ANCHE GLI DEI DEVONO MORIRE
di Sandro Degiani
Che fatica… e che puzza…..!
Con il passo malfermo e claudicante che gli derivava da quelle ridicole gambe da caprone a malapena celate dagli ampi pantaloni, Pan arrancava lungo il sudicio muro di mattoni verso la sua meta.
Da quanti secoli non calcava più il suolo della Terra? Non se lo ricordava bene… forse era stato in occasione di quelle feste baccanti a Versailles? Ma allora la Terra era un luogo verde, idilliaco, fiorito. Dame vezzose, Ninfe procaci, Baccanti voluttuose lo circondavano mentre suonava il suo flauto in una danza sempre più convulsa ed erotica.
Ultimi ricordi di una esistenza infinita…. non ricordava come fosse cominciata ma ricordava che era durata per sempre. Fino ad oggi.
Fece girare gli occhietti puntiformi attorno e vide solo squallido, grigio cemento, osceni graffiti dipinti sui muri, cumuli di maleodoranti rifiuti e un interminabile fila di auto parcheggiate ai lati del marciapiede.
Certo che la periferia di una metropoli era un posto strano per un Dio…. ma era un pellegrinaggio dovuto, anzi imperativo. L’ultimo suo adoratore stava spegnendosi in un Ospizio per Poveri e lui doveva, voleva, essere là per il momento del trapasso.
L’ultimo.. la parola continuava a girargli nella testa… erano stati moltitudini solo pochi secoli prima.. che cosa era successo? Come era potuto succedere?
La divinità che stava a presidiare la naturalità, l’istintività dell’eros come poteva non trovare più adepti in un mondo di sette miliardi di persone?
Eppure stava accadendo, era accaduto! Il mondo era diventato un posto dove i sentimenti, anzi gli istinti se venivano a galla avevano ben poco da spartire con l’Eros e la naturalità.
Anche se era il Dio dello Stupro, Pan aborriva la violenza fine a se stessa e la crudeltà, per lui lo stupro era il semplice soddisfacimento di un bisogno primario, lo sfogo di una pressante pulsione sessuale. Era una masturbazione portata a termine in due.
Ma non era la prevaricazione, l’annullamento della personalità e della volontà dell’altro.
Non era il modo di affermare il proprio ego e il proprio dominio. Era un gesto naturale… magari pregno di malizie e di sottointesi, ma mai crudelmente violento.
Invece oggi lo stupro non finiva mai con una ninfetta ansimante e scarmigliata con le gote arrossate dalla passione e dal pudore, ma finiva in un omicidio il più delle volte efferato e sadicamente portato a compimento.
Se uno voleva stordirsi, la musica del suo flauto e la danza sfrenata con le Baccanti erano più che sufficienti a portarti in alto tra le nuvole… e quando crollavi sfinito una bella dormita sistemava tutto.
Oggi pillole multicolori e polverine donavano ai mortali minuti o ore da Dio, per poi precipitarli negli inferi. Come può ancora voler vivere da uomo che ha vissuto anche solo un istante da Dio..?
Lui non si sarebbe riuscito e capiva benissimo il motivo per cui gli uomini che quando l’effetto dell’ultima dose di droga svaniva si buttavano da una finestra.
Il mondo era cambiato.. troppo..!
E mentre questi pensieri di un passato glorioso contrapposti ad un presente ignobile e squallido continuavano a girargli nella mente, Pan arrivò davanti all’edificio che era la sua meta.
Squallido ed austero come una caserma, l’Ospizio schierava una imponente facciata a tre piani con una infinita sequenza di piccole finestre tutte uguale tutte ugualmente serrate fino ad un palmo di altezza da saracinesche marroni.
Un imponente portone di ingresso con cinque scalini di travertino che un tempo doveva essere stato bianco era piazzato proprio nel mezzo della facciata.
Saltellò per superare gli scalini come se fosse un passo di danza… era quasi impossibile con quelle ridicole gambe salire degli scalini.
All’ingresso una guardiola in legno con alti e spessi vetri verdastri dietro la quale sonnecchiava un uomo con addosso un specie di uniforme grigia con berretto.
Si accosto al bancone e si schiarì leggermente la gola…
Il portiere sollevò lo sguardo verso di lui e chiese:
“ … desidera? Cerca qualcuno?”
