Avere vent’anni (1978)
Avere vent’anni (1978) occupa un posto particolare nella cinematografia di genere degli anni Settanta. Fa bene Antonio Tentori a classificarlo come un dramma erotico, perché ci troviamo di fronte a un lavoro cupo e sensuale a base di erotismo torbido e non rassicurante.
Vediamo la scheda tecnica. Regia di Fernando di Leo, che si occupa pure di soggetto e sceneggiatura, fotografia di Roberto Gerardi, scenografie di Francesco Cuppini, montaggio di Amedeo Giomini, musiche di Francesco Campanino. Prodotto da Vittorio Squillante per International Daunia Film. Distribuito da Alpherat. Interpreti: Gloria Guida, Lilli Carati, Ray Lovelock, Vincenzo Crocitti, Vittorio Caprioli, Licinia Lentini, Giorgio Bracardi, Daniele Vargas, Roberto Reale, Leopoldo Mastelloni, Serena Bennato, Daniela Doria, Raul Lo Vecchio, Fernando Cerulli, Camillo Chiara, Flora Carosello, Franca Scagnetti e Cindy Leadbetter.
La trama. Si comincia con un’inquadratura di una spiaggia dove un gruppo di giovani si sta svegliando per affrontare un nuovo giorno. Il regista non chiarisce il ruolo di quel gruppo di persone e le immagini servono soltanto a presentarci Tina (Lilli Carati) e Lia (Gloria Guida), due belle ragazze di vent’anni che si conoscono mentre fanno il bagno in mare. Il seguito della pellicola fa capire che il gruppo era una sorta di comune itinerante alla quale Lia era legata. Tra le due donne si instaura un buon rapporto e decidono di continuare insieme il loro viaggio senza meta. “Siamo giovani, belle e incazzate!” è il motto che ripetono spesso, come per dire che vogliono prendere dalla vita tutto quello che è lecito avere.
Notevole e indicativa di tutta l’atmosfera del film è la frase del romanziere e filosofo marxista Paul Nizan messa come preambolo: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che quella è la più bella età della vita”. Così come la colonna sonora (interpretata da Gloria Guida) che ripete ossessivamente il triste motivo come vivere vent’anni, non fa presagire niente di buono.
Tina e Lia fanno l’autostop e si confidano le loro esperienze (“In quel gruppo si faceva di tutto: balli di gruppo, noia di gruppo, ma non si scopava mai!”). A un certo punto si ferma una borghese a bordo di un’auto da trenta milioni che tra l’altro confessa di essere lesbica, fa la morale alle due ragazze e finisce per dare una piccola elemosina. Riceve una risposta sprezzante da entrambe e i soldi le vengono subito restituiti. Le ragazze hanno appetito, si mettono a rubare generi alimentari in un supermercato (una sorta di esproprio proletario) e con l’inganno si fanno offrire il caffè da un barista. Nel magazzino c’è anche l’occasione per fare un po’ di pubblicità che di sicuro serviva alla produzione del film (certo non ricchissima): Pejo, Petrus, Fernet Branca. Tutto in perfetta sintonia con il modo di fare cinema negli anni Settanta, stona solo per la valenza sociale e di protesta che contiene la pellicola. Surreale anche l’acquisto delle sigarette con Lilli Carati che offre un pompino in cambio di un pacchetto di Marlboro. Un imbarazzato commerciante prima non sa che dire e infine rifiuta. Tina e Lia decidono di aggregarsi a una comune retta da uno strano individuo detto il Nazariota (Vittorio Caprioli). Qui incontrano Rico (Ray Lovelock), un bel ragazzo di cui Tina si innamora ma che è completamente fatto perché usa droghe pesanti. Interessante il personaggio interpretato da Vittorio Caprioli, una specie di santone truffatore che dice “Pace e male” quando introduce un discorso ed sempre in cerca di denaro. “Qui si deve pagare una retta… le comuni sono una cosa superata… se non avete soldi pagherete, ci sono tanti modi per pagare…” dice. Accoglie le ragazze nella comune e le invita a trovarsi una sistemazione. Tina e Lia conoscono una ragazza madre che ha avuto un parto trigemellare, un individuo antipatico e fastidioso che si fa chiamare il Riccioletto (Vincenzo Crocitti) e un immobile Leopoldo Mastelloni che cerca di elevarsi verso la totale assenza di desideri terreni. Alla fine decidono di occupare proprio la sua stanza, visto che lui dà poco fastidio. Le ragazze per pagare la retta vengono convinte dal Nazariota a mettere in comune i corpi e a fare l’amore con chi lo chiede, pure se Tina non sembra d’accordo (“Ho voglia di scopare ma con chi voglio io!”). Infatti Tina comincia a vagare per la comune in cerca di qualcuno che faccia al caso suo, ma trova soltanto gente strafatta che a tutto pensa fuorché a fare l’amore. C’è soltanto il bel Rico (Ray Lovelock), anche lui drogato perso, ma ci pensa Tina a rimetterlo in sesto accarezzandolo e baciandolo a ritmo della sensuale canzone “Mi piaci” di Ornella Vanoni (“Mi piaci, mi piaci, mi piaci/ Dillo ancora/ Ti voglio, ti voglio, ti voglio/ Dillo ancora/ Tu mi fai volare…”). Questa è una bella scena erotica che precede un’altra parte sexy con protagonisti due giovanotti mandati dal Nazariota per fare l’amore. Le ragazze dopo qualche resistenza accettano e poi restano insoddisfatte perché i due pensano soltanto al loro piacere. “Andate spesso a puttane voi due?” domanda Tina piuttosto irritata. Tina e Lia si consolano da sole in una scena lesbica rimasta memorabile che purtroppo in alcune copie della pellicola risulta pesantemente tagliata. Il dvd rimasterizzato e messo in circolazione nell’estate 2004 presenta la versione integrale del film e se ne può consigliare l’acquisto. Il rapporto sessuale tra la Guidae la Carativiene sottolineato da un’altra canzone di Ornella Vanoni (“Il desiderio di avere/ il bisogno di dare…”) che accompagna baci e carezze saffiche. Si tratta della scena che Gloria Guida nell’intervista rilasciata a Pulici e Gomarasca per 99 Donne confessa di non ricordare.
