I padroni della città (1976)
I padroni della città (1976) è un altro poliziesco brillante che mette insieme elementi comici e tragici, parla di piccola delinquenza e resta sempre in equilibrio tra farsa e tragedia. Piace a Tarantino che da questa pellicola prenderà molti spunti per la sua produzione futura.
I padroni della città nasce da un soggetto originale del regista che lo sceneggia insieme a Peter Berling. La fotografia è di Enrico Menczer, il montaggio di Amedeo Giomini, le scenografie sono di Francesco Cuppini e i costumi di Giulia Mafai. Produce Armando Novelli per Cineproduzioni Daunia70, in collaborazione con Seven Star Film di Berlino. Interpreti: Jack Palance, Al Cliver (Pier Luigi Conti), Harry Baer, Edmund Purdom, Vittorio Caprioli, Gisela Hahn, Enzo Pulcrano, Roberto Reale, Rosario Borelli, Pietro Ceccarelli, Salvatore Billa, Peter Berling, Raoul Lo Vecchio, Giulio Baraghini, Enrico Palombini, Spartaco Battisti, Michele Branca, Agostino Crisafulli, Bruno Di Luia, Gilberto Galimberti, Nello Pazzafini, Marco Stefanelli, Sandro La Barbera e Franco Beltrame.
La pellicola racconta la storia di Tony (Baer), ex pugile agli ordini del piccolo boss napoletano Don Luigi (Purdom), che diventa amico di Ric (Cliver), un altro malavitoso di piccolo calibro. Un ottimo incipit – girato al ralenti – introduce un mistero che verrà svelato soltanto alla fine e che rappresenta il filo conduttore dell’intera trama. Vediamo il boss chiamato Lo Sfregiato (Palance) mentre uccide il padre di un ragazzino, un omicidio a sangue freddo compiuto all’interno della casa. Il bambino se ne rende conto, afferra la pistola e prova a sparare ma non ci sono colpi in canna, quindi viene schiaffeggiato dallo Sfregiato che lo deride. Il regista presenta il personaggio di Tony come un piccolo esattore dal cazzotto facile e le scene che si susseguono vanno avanti con la leggerezza della commedia brillante. La sua vita scorre all’interno di una bisca clandestina dove conosce il saggio e scanzonato Napoli (Caprioli) e un ragazzo scaricato dallo Sfregiato di nome Ric. La trama prende corpo quando Tony e Ric, con la complicità di un attore, mettono in scena una stangata ai danni dello Sfregiato, ricalcando la trama di un omonimo film che andava per la maggiore. Un finto controllo da parte della finanza procura ai due malavitosi la bella somma di dieci milioni di lire che Lo Sfregiato paga per evitare l’accertamento. Il tema portante è simile a Gli amici di Nick Hezard, dove un complesso orologio ai danni del boss prende lo spazio di un’intera pellicola. Ne I padroni della città, invece, serve soltanto da spunto per far vedere la reazione del boss che non accetta di essere fregato da due piccoli delinquenti. La stangata ai danni dello Sfregiato mette in crisi Don Luigi, che prima lascia la città e subito dopo viene ucciso dal suo braccio destro Beppe (Pulcrano) passato al nemico. Beppe si impegna a catturare Tony che viene identificato come il principale responsabile della truffa, ma Ric elimina il traditore e i due ragazzi si trovano contro l’intera banda. L’amico Napoli procura le pistole, dà buoni consigli e rischia di finire impiccato, ma la fa franca e si diverte a sbeffeggiare il boss da una cabina telefonica. Il terzetto di amici elimina uno dopo l’altro parecchi malviventi che Lo Sfregiato spedisce sulle loro tracce. Il finale è cinema di pura azione e si svolge tutto in un vecchio mattatoio dove il terzetto riesce ad attirare la banda dello Sfregiato. Le scene che seguono rappresentano un modello per il futuro cinema di Tarantino e danno vita a immagini di vendetta e massacro con un tono scanzonato da commedia brillante. La sola parte esclusivamente drammatica è il momento in cui viene svelato il mistero anticipato nelle immagini iniziali. Ric è il bambino che ha visto morire il padre. La sua vendetta ai danni dello Sfregiato è terribile perché lo fa morire lentamente sparando più colpi nei punti non vitali. I tre amici sterminano l’intera banda dello Sfregiato e alla fine decidono di emigrare in Brasile, mentre la colonna sonora si trasforma in un ritmico samba e Napoli finge di ballare.
