UN POTERE ILLIMITATO
di Riccardo Vecchietti
I cavalli continuavano a nitrire, sembrava avessero intuito quali bui pensieri turbassero la sua notte insonne. Scalciavano, alcuni, sollevando zolle di terra umida e strappando l’erba coperta di rugiada. Nadac aveva abbandonato il suo comodo giaciglio quasi un’ora prima. Era certo che respirare l’aria fresca della radura potesse allontanare le sue preoccupazioni. Magari dargli modo di riflettere con più freddezza su ciò che lo attendeva il giorno successivo. Non impiegò molto tempo a capire di aver sottovalutato la sua inquietudine. Adesso si aggirava nervosamente per l’accampamento, mentre i suoi uomini, poco più di una dozzina, russavano sonoramente. Nessuno di loro, si disse, comprendeva a pieno quanto delicati fossero quei giorni. Portò le mani dietro la schiena ed inspirò a fondo, quindi chiuse gli occhi. Quando li riaprì il suo secondo, di guardia, lo fissava tradendo una nota di biasimo. Era un uomo prossimo ai quaranta, alto poco più di lui e decisamente più atletico. Aveva i capelli radi ed ingrigiti e due occhi verdi incavati nel fondo del cranio che sembravano poter vedere anche nella notta più buia. Era uno degli uomini che lo seguivano da più tempo, forse l’unico amico che avesse mai avuto. Gli andò incontro dicendosi che era ormai tardi per nascondere la sua agitazione.
- Notte insonne. – confessò quindi.
L’amico stringeva in mano un ramo dall’estremità annerita che usava come attizzatoio spostando distrattamente i ceppi di legno che ardevano al fuoco.
- Sono tempi bui per la capitale. – gli disse e a giudicare dalla sua espressione capì che qualcosa turbava anche lui.
- Sembra che il tuo inguaribile ottimismo se la sia data a gambe.
Non poteva che essere così. Il regno era sull’orlo di una guerra. I maghi tenevano in pugno il Re dall’alto delle loro Torri e tramavano per affrontare un nemico di cui pochi conoscevano l’identità.
- C’è forse speranza tra i tuoi pensieri?
- No, Claiat, quella è andata a farsi fottere insieme a tutto il resto. – confessò.
L’altro sorrise amaramente e riportò lo sguardo sulla legna che bruciava.
Nadac gli andò accanto, scostò il lungo mantello blu e sedette su un ceppo accanto a lui. Il fuoco prese a scaldargli il viso e le membra, fu una sensazione piacevole, ma non riuscì a godersela. Passarono alcuni minuti poi il suo secondo tornò a parlargli.
- Hai deciso? – Domandò
Claiat era il solo uomo a conoscerlo. Conosceva di lui pregi e difetti. Conosceva le sue debolezze e persino alcuni dei suoi demoni e dei suoi segreti. Era l’unico fra tutti i suoi uomini a comprendere pienamente il motivo per cui viaggiavano verso la capitale ed era il solo a conoscere la scelta dinnanzi a cui si trovava.
- No. Forse le cose si sistemeranno da sole.
Claiat arricciò le labbra in un’espressione avvilita. – Ne dubito. – ribatté.
Passarono il resto della notte in silenzio, svegli, fissando il fuoco e pensando al giorno dopo.
Nella città di Sornoor i tre rintocchi delle campane al tempio di Querk indicavano l’arrivo d’illustri stranieri. All’arrivo di un Re i tre rintocchi erano lunghi ed il tempo fra un rintocco e l’altro sembrava interminabile. Se invece arrivavano i signori delle province, i rintocchi erano più brevi e ravvicinati.
La gente dei sobborghi circostanti si limitava a dare uno sguardo lungo la strada principale della capitale. Osservava distrattamente i vessilli dei nuovi arrivati e tornava al suo lavoro. Qualcuno di tanto in tanto sputava in terra con disprezzo, digrignava i denti e poi con voce rassegnata ed una palese indignazione, affermava: “Fottuti nobili”.
