CAPITOLO IX: GLI OSSERVATORI ASTRONOMICI
Un osservatorio è un luogo dove si svolgono ricerche scientifiche in un certo settore, tipicamente astronomico. In questo caso stiamo parlando di un osservatorio dedicato allo studio di fenomeni celesti. Questo avviene attraverso strumentazione specificamente costruita a questo scopo, in particolare tramite uno o più telescopi di varie dimensioni contenuti all’interno di una o più cupole astronomiche apribili che li contengono assieme alla strumentazione annessa.
Esistono anche osservatori solari, per l’osservazione del Sole utilizzati di giorno, ma anche osservatori nella banda radio, sfruttando quindi dei radiotelescopi.
Tipicamente un osservatorio astronomico è posto in luoghi dove le condizioni astronomiche di osservazione del cielo notturno sono ideali o comunque migliori in termini di inquinamento dell’aria, inquinamento luminoso, bassa umidità assoluta e relativa e rarefazione dell’aria: questo tipicamente corrisponde a luoghi d’altura abbastanza isolati come in montagna o comunque lontani dai centri abitati, sebbene in alcuni casi è possibile trovarli anche in questi luoghi per mancanza di altri spazi.
Va fatta però una distinzione netta tra osservatorio astronomico professionale e osservatorio astronomico amatoriale. I primi sono strutture costruite e finanziate in genere da enti di ricerca statale o privati, che effettuano studi con strumentazione avanzata.
In Italia, per esempio, gli Osservatori Astronomici storici (come ad esempio quelli di Arcetri, Bologna, Brera a Milano e Padova) sono riuniti dal 2000 nell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che dal 2005 ha anche conglobato gli istituti astrofisici che appartenevano al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Gli osservatori amatoriali sono invece strutture gestite a livello amatoriale da associazioni o singoli astrofili; in queste strutture l’osservazione ha uno scopo prevalentemente divulgativo, anche se in molte strutture si seguono ricerche con criteri semi-professionali. Non di rado infatti grazie agli osservatori privati o amatoriali sono state scoperte supernove, comete e asteroidi.
La carriera di George Ellery Hale nel campo dell’astronomia cominciò nel 1881 quando si fece dare due dollari dal padre William. Aveva tredici anni e quando il padre gli chiese cosa voleva fare con quei soldi egli rispose che erano per farsi costruire un telescopio. Aveva letto un libro su Galileo Galilei e le sue osservazioni sugli astri, per cui si era messo d’accordo con l’ottico il quale per un dollaro gli avrebbe procurato la lente adatta, il tubo con cinquanta centesimi e con la lente di osservazione e altro materiale: altri cinquanta centesimi. Totale due dollari e suo padre fu ben felice di darglieli. Così il sogno di Hale cominciò e prosegui con la costruzione dei più grandi telescopi del mondo, e molti risultati eclatanti nel campo dell’astronomia furono ottenuti dai telescopi costruiti da lui.
Il padre, in seguito, alimentò gli interessi del figlio comprando un telescopio di seconda mano e montandolo sul tetto della loro casa di Chicago. Il giovane conseguì il titolo di dottore nel 1890 e gli fu offerto un posto sull’osservatorio di Lik, sul monte Hamilton, in California e lui, incredibilmente, rifiutò perché aveva inventato un nuovo strumento per osservare il Sole e voleva perfezionarlo in un suo osservatorio personale. Ancora una volta suo padre lo aiutò e l’osservatorio, con annessa una piccola officina, fu costruito a Kenwood perché si trovava nel quartiere di Kenwood di Chicago. Era dotato di un telescopio rifrattore di 12” ed era affiancato ad uno spettroeliografo da lui inventato. Hale, infatti, dedicò buona parte della sua vita all’osservazione solare; tanto che, a soli 14 anni, era riuscito ad osservare il transito di Venere sul Sole. Grazie alla sua formidabile invenzione Hale fu in grado di fotografare le protuberanze solari e questo fu l’inizio di una nuova forma di studio: l’astrofotografia che, in moltissimi casi, eliminerà la visione diretta per le lastre fotografiche il cui uso del computer ha poi, a sua volta, posto fine.
Ma un telescopio è una cosa estremamente complessa e costosa e non solo perché devono essere realizzate lenti perfette ma per tutta una sincronia meccanica di altissima precisione per muovere strumenti voluminosi senza che vi sia alcuna irregolarità e senza produrre scosse.