I padroni della città è una via di mezzo tra il genere drammatico e brillante, ma rispetto a Gli amici di Nick Hezard sono preponderanti le parti drammatiche. Si tratta di uno dei noir italiani più interessanti, visto che grazie a questo lavoro Tarantino ha definito il regista pugliese come il Don Siegel italiano. Di Leo incontra il mondo di Fassbinder, perché collabora alla sceneggiatura Peter Berling e c’è pure l’attore Harry Baer nei panni di Tony, un bullo di periferia dal cazzotto facile. La pellicola contiene alcune scene acrobatiche a bordo di moto, inseguimenti a piedi per le strade di Roma e situazioni da poliziottesco mai stereotipate. Pare che le scene di azione con la moto abbiano procurato incidenti agli attori e che Baer si sia infortunato con una scheggia in un occhio mentre girava una parte spettacolare. La pellicola è a basso budget, ma la genialità non ha prezzo e di Leo ce la mette tutta, inventandosi personaggi e situazioni che faranno da scuola per il futuro cinema noir. Sono molte le scene memorabili che introducono al genere noir brillante, prime tra tutte le credibili scazzottate che vedono protagonista Baer. Interessante una breve parte all’interno di un night che ricorda Milano calibro 9 e la scena con Barbara Bouchet che balla vestita di sole perle. Qui abbiamo una mulatta in abiti ben più discinti che viene inquadrata con la stessa tecnica della pellicola precedente e messa in evidenza da alcuni giochi di luce. Sono molti gli omicidi efferati realizzati con credibile messa in scena e giunge improvviso quello del boss Don Luigi, freddato da un colpo di pistola in fronte sparato dal suo braccio destro. Parti comiche stemperano i momenti drammatici, come un buffo inseguimento per le strade di Roma che si conclude con i malavitosi malmenati e uno arrestato per oltraggio a un vigile urbano. Ci sono alcune parti che ricordano la commedia all’italiana e persino la pochade, ma di Leo riesce ad amalgamare tutto in modo efficace. Un finale di pura azione ricorda il western all’italiana e le sfide conclusive tra buoni e cattivi, solo che siamo in un noir e il teatro della resa dei conti è un vecchio mattatoio. Di Leo realizza un affresco ironico e drammatico del mondo della piccola delinquenza proletaria e mostra verso i suoi protagonisti una certa umana comprensione. I padroni della città è molto vicino come tematiche e atmosfere alla Trilogia del Milieu e rappresenta una via di mezzo tra quelle pellicole e la comicità scanzonata di Colpo in canna e Gli amici di Nick Hezard. Il regista è in gran forma, la sua ispirazione si nota sia nella descrizione dei personaggi, caratterizzati in maniera forte e tridimensionale, sia nella descrizione dell’universo malavitoso. Di Leo racconta la piccola criminalità e lo fa con occhio benevolo, scrutando al suo interno con attenzione e sviscerando un mondo sconosciuto davanti agli occhi dello spettatore. L’ambiente della piccola delinquenza ruota attorno a truffe di pochi milioni, recupero crediti di poco conto e bische clandestine. Basta vedere la figura di Don Luigi, resa molto bene da Edmund Purdom, un boss di quartiere pauroso e perdente che finisce accoppato dal suo braccio destro. Gli attori sono tutti bravi, ma una segnalazione particolare la merita Vittorio Caprioli, attore immancabile nei film del regista pugliese. Il suo personaggio è molto lontano dalla figura del vero gangster napoletano, lui è un vecchio saggio che fa dell’ironia la sua arma migliore. Ricordiamo una sorta di lezione sulla nuova delinquenza che tiene ai due ragazzi ed è molto vicina alla interpretazione di Totò ne I soliti ignoti (1958) alle prese con gli apprendisti scassinatori. “Si perde il gusto a essere delinquenti. Non c’è più la cultura di una volta. Oggi fanno appena la terza elementare e vogliono fare i delinquenti. Sanno fare solo i rapimenti e poi non sanno cosa sia il riciclaggio. Un pernacchione li farei…”. Caprioli è il vero mattatore del film, stempera i momenti di tensione con battute ironiche e un’andatura originale che caratterizza il personaggio. Il finale è tutto suo: “San Gennaro a buon rendere! Perchè se non c’era lui a schifio finiva!”. Jack Palance è un grande attore e ci regala una delle sue migliori interpretazioni nei panni dello Sfregiato, gangster viscido, crudele e ambiguo. “Gli uomini che si fanno fregare non possono essere miei uomini” dice con un ghigno trucido a Ric quando si fa scoprire mentre bara. Al Cliver diventa il motore del film nella parte finale, quella che vive un crescendo di azione e che tanto entusiasma Tarantino. Tra lui e lo Sfregiato viene regolato un conto in sospeso che risale a molti anni prima. Harry Baer sa dare il giusto tono scanzonato al personaggio di Tony, giovane malavitoso di basso calibro, coraggioso ma a volte eccessivo. Recita un piccolo ruolo anche la bionda Gisela Hahn come cantante di night impegnata a interpretare una suadente Ti amo lo stesso di Silvano Spadaccino.
I padroni della città chiude un’epoca del cinema dileiano perché con questa pellicola esce di scenala Daunia 70, casa di produzione messa in piedi dal regista insieme a Tiziano Longo e alcuni amici che gli permetteva di esprimersi in totale autonomia,
Aldo Viganò afferma che il film meritava una maggior considerazione da parte dei distributori. Paolo Mereghetti lo definisce un noir picaresco con finale quasi tarantiniano e scene d’azione secche ed eleganti. Una segnalazione di merito va alla bravura del regista che secondo il critico milanese non si prende mai troppo sul serio, e fa male. Pino Farinotti, invece, parla di violenza fine a se stessa, ma concede due stelle.
Fernando di Leo confida a Nocturno Cinema: “Invece della grande delinquenza, in quel film trattai la piccola delinquenza, con un pizzico esistenziale di assoluzione, di simpatia: spesso in quel milieu tragedia e farsa si mescolano”. Negli Stati Uniti la pellicola è conosciuta come Mister Scarface e come Rulers of the City.
(17 – continua)