Quel pomeriggio nessuno dei suoi uomini issò il vessillo del casato Terowyck e le campane non suonarono neanche una volta. Il suo arrivo sarebbe passato inosservato. Era questo il volere del Re e lui aveva subito compreso che quell’incontro sarebbe stato ancora più interessante del previsto. Sapeva di essere preceduto dalla sua fama. Era la fama del Lord senza scrupoli, dell’uomo di ghiaccio in grado di spingersi oltre le leggi del regno senza che il regno potesse nulla contro di lui. Una fama che certamente si nutriva dell’immaginazione del popolo, ma che aveva solide basi nella realtà dei fatti. Per questo era odiato dagli altri lord e nobili del regno. Sebbene poi gli stessi Lord e nobili finissero per chiedere il suo aiuto. Con un simile potere nelle mani, avrebbe potuto chiedere più oro e terre di quanto possedesse. Avrebbe potuto costruire castelli o ingrossare le file del suo piccolo esercito. Ma le cose che desiderava erano altre. Cose che la sua mente faticava a tenere lontane anche adesso mentre cavalcava fiero e guardingo lungo la strada che portava alla fortezza del Re.
Era fiancheggiato da uomini armati di spade e archi legati alle selle. Indossavano corazze di cuoio borchiate e gambali dello stesso materiale leggero. Ma era solo la presenza di Claiat, a tranquillizzarlo. L’amico fissava i massicci torrioni della fortezza di Sornoor e aveva l’aria di chi sta aspettando l’inizio della battaglia.
Giunti dinnanzi alla fortezza, ricordò quanto più piccola ed insignificante apparisse la sua residenza a confronto. Diede l’ordine di fermarsi ed ancor prima che qualcuno dei suoi uomini lo annunciasse i cancelli di ferro all’ingresso delle mura si alzarono. Una volta passati sentì il frastuono dell’argano che rilasciava le catene e il tonfo dei cancelli che si chiudevano rapidamente. Una guardia poco oltre chinò la testa salutandolo e indicò loro di proseguire.
Quando Nadac smontò da cavallo le porte del palazzo si aprirono e ne uscì un vecchio avvolto in una veste azzurra. Due guardie in armatura lo seguivano a pochi passi.
- Lord Terowyck il Re è ansioso di parlarvi. – disse
- Ansioso. – ripeté Nadac sorridendo senza vergogna.
Il vecchio abbassò lo sguardo senza rispondere e lui ne approfittò per fare un cenno al suo secondo. L’amico lasciò le redini del suo roano ad un altro uomo e si mise al suo fianco.
- Lord Terowyck, sapete bene quanto poco il Re gradisca la presenza di altri armigeri a palazzo che non siano uomini del suo esercito. – gli ricordò Dunio.
- Qui siamo tutti uomini del suo esercito. – ribattè Nadac.
- Certamente Lord Terowyck. – confermò l’altro perplesso. – faccio strada. – aggiunse facendo a sua volta cenno ad una delle guardie reali affinché li seguisse.
Una volta dentro il palazzo, Dunio li guidò rapido verso l’ala est. Nadac rimase affascinato dalle raffigurazioni scolpite tra le volte della grande sala d’ingresso. La storia di Sornoor era stata impressa con dovizia di dettagli non solo sulla grigia pietra, ma anche sulle variopinte vetrate dono dei nani nel secolo precedente. La luce morente del sole autunnale le colpiva accendendone i colori ed allungando le loro ombre contro le pareti.
Dopo aver attraversato una breve serie di corridoi, la loro guida si fermò dinnanzi ad una grande porta arcuata a due ante.
- Lord Terowyck, devo insistere perché il vostro uomo attenda qui. – affermò il vecchio con una certa risolutezza.
Nadac fece cenno a Claiat di fermarsi e Dunio aprì la porta invitandolo ad entrare. Quando le porte si richiusero alle sue spalle, avanzò nella stanza guardandosi attorno. Era esposta ad est e l’unica fonte di luce era un camino alla sua destra, in fondo alla stanza.