Hale cominciò la prima delle sue grandi opere per poter dare più luce al cielo. E’ grazie al suo entusiasmo e alla sua abilità se l’università di Chicago ebbe il suo telescopio.
La prima grande avversità che Hale incontrò fu quella di trovare i fondi necessari per la costruzione del grande macchinario. Serviva più di mezzo milione di dollari e c’era anche un’occasione favorevole che non bisognava lasciarsi sfuggire: l’università di California aveva ordinato alla ditta Alvan Clark un obbiettivo di un metro di diametro e, a sua volta, la ditta stessa aveva acquistato dalla fabbrica Mantois due dischi ottici di vetro, a quei tempi i più grandi che fossero mai stati costruiti. Poi, come spesso succede anche oggi, i fondi erano mancati e i due dischi erano rimasti inutilizzati. Clark si era offerto di costruire le lenti al prezzo di costo del vetro: 20.000 dollari e George riuscì a convincere Yerkes a sborsare la cifra, anche se ci mise un anno per convincerlo. Così il 21 Maggio 1897 a Williams Town, nel Wisconsin, fu inaugurato l’osservatorio Yerkes che, all’epoca fu il più grande rifrattore del mondo e fu meta di studio per molti scienziati.
Però Hale non era destinato a fermarsi: aveva un grande progetto in mente: avere sempre più luce per osservare le stelle e, soprattutto, la “sua” stella: il Sole.
Sapeva perfettamente che era necessario costruire un edificio che fosse in alto, là dove l’atmosfera era, almeno all’epoca trasparente e non vi erano luci. Serviva un monte dove la chiarezza e la purezza dell’aria avrebbero aiutato il lavoro al telescopio.
Il posto che Hale trovò era sul Monte Wilson, a circa 1800 metri d’altezza e non era lontano da Los Angeles e da Pasadena. Non solo l’aria era tranquilla e priva di turbolenze ma non vi era un filo di nebbia e il cielo era “pieno di stelle”.
Hale iniziò il suo progetto installando sul monte un telescopio per lo studio del Sole, un dono della signorina Elena Snow che era nel gruppo degli studiosi dell’osservatorio di Yerkes. Fu un’impresa estremamente difficile trasportare le parti del telescopio su una stretta mulattiera, ma Hale e i suoi collaboratori costruirono un carrello speciale che andò avanti e indietro per ben sessanta volte alla folle velocità di due chilometri all’ora, fino a che tutto quello che era necessario fu portato sulla cima. Quando tutte le parti del telescopio furono montate i fondi erano esauriti. Per cui Hale partì immediatamente per Washington, ma i componenti l’associazione alla quale poi era ricorso; la Carnegie Institution, erano dubbiosi perché, fino a quel momento, non si era visto nessun risultato utile. Il telescopio era stato montato ma mancava un pezzo importante per farlo funzionare e questa parte non era ancora arrivata. Gli assistenti di Hale mordevano il freno perché, se solo avessero potuto inviare ad Hale alcune foto erano certi che sarebbero servite. Quando, finalmente, il pezzo mancante arrivò uno degli assistenti discese a valle, si caricò il pezzo, non certo leggero sulle spalle e lo portò in cima alla montagna. Le foto furono fatte e spedite a Hale. Malgrado questo la Carnegie Institution non sembrava disposta a sovvenzionarlo di nuovo. Hall decise di ritentare e cominciò a scendere la montagna dove, a metà strada, incontrò un uomo che gli sbarrava il passaggio e a causa delle dimensioni del cornicione, uno dei due doveva arretrare, ma questi lo riconobbe e gli consegnò un telegramma nel quale l’istituto acconsentiva a finanziare il progetto anticipandogli 150.000 dollari.
Pur avendo raggiunto il suo scopo Hale non poteva accontentarsi di un semplice, si fa per dire, osservatorio solare. Suo padre aveva previsto i sogni del figlio e aveva acquistato un blocco di vetro di un metro e mezzo di diametro da usarsi per un telescopio. Hale prese il blocco e lo fece portare a Pasadena, nel suo nuovo laboratorio e lo affidò a Ritchey, uno dei suoi più valenti collaboratori che ne ricavò uno specchio perfetto. Ritchey ci mise due anni per levigarne la superficie prendendo ogni tipo di precauzione e usando un macchina da lui stesso progettata. Nel laboratorio, dove venne chiuso ogni possibile pertugio che esponesse lo specchio anche ad un minimo granello di polvere, vestì sempre con un camice e passava ore ad esaminare tutti gli angoli della stanza, il pavimento perché non potesse alzarsi la minima particella di polvere. Intanto il sentiero che portava al monte Wilson fu allargato e trasformata in una strada abbastanza percorribile.
