Una sceneggiatura di Fernando Di Leo
Ognuno per sé di Giorgio Capitani
Ognuno per sé (1967) è un film di cui giustamente il regista Giorgio Capitani e George Hilton, uno degli interpreti, vanno fieri. Anche il regista Tonino Valerii lo ama con tutto il cuore, considerandolo non a torto uno dei migliori western italiani. Secondo il critico Marco Giusti e il co-sceneggiatore Augusto Caminito [1], di Leo non sopportava che i suoi script fossero filmati da altri registi. Il film crea comunque uno spazio-tempo immaginario, che è complementare alle gesta dei personaggi. Sam Cooper (Van Heflin) e il figlioccio Manolo (Hilton) si contendono un carico d’oro con Brent il biondo (Klaus Kinski) e Mason (Gilbert Roland). L’epilogo sarà amaro per tutti.
Tre anni dopo il suo debutto registico (Gli eroi di ieri, oggi e domani, 1964) di Leo firma una delle sue sceneggiature più belle, che soverchia per complessità delle dinamiche psicologiche la pur notevole regia di Capitani. Regia e sceneggiatura possiedono una linearità da manuale, dove la logica dell’accumulo psicologico fa esplodere letteralmente lo spazio western in una miriade di passioni.
La finzione metabolizza un altro luogo topico del western: la parentela instauratasi fra Sam e Manolo. Adesso Sam è un avventuriero crepuscolare, mentre il secondo un giovane sbandato ora votato al Male e al furto. Si spostano da una parte altra della prateria. Ed è magnifico il modo con cui viene filmata la paralisi dei sentimenti, quando Sam percepisce il tradimento del figlioccio. La tentazione di innescare la miccia dell’azione si trasforma in pura inquietudine Pertanto la collaborazione fra gli attori e il regista non è mera esaltazione del machismo dello spaghetti western: nel West dileiano non assistiamo alla morte dell’eroe classico americano. Ma alla scomparsa piuttosto di tre carogne che l’avidità ha reso capaci di reazioni cieche e incontrollate. Emerge pertanto un senso incredibile dell’eroismo. La sofferenza dell’amore deriva anche dall’impossibilità del confronto diplomatico fra Sam e Manolo. Degli eroismi restano solo fantasmi e gli ammiccamenti. Il film del resto è intitolato a lui: Sam è un “duro a morire”, impegnato in una vera e propria martirizzazione dell’eroe, immolandosi per la “roba”. L’eroismo di Sam è argomento assai poco trionfalistico, come accade spesso nei western nostrani ossia pura mimetizzazione della forza. Lo spleen dell’eroe non è mai rinnegato, e lo spirito talvolta picaresco non disperdono l’amore per mito. In questa senso Ognuno per sé è un film, dove a di Leo interessano oltre alle atmosfere, alle strutture narrative e le regole di sceneggiatura la centralità maschile che rivendica un’alterità di una percezione del mondo, capace di affrancarsi dalla consistenza del personaggio femminile.
La cosa più sconcertante del film è che la dimensione del tempo appartiene alla cattività claustrofobica. Cooper percorre ossessivamente gli spazi claustrofobici e invariabili dell’azione, dove di cadaveri ne ha disseminati non pochi. In questa prospettiva si pensi al supporto dei dialoghi, di come diventino organici al personaggio. Sembrano scritti da autori noir come Edward Bunker e il solito James Ellroy. L’atipicità di questo film risiede anche qui, a dimostrazione che le sue azioni funamboliche non raccontano solo una base teorica, ma si concentrano su un’umanità interessante per perseguire i propri fini. Il sincretismo culturale coniugato con l’arte di combinare materiali autoriali e spettacolari è una delle principali componenti del B-movie italiano, e in questo risiede la sua originalità rispetto ad altro cinema prodotto dalle majors.
Gli (anti) eroi western di Ognuno per sé sono sospesi su una linea d’ombra fra il dentro e il fuori del mondo, tra la normalità, tra la paura e il desiderio della vita. Il punto di partenza del film non si discosta da un canovaccio abusato: quella del racconto a struttura centripeta in un microcosmo incluso dello spazio del selvaggio West, dove convergono eroi e criminali. Ma per Sam quello che conta realmente è l’incontro con un passato criminale, con cui non voleva integrarsi. Capitani è narratore oggettivo. La figura dell’eroe è smitizzata, Sam è orfano di qualsiasi appiglio affettivo dopo il tradimento di Manolo. Di Leo comincia a imporsi come maverick nel sistema del cinema di genere italiano, in quanto anticipa una cifra autoriale riconoscibile, che sarà ottimizzata per estetica e tematiche nei suoi film successivi.
(24 – continua)
Fabio Zanello
[1] Marco Giusti, Dizionario del western all’italiana, Oscar Mondadori, Milano 2007, p.334