- Avvicinati Lord Terowyck. – Riconobbe la voce del Re ed avanzò. Dopo qualche passo lo vide. Sedeva su una piccola poltrona che a stento ricordava uno dei vecchi scranni della famiglia reale. Era un uomo ormai avanti con l’età. I capelli e la barba cominciavano a farsi più bianchi che grigi. Tuttavia il suo fisico non aveva ancora perso il vigore d’ un tempo e i suoi occhi erano colmi della stessa forza che vi aveva visto molti anni prima.
Nadac si avvicinò spostando lo sguardo dal fuoco che ardeva nel camino all’ampia balconata che dava sui giardini della fortezza. Il Re aspettò che si accomodasse, poi cominciò:
- Sono molti anni che non abbiamo occasione di incontrarci, e me ne dispaccio. A suo tempo abbiamo avuto piacevoli conversazioni. – osservò il re.
- Gentile da parte vostra Sire, vi ringrazio.
- Eri un prezioso discepolo alla vecchia accademia di Gusghen. – continuò il re. – “Un ottimo stratega ed un astuto avversario in più di un’ occasione” è così che vi ricordano tutti.
- Non credo che qualcuno mi abbia mai descritto in modo tanto lusinghiero, ma vi ringrazio ancora Sire.
Deriel Wort si alzò dalla sedia massaggiandosi nervosamente la folta barba. Era alla ricerca delle parole giuste, capì. Lo guardò percorrere la sala solo per tornare indietro al tavolo di noce, vicino al camino.
- Il tempo mi sta alle costole Nadac. – esordì lasciandosi alle spalle i convenevoli. Poi prese una coppa e si versò del vino da una brocca di terracotta. Fece per riempirne una seconda, ma si arrestò quando lui scosse la testa.
- So che ne sei al corrente. – proseguì.
Nadac fece del suo meglio per restare impassibile e gli prestò ascolto.
- Da anni ormai i nobili delle tre province si lasciano guidare dalla mano dei maghi. Questo non mi è mai piaciuto, lo sanno tutti. Tuttavia non ho mai vietato a nessuno di scegliere la propria strada. Anche qui nelle marche centrali, la torre di Granito si erge come simbolo di potere per il popolo Maghian. Gli antichi Re hanno creato questa alleanza, i miei avi l’hanno appoggiata e i miei predecessori l’anno rinsaldata. Eppure mi chiedo se, oggi, non sia un errore continuare ad affidare loro il destino degli uomini. – terminò sconsolato.
- I maghi sono sempre stati pronti a servire il nostro popolo. – osservò placidamente Nadac.
- Sempre si, ma sempre per un motivo. In principio hanno combattuto contro gli invasori per compiacerci. Poi ci hanno spinti contro le Torri rivali per potersi impossessare dei loro bottini. Quindi hanno sostenuto i Re in cambio di un posto nel loro consiglio. Adesso vogliono una guerra. Una dannatissima guerra in cui trascinare tutti noi. Una guerra che coinvolge tutto il Continente e che rischia di distruggere il mondo degli Uomini senza che esso possa mai trarne beneficio. – spiegò il re. – Questo è inaccettabile. Ho deciso di mettere fine ai loro giochi di potere. E per farlo avrò bisogno del tuo aiuto. – concluse bevendo avidamente dalla sua coppa. Quindi la riempì nuovamente e tornò a sedere dinnanzi a lui.
- Se sono qui, Sire, è chiaro che non è della forza militare che avete bisogno.
- No, infatti. – ammise – Sono vecchio Nadac, vecchio per poter montare in sella ad un fiero baio del Nord, o per impugnare una spada. Ma sono ancora abbastanza ingegnoso da poter fermare il mio nemico.
- Quindi sapete già come agire? – domandò.
- Oh si amico mio – disse il Re sporgendosi in avanti con impeto e versando goffamente il contenuto della coppa in terra. – Qualcosa di semplice per gettare i maghi nel caos il tempo necessario ad organizzare un nuovo consiglio.