Mentre la costruzione del telescopio e tutte le sue particolarità erano in avanzato stadio di costruzione, un famoso milionario del luogo gli propose la costruzione di un telescopio ancora più grande. Dopo qualche titubanza sulla possibilità di una simile impresa egli accettò di costruire uno specchio di due metri e mezzo di diametro: Fu così che nel 1917 il nuovo telescopio fu installato e rimase fino al 1948 il più grande al mondo e Ritchey ci mise sei anni per prepararlo.
Non era ancora finita: la più spettacolare impresa di Hale era alle porte. Nel frattempo, purtroppo il lavoro e la tensione avevano minato la sua salute. Si ammalò e guarì ma continuò a soffrire di una forma estremamente dolorosa di congestione celebrale e non guarì mai del tutto da una forma piuttosto grave di esaurimento. Fu costretto a lasciare il lavoro ai suoi colleghi ma il suo spirito era ben al di là dall’essere domato. Andò a trovare il dottor Rose, direttore dell’Istituto Rockefeller che era la più colossale organizzazione al mondo nel campo dello scibile. Dopo un lungo colloquio nel quale Hale descrisse a Rose le meraviglie del cielo e le grandi scoperte che gli osservatori da lui progettati stavano compiendo, Rose offrì allo scienziato la somma di sei milioni di dollari.
Hale si rendeva conto che non avrebbe potuto vedere la fine di questa straordinaria impresa, ma si buttò ugualmente a capofitto su questo nuovo lavoro, affrontando gli immensi problemi che la realizzazione di uno specchio avrebbe comportato. Prima fra tutte la fusione di uno specchio di quelle dimensioni, la sua levigatura e il suo trasporto, nonché una struttura che potesse contenerlo in una cupola grande come quella di San Pietro dove potesse muoversi dolcemente, liberamente e precisamente in ogni direzione.
Per la fusione del grande specchio s’iniziò con l’usare il quarzo che è non solo più duro del vetro ma ha anche la proprietà di non essere sensibile alle variazioni di temperatura. Fino a che non si superò il metro di diametro i dischi erano perfetti, ma raggiunto quel diametro si spezzavano facilmente e si dovette tornare al vetro, ma non a quello normale, quello chiamato Pirex e dopo un’infinità di prove si procedette alla fusione del grande disco di cinque metri. L’inizio della procedura avvenne il 25 Marzo del 1934 ma fu un fallimento per cui si dovette ricominciare da capo il 2 Dicembre dello stesso anno. Una volta effettuata la colata bisognava farlo raffreddare per due gradi al giorno e ci sarebbero voluti sei mesi perché si potesse concludere l’operazione. E ogni interruzione di corrente poteva essere fatale e questo incidente accadde ma, per fortuna non causerà danni al disco. Dopo vent’anni di lavori, problemi tenacemente affrontati, il grande telescopio di Monte Palomar entrerà in funzione nel 1949 e sarà intitolato a Hale. La grande lente rivolta verso il cielo ha dilatato enormemente i confini dell’universo visibile ed ha contribuito molto allo sviluppo della cosmologia: Hale, come aveva previsto lui stesso, non poté vederlo: morirà nel 1946, ma tutto quello che è riuscito a realizzare non morirà mai.
Un giusto riconoscimento alla sua opera fu il dedicargli un asteroide, il 1024 Hale, e un cratere su Marte.
Questa storia, più di ogni altra può far capire quanto l’uomo possa essere determinato e risolutivo nel cercare di avvicinarsi ai misteri che lo circondano. Il fatto che Hale sia stato costretto a convivere con una tecnologia che oggi potrebbe considerarsi obsoleta, non ha alcuna importanza. Se altri Hale fossero viventi oggi forse avremmo in orbita una decina di Hubble e con altri Von Braun saremmo già atterrati su Marte. Oggi, infatti, la tecnologia permette cose impensabili solo cinquant’anni fa, ma se questa ha raggiunto altissimi livelli non è stata la stessa cosa per la volontà di sfruttare pienamente queste risorse estremamente utili anche per la vita di tutti i giorni.
(9 – continua)