne scrisse nel suo saggio postumo Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici (1909). L’Inghilterra della Society for psychical reaserch si era già prefissa questo compito nel 1882. Nel tempo saranno molti gli uomini di scienza affascinati dall’occulto. Il fisiologo Charles Richet, Flammarion a Parigi, un altro fisiologo come  Filippo Bottazzi, emulo di Lombroso nel sottoporre la medium Eusapia Palladino a varie sedute di studio. Giallo e scienza, mistero e delitti. Corpo della medium e corpi dei morti. Tracce da catalogare, misurare, registrare per mezzo di fisiognomiche meccaniche. Il medium o la medium si raccoglie nella camera obscura e diventa il doppio del detective, cerca nelle tracce dell’invisibile una cripta del passato. Bene.

Proseguo presentando un altro romanzo che miscela tematiche gialle con il panopticon paranormale: Svanito nel nulla di Horatio Winslow & Leslie Quirk, edito in italiano da Marco Polillo Editore, tradotto da Dario Pratesi. Il romanzo esce nel 1928 ed appartiene di diritto alla Golden Age del mystery classico. La trama è una bomba: lo spettro di Salem è un astuto criminale, noto per la sua capacità nel volatilizzarsi dopo aver messo a segno i suoi colpi. Lo spettro è una sorta di Fantomas, tuttavia, grazie all’aiuto di un criminologo – il dottor Klotz – la polizia riesce ad acciuffarlo. Lo spettro riesce ad evadere, avvalorando l’opinione generale che sia dotato di poteri paranormali, e muore poco dopo in un incidente ferroviario. Identificato, viene seppellito in un piccolo cimitero a Blenheim nel Wisconsin. Klotz dorme sonni tranquilli finché, nel corso di un esperimento di spiritismo, riceve uno sconcertante messaggio dallo spettro. Qualcuno si è introdotto nella casa del criminologo, ha rubato un anello ed è svanito nel nulla. Klotz, razionalista, fa esumare lo spettro, il cadavere è al suo posto, ma al dito porta l’anello rubato. E questo è solo l’inizio di un libro incantevole, scritto con estro, ricco di citazioni colte e brividi a non finire (i capitoli in cui si recano al cimitero per esumare la bara dello spettro inchiodano letteralmente alla pagina); inoltre gli autori hanno la finezza di unire il mondo del paranormale con quello del Vaudeville ottocentesco, quando i medium si confondono con gli illusionisti da fiera. La seduta spiritica è descritta in modo classico e riproduce una serie di particolari che abbiamo già evidenziato altrove. Avviene in una casa fatiscente, in uno studiolo triangolare dotato di tavolino spoglio, megafono e sedie disposte a semicerchio. I partecipanti alla seduta sono gente normale, dotata di buon senso, armati da una volontà di credere, da una fede nel fantastico. La medium è una donnina grassottella, Mrs. Peaslee, capace di elargire consigli discreti per mezzo delle voci dei morti. Canti e armonium perimetrano la seduta, poi i classici colpi, gli schianti e le apparizioni di lucine ardenti attorno alla testa della medium, infine una voce che si leva dal megafono, un belato raccapricciante di capra, e le parole dello spettro di Salem che tornano ad ammonire i suoi nemici. Altri sibili, vestiti che frusciano e palle da biliardo che volteggiano nell’aria. Insomma un armamentario infernale che pare impossibile da spiegare e allude alla nebbiosa filosofia delle planchettes o le ouja-boards, allucinazioni autoimposte su una mano che scrive. Ci fermiamo qui. Il libro è stupendo e gli autori scioglieranno tutto, senza lasciare ombre arcane, purtuttavia, Svanito nel nulla conserva un’aura orrifica che indaga le zone d’ombra delle allucinazioni collettive e le strutture scarabocchiate della scrittura automatica surrealista. Perché, come ho già cercato di dire, il romanzo mystery è un romanzo non realista, una rappresentazione ideale del mondo che non passa (come nel romanzo psicologico) dai personaggi, bensì dagli ambienti, dalle atmosfere, dalla messa in scena del piccolo tran tran quotidiano, coi suoi riti, le sue abitudini, le sue ripetizioni. Il mondo dello spiritismo è una piccola effrazione, così come il delitto, nello scorrere delle esistenze comuni; ognuno di noi, come dirà l’assassino (o l’assassina?) nel finale del libro, è prigioniero del proprio pezzetto di terra, aspetta solo che il becchino passi e porti via pure noi [1].

Davide Rosso


[1] Il finale dell’articolo è così azzeccato che non mi sento di guastarlo. Per completezza, mi limito a segnalare (e colgo l’occasione per ringraziare l’editore Marco Polillo, che ha risposto con premura e gentilezza alle mie richieste di chiarimenti) altri romanzi che mescolano il giallo classico con le sedute spiritiche. Eccoli. Altri gialli con sedute spiritiche sono stati pubblicati dalla Mondadori nelle sue collane da edicola: “Scritto fra gli astri” e “Se ci sei batti un colpo”, entrambi di Jonathan Stagge; “Il mistero di Madeline” di Anthony Abbott; “L’orlo dell’abisso” di Hake Talbot e – ma questo credo sia inedito in italiano – “The Red Lamp” di Mary Roberts Rinehart.