Nadac scosse la testa senza nascondere le sue perplessità. Gettare i maghi nel caos non era un’imprese semplice.
- Ascoltami Nadac. All’interno di ogni Torre nelle terre degli uomini si nasconde la brama di potere. Essa a stento è tenuta sotto controllo e basta una goccia perché l’acqua trabocchi fuori dal vaso. Una sola goccia! – enfatizzò.
- Come? – domandò Nadac sinceramente incuriosito.
Il Re, infilò la mano destra all’interno della suntuosa tunica ocra e ne estrasse una piccola pietra rotonda di color vermiglio. – Facendo si che si azzuffino l’uno con l’altro come cani per un osso. – disse.
Nadac osservò la pietra. – Non tutti cederanno alla tentazione. – affermò.
- Ne basterà uno. – convenne il Re porgendogli la gemma.
- Cos’è? -
- Viene dalla loro Isola. Rubata dalle viscere del Monte Ghiaccio. Ha il potere di controllare la mente, qualsiasi mente.
Nadac raccolse la pietra. Per un breve istante sentì che pulsava di vita propria, ne rimase turbato e affascinato allo stesso tempo.
- Volete lanciarla in aria aspettando che si gettino su di essa?
- Non lo farò io. Ma tu. Conosci bene i maghi e loro si fidano di te. Sarai tu a parlare della pietra. Sarai tu a stuzzicare il loro appetito, a gettare l’esca.
Nadac sgranò gli occhi turbato. – Avete idea di quello che potrebbero farmi se mi scoprissero?
- Non ti scopriranno. – lo rassicurò il Re.
Nadac sospirò preoccupato, si mise in piedi e si avvicinò alla balconata. Aveva immaginato che il Re avesse in mente un buon stratagemma per contrastare i maghi, ma non si aspettava che fosse tanto buono.
Lui stesso aveva avvertito il potere di quella gemma. Se i maghi l’avessero vista non avrebbero resistito alla tentazione d’impadronirsene.
- Sarai ben ricompensato, te lo posso assicurare Lord Terowyck. So che per avere il tuo aiuto molti hanno dovuto cercare qualcosa di ben più raro dell’oro.
Nadac sorrise. La pietra rossa, capì, non era l’unica cosa trafugata dalle terre dei maghi.
- A chi avete affidato un compito tanto difficile come rubare una gemma sull’ Isola Maghian? – domandò.
- Ognuno ha i suoi segreti Nadac. – ribattè il Re.
Sembravano parole sue. Si voltò e sorrise senza farsi vedere. Immaginò che il Re fosse certo di averlo incuriosito abbastanza da ottenere il suo aiuto. I suoi occhi erano puntati su di se.
Non c’era altro da dire, era il momento di scegliere. Il momento di decidere cosa avrebbe riservato il futuro per gli uomini. Sentì dentro di se un’eccitazione che non aveva mai provato prima. Qualcosa che nessun amuleto gli aveva mai trasmesso. La consapevolezza di poter scegliere il destino di un intero regno.
- Perdonatemi Sire, temo di non poter adempiere ad una simile missione. – confessò.
- E’ il tuo Re che te lo ordina. Un Re che sa anche essere magnanimo.
- Essere qui mi ha già reso parecchio. – ammise Nadac scuotendo la testa e avvicinandosi al re.
- Questo cosa vorrebbe dire?
- Significa che avevate ragione a voler affidare a me un simile compito. Ma, per vostra cattiva sorte, non siete il primo ad aver richiesto i miei servigi.
- Cosa? – esclamò il Re incredulo.
Si mise in piedi con tanta velocità che il dolore alla gamba sembrò svanire. Nadac gli andò incontro fissandolo negli occhi, intensamente. Gli fu tanto vicino da sentirne il fiato saturo dell’odore del vino.
- Sono stati più veloci di te ed anche più convincenti. – confessò.
- I maghi. – intuì il re e una maschera di terrore gli dipinse il volto. – Cosa vogliono?
Nadac abbracciò il Re poggiandogli le labbra all’orecchio ed impedendogli di divincolarsi.