Si riparte subito dopo con il motivetto come vivere vent’anni e le nostre disinibite protagoniste ballano scatenate in Piazza Navona e poi per tutta la città. L’intermezzo serve a introdurre una parte del film molto politicizzata con un regista che vuole girare un’inchiesta sui rapporti umani e sulla libertà nella comune. Tina viene intervistata e confessa che non voleva diventare una brava donna di casa e sentiva la verginità come un peso. Lei non sopporta i valori borghesi e non voleva vivere in una casa dove padre e madre erano due estranei. Lia confessa che non ha mai avuto una famiglia, ha vissuto sino a tredici anni in un orfanotrofio e non ha ricordi della sua infanzia. A sedici anni è stata assunta a servizio da una vecchia zitella che si faceva addirittura masturbare da lei. Dice che ha avuto qualche uomo ma che per lei uomo o donna fa lo stesso e il sesso non è importante. Su questo punto Tina e Lia hanno vedute opposte. Per Tina il sesso è fondamentale, dice che è una cosa che le spetta e quindi se lo prende dove lo trova. Il regista del documentario si lascia andare a una serie di considerazioni incomprensibili a base di marxismo e psicanalisi. C’è pure una specie di recita femminista contro l’uomo (un aborto da eliminare) che viene eseguita alternando raffinate scene erotiche con protagonisti Lilli Carati e Ray Lovelock. Si vede chiaro come la pensa di Leo ed è evidente la critica al femminismo e agli intellettuali che mistificano la realtà. A questo punto il Nazariota affida alle ragazze un lavoro abbastanza strano per una comune: vendere enciclopedie a clienti selezionati. Tina ha vita facile con il proprietario di una macelleria e pure con un professore moralista che parla bene ma razzola male, visto come si eccita quando la ragazza finge di essere attratta da lui e dal modo in cui pronuncia la parola cultura. Questa è una delle parti meglio riuscite del film. Lia si imbatte in una lesbica (pare un destino) che le offre denaro per fare l’amore. Per questo vorrebbe smettere di vendere libri, l’episodio le ricorda brutte esperienze del passato. La carriera di venditrici termina facendo l’amore con un pensionato che è rimasto solo in mezzo ai suoi libri.
Dopo questo episodio c’è una retata della polizia nell’edificio che ospita la comune e un maresciallo da burletta come Franco Bracardi indaga su di un traffico di droga e sull’asilo concesso a certi sovversivi. Si scopre pure che nella comune c’è un infiltrato della polizia pagato per spifferare quel che accade là dentro. Poi è lo stesso ispettore che fa mettere finta droga nella comune per poter godere dei fondi speciali assegnati dal ministero. Il maresciallo è un borghese violento e moralista che si lascia andare a considerazioni degne di estremisti di destra della peggiore specie (“I pacifisti sono i peggiori!”, “Tutta la gente che frequenta le comuni è sospetta”, “La droga è disordine”). La critica alla polizia è netta e decisa, soprattutto per il modo “fascista” con cui vengono condotti gli interrogatori, senza alcun rispetto per le persone. Alla fine fanno le spese di tutto le due ragazze che vengono obbligate con foglio di via a rientrare ai loro paesi che si trovano nel sud dell’Italia. Tina e Lia cominciano il viaggio con l’autostop e si fermano a mangiare in una trattoria di campagna. Qui si apre la parte più dura e importante della pellicola, quella per cui è diventata oggetto di culto ricercato da appassionati e collezionisti. Tina e Lia cominciano a ballare in modo provocante davanti a un juke-box ed eccitano un gruppo di malintenzionati. In un primo tempo è soltanto Tina che si mette a ballare mentre Lia addenta un panino, poi la segue anche la compagna. Vengono subito abbordate da due uomini che si avvicinano danzando, ma Lia per scoraggiarli ne colpisce uno con una botta al pene. La scena è lunga e provocante, le due amiche si baciano addirittura tra loro. Uno dei malintenzionati le afferra per un braccio e domanda quanto le devono pagare per scopare. Tina per tutta risposta tira fuori cinquantamila lire e le getta nel mucchio gridando: “Siete in dieci, fatevi una sega a testa!”