“Si, mi scusi… è un vecchio amico molto malato… non ricordo il cognome, ma solo il nome… Vittorio… era uno a cui piaceva molto lavorare nel verde… amava le piante…”
“Oh, il nostro vecchio giardiniere… non può essere che lui… aveva piazzato persino la statua di un caprone in mezzo alla fontana che zampillava l’acqua dal piffero..”
“Non era un caprone era il Dio Pan! …e non era un piffero ma un flauto!” rispose stizzito il Dio dando un calcio alla guardiola per scaricare la rabbia….
“Ehi , non mi sfasci la portineria….! Lo trova nella stanza 235, al secondo piano… corridoio a destra delle scale, ma con le sue gambe storte è meglio che prenda l’ascensore..”
Pan ringrazio e inghiotti questo ultimo boccone amaro… non gli era risparmiato proprio nulla… anche il dileggio e lo sberleffo finale… gli salirono agli occhi lacrime di rabbia e di commiserazione per se stesso.
Ancora un poco, ancora pochi passi e poi tutto sarebbe finito… ma finire così… non lo avrebbe augurato al peggiore dei suoi nemici.
Ancora un sofferenza, ancora un lungo corridoio dalla mattonelle bianche e rosse e lo zoccolo grigio lucido ad altezza d’uomo. Ed infine la porta della stanza 235.
Socchiuse la porta e guardò dentro nella penombra. Dapprima non vide quasi nulla, poi gli occhi si abituarono e vide i due letti accostati alla parete opposta, di cui un occupato.
Si chiuse la porta alle spalle, avanzo fino a fermarsi accanto al letto, poi si tolse il cappello a cencio che copriva le corte corna luciferine e lo posò sul letto accanto.
Lasciò che un lungo commosso ed amorevole sguardo abbracciasse il rinsecchito corpo del vecchio che a malapena increspava le lenzuola.
Le mani ossute erano distese lungo i fianchi e la testa era sostenuta e sollevata da due cuscini.
Due sottili tubicini uscivano dalla parete e si infilavano nelle narici.
Un trespolo cromato era accostato al letto e da una sacca con un liquido giallognolo un lento gocciolio era incanalato in un tubo che finiva in un ago infilato nel braccio destro.
Nessun rumore entrava in quella stanza… se non fosse stato per la constatazione che lui esisteva ancora, Pan avrebbe pensato di essere in presenza di un cadavere.
Il petto del vecchio sollevava impercettibilmente, i peli delle narici fremevano attorno ai tubicini dell’ossigeno. La scintilla della vita non si era ancora spenta!
Estrasse dalla tasca un vecchio e malconcio flauto, lo porto alle labbra e intonò una lenta e struggente melodia.
Il vecchio parve riscuotersi, la testa si mosse girandosi da una parte e dall’altra come per cercare da dove provenisse il suono.
Pan riprese la melodia, la portò avanti con un ritmo sempre più vivace, più scandito fino a farne quasi una tarantella, poi lentamente e dolcemente la sfumò di nuovo fino a farla finire in una dolce lunghissima nota che parve restare immobile nell’aria per ore.
Il vecchio aveva lo sguardo attento e vigile, ma non lo vedeva. La cateratta oramai aveva spento la sua vista per sempre.
Si accostò all’orecchio del vecchio e ripetè sottovoce le parole che il suo ultimo sacerdote pronunciava quando lo invocava, quando proclamava il suo Credo a orecchie sorde e menti distratte.
“La via di Pan è questa: lasciati guidare dalla natura anche dove la natura “là fuori” è scomparsa. Riascoltiamo il nostro corpo quando ci dice “si” o “no”, “lascia andare” oppure “vai”.
“Pan… sei tu, Dio mio..?” sussurrò il vecchio alzando l’acquoso sguardo delle sue pupille spende ed opache.
“Si mio caro…. sono proprio io… Pan!”
“Quante volte ti ho invocato, pregato, maledetto…. ed adesso sei qui, accanto a me… “
“Ed io ti ho sempre ascoltato, ho sempre cercato di esserti vicino ed adesso lo sono davvero..”
“Mi puoi aiutare…?
“No… nessuno può aiutarti se non a morire… ed io ti aiuterò accompagnandoti nell’estremo viaggio!”
“Andremo assieme…?”
“Si mio vecchio fedele adoratore… andremo per sempre insieme la’ dove vanno gli Dei quando anche la loro esistenza finisce…!”
E stringendo la mano ossuta del vecchio, più per darsi coraggio che per darne, Pan, il Dio delle Selve, chiuse per sempre le palpebre.