- La vostra morte Sire. – disse, quindi estrasse il pugnale dal fodero e glielo conficcò tra le costole. Sentì la sua vittima gemere per il dolore e subito dopo avvertì il sangue scivolargli caldo tra le dita.
- Nooo! – urlò il Re cercando inutilmente di divincolarsi. Nadac lo pugnalò ancora, e poi ancora. Il Re cominciò ad ansimare ed il suo respiro divenne un gorgoglio di sangue.
Le porte della sala si aprirono e la guardia reale gli corse incontro sguainando la spada. Nadac non si mosse e la guardia cadde in terra con il pugnale di Claiat conficcato nella nuca.
- Temo sire, che abbiate fatto male i vostri calcoli. – disse Nadac. Ma il Re non poteva parlare, i suoi occhi, vispi fino a poco prima, adesso erano spenti.
- Gli Uomini combatteranno. – aggiunse subito dopo Nadac, quindi lasciò che il corpo senza vita del Re cadesse in terra, mentre la sua tunica ocra si tingeva di rosso.
Gli uomini del Re cominciarono a combattere proprio in quella fredda sera autunnale. Alcuni erano morti senza neanche aver avuto la possibilità di capire cosa stesse accadendo loro. Altri più scaltri, quelli che avevano maggiore esperienza militare, avevano fiutato il pericolo già quando aveva fatto il suo silenzioso ingresso con quindici uomini armati fino ai denti.
Era a causa di quei veterani che il suo terrificante, diabolico piano stava per fallire. Non si era illuso neanche per un attimo di poter prendere la fortezza. Non ce l’avrebbe fatta con cento uomini, figurarsi con quindici. E in effetti non gl’importava più di quanto non gl’importasse dell’oro, delle terre e dei castelli. A lui interessava solo il potere. I Re non ne avevano. Per quanto potesse sembrare il contrario, essi erano marionette, burattini. Inconsapevoli di coloro che dall’alto delle loro torri tessevano ben più intricate reti, illudendoli di avere ciò che non possedevano. Lui avrebbe voluto essere uno di loro, ma non lo era. Eppure i maghi conoscevano il modo di soddisfare qualsiasi brama. Lui non aveva fatto altro che far coincidere i loro desideri con i suoi.
Quando Claiat aprì i portoni della fortezza contò cinque dei suoi uomini in terra, gli altri non avrebbero tardato a fare la stessa fine. Combattevano con onore e con insospettabile ardore, ma fin dall’inizio gli era stato chiaro che non avrebbero avuto scampo.
- Fa ciò che devi ed andiamo via di qui. – gli disse l’amico impugnando la spada per fermare l’arrivo di due armigeri.
Il primo ad attaccare fu quello di destra. Claiat estrasse spada e stiletto e cominciò ad usarli per parare e colpire. Gli uomini del Re infierivano rabbiosi, e lui usava la loro forza per sbilanciarli; parava con la spada e girava loro attorno. Il primo a perdere l’equilibrio fu un giovane dagli occhi chiari. Claiat gli conficcò lo stiletto appena sotto la gorgiera dell’armatura. Il secondo invece era un agile schermitore, combatteva con grazia, ma era altrettanto inesperto. Claiat lo infilzò tre volte, sempre con lo stiletto, all’altezza delle giunture dell’armatura. Prima alla spalla destra con cui affondava i colpi, poi alle ginocchia. Una volta in terra gli sollevò il mento mettendosi alle sue spalle ed esponendo la gola alla sua lama. Un attimo dopo il sangue fiottò in terra nero come la notte.
- Ne arriveranno altri se non ci diamo una mossa. – insistette l’amico.