. Secondo me con questa scena il regista vuol far capire che nella società contemporanea la donna non è libera di manifestare spontaneamente la propria sessualità perché l’uomo è sempre preda di bassi istinti. Le due ragazze lasciano la trattoria e dopo poco vengono aggredite nella fitta boscaglia dal gruppo di delinquenti. Le sequenze finali sono di un’inaudita e realistica violenza con gli uomini che picchiano con pugni e calci, toccano, colpiscono con schiaffi al volto e tirano i capelli con violenza. Infine spogliano le ragazze e le violentano a turno. Arriva pure il capo, un impotente che odia le donne e gode nel vederle soffrire. Tina si libera dalla stretta dei violentatori e si avventa su di lui brandendo un nodoso bastone. Il capo la disarma e la colpisce con violenza, quindi, dopo averle fatto ben divaricare le gambe, la impala con lo stesso bastone. Pure Lia viene uccisa con un colpo di bastone alla nuca. Tutto molto realistico e mentre campeggia la parola fine resta solo lo spettacolo terribile di due corpi privi di vita e i poveri resti abbandonati delle loro cose. Pare che del film esistano due versioni, una delle quali meno dura che non si conclude con il massacro delle protagoniste. Il finale lieto e spensierato è quello che tutti avrete visto nei frequenti passaggi notturni sulle reti televisive private. La censura lo imponeva e pure i risultati al botteghino della prima versione consigliarono una diversa chiusura. Resta il fatto che l’insuccesso commerciale va attribuito soprattutto alla carente distribuzione, visto che oggi gli appassionati ricercano la pellicola come oggetto di culto. Dopo aver visto il finale originale dobbiamo dire che il massacro delle due ragazze è angosciante, ma è girato con talento e crudezza di particolari.
Avere vent’anni è un buon lavoro, duro quanto basta, realistico e sconvolgente, girato con maestria da Fernando di Leo e ben recitato da Gloria Guida e Lilli Carati. Per quei tempi così bacchettoni rappresentò un vero pugno allo stomaco, indigeribile per palati abituati a un erotismo innocuo e patinato e a film senza spessore. Le due attrici sono entrambe alla prima esperienza con una pellicola importante che supera i canoni della commedia sexy e tutto sommato se la cavano bene. Di Leo riproduce l’atmosfera di un’Italia bigotta e intollerante, corrotta, piena di pregiudizi, antifemminista e retrograda. Sa fare un discorso politico senza essere né pesante né didascalico e giustifica bene un finale violento che tanto ha fatto discutere, ma che a ben vedere è dalla parte delle donne.
Memorabili le scene di amore lesbico tra Gloria Guida e Lilli Carati che la Guida(intervistata da Pulici e Gomarasca) sostiene di non ricordare. Addirittura dice di non ricordare niente di Avere vent’anni, di averlo rimosso e questo è un vero peccato perché si tratta di uno dei film più belli della sua carriera. Vero è che se fino ad allora le nudità di Gloria Guida erano sempre state molto innocenti e maliziosa in questa pellicola sono esposte per dar vita a un dramma torbido e inquietante.
Da ricordare anche la presenza importante di attori come Vittorio Caprioli, ben calato nella parte di un santone strano e truffaldino, Giorgio Bracardi (improbabile maresciallo di polizia), Leopoldo Mastelloni (immobile e meditativo nel suo abito da Pierrot triste).
Fernando di Leo in un’intervista a “Nocturno Cinema” dice di non ricordare con piacere il film. Secondo lui la Caratie la Guidacome attrici non erano attrezzate, ce la misero tutta per accontentarlo, dissero parolacce, recitarono scene erotiche tra loro e con gli uomini, ma qualcosa non carburava lo stesso, mancava l’erotismo, l’ambientazione era a livello di citazione e non si notava la trasgressione. Per di Leo Avere vent’anni, pur rimontato, resta un filmetto porno-sadico che fa acqua da tutti i lati e che dice solo cose vecchie e risapute. Colpa di una sceneggiatura e di una regia sbagliate almeno per il cinquanta per cento, a suo dire. Secondo me il maggior difetto del film consiste nella frammentarietà dei vari episodi che risultano staccati tra loro e privi di un filo logico portante. Si pensi ai passaggi bruschi che lo spettatore subisce dalla prima scena sulla spiaggia, alla comune, alla vendita di enciclopedie, per finire con la parte estremamente violenta che conclude la pellicola.
Di Leo è un autore di buon livello che pretende molto da quel che fa. Di conseguenza è critico all’eccesso nei confronti di un’opera che, pur avendo i suoi limiti, resta una pietra miliare del cinema di genere anni Settanta. Interessante il giudizio di Paolo Mereghetti che concede al film una stella e mezzo: una specie di pamphlet sulla fine dell’epoca della contestazione, tutt’altro che moralista (gli uomini ci fanno una pessima figura) ma molto al di sotto delle ambizioni.
(19 – continua)