Nadac infilò una mano nella tunica e ne estrasse un bracciale di metallo. Aveva la forma di una mano, scura e opaca. Focalizzò tutta la sua attenzione su di essa. Lentamente le grida dei soldati si fecero più basse, il cozzare delle spade divenne un rumore sordo. Alla fine chiuse gli occhi e tutto sparì. Un istante dopo sentì che la gelida mano di metallo gli afferrava il braccio con forza. Riaprì gli occhi e cominciò a recitare l’antico rituale che gli era stato insegnato. La lingua era quella Maghian. Agitò la mano libera per aria disegnando un cerchio. La presa della mano metallica divenne sempre più forte, bruciandogli la pelle. Infine comparì una luce biancastra dipingere un cerchio li dove lui continuava a tracciarlo con la mano.
- La porta è aperta! – urlò chiamando a se l’amico.
Claiat si voltò verso di lui mentre altri armigeri gli andavano addosso. Solo tre dei suoi uomini erano in piedi. Presto sarebbero caduti anche loro. Li aveva condannati tutti a morte. Dai bastioni cominciarono a piovere frecce. Claiat gli mise un braccio intorno alla spalla e lo fece voltare verso la porta di luce. Udirono il clangore delle armature avvicinarsi, ma stavolta il rumore proveniva dalle porte del palazzo.
- Prendetelo vivo! – era la voce rabbiosa di Dunio.
Nadac sorrise amaramente. Se solo avessero saputo, se solo avessero potuto capire.
- Andiamo - disse e spinse Claiat nella porta di luce. Tre guardie si scagliarono contro di lui discendendo i gradini alla base del palazzo. Dunio uscì all’aperto in quell’istante. Il suo volto indignato fu stravolto dall’ incredulità. Capì immediatamente a cosa pensava:
“Come può un uomo usare il potere Maghian?”
Per un istante sentì lo sguardo del vecchio cadere impaurito su di se. Quello era un aspetto della magia che da sempre lo affascinava: il potere di incutere la paura. Dunio doveva sapere che la magia era opera sua, doveva sapere che Nadac Terowyck possedeva il potere che il suo Re aveva tanto temuto in vita. Poi voltò le spalle alla capitale lasciando i nemici dietro di se. Entrò nel portale e quello collassò alle sue spalle in una esplosione di luce.
Fu come attraversare la soglia di casa. Un passo, poi l’altro e la porta svanì dietro di se. Si guardò attorno, tutto era andato a finire come doveva. Si concentrò per un istante escludendo il mondo dalla sua mente e si liberò del bracciale a forma di mano. Si guardò attorno, Claiat era venti passi più avanti li dove cominciava il bosco. Gli dava le spalle fissando il lago colpito dai riflessi di luna. Immaginò che l’amico stesse rimuginando su quel che avevano fatto. Forse era solo il rimorso per gli uomini perduti, o magari paura per quel che sarebbe venuto dopo. Probabilmente non capiva ancora cosa era stato messo in moto quella notte.
Non ebbe tempo di parlargli. Dall’impenetrabile oscurità del bosco un ombra si fece avanti e prese forma umana mettendosi tra loro. Era un mago.
- Il Re è morto. – annunciò Nadac.
Quello rimase immobile per un istante, sembrò che la cosa lo lasciasse indifferente.
- Ecco quel che hai chiesto. – disse dopo, porgendogli un rotolo legato con un nastro verde. – I Neviantani sono una razza pericolosa Lord Terowyck. So perché li cerchi, ma devo avvisarti: E’ a causa loro che i maghi condurranno gli uomini alla guerra. Ti consiglio di tenertene lontano quanto più a lungo ti sarà possibile.
Nadac raccolse il rotolo dalle mani del mago. Rimuginò un istante sulle sue parole, ma quello gli aveva ormai voltato le spalle tornando ad essere un’ombra tra i boschi.
Srotolò la pergamena eccitato e Claiat si avvicinò incuriosito. Era una mappa. Indicava la dimora di un antico popolo. Il popolo che custodiva l’illimitato potere noto ovunque come Magia.
- Neviant – bisbigliò.
Claiat lo fissò stupito.
- Credevo fosse solo una leggenda. – ammise.
- Non lo è. – chiarì lui soddisfatto.
Poi arrotolò la pergamena e si gustò l’espressione incredula dell’amico.