Per noi che scriviamo su una fanzine online che si richiama al titolo di un bestseller di Stephen King sentirci dire da Niccolò Ammaniti, che: “King è un maestro che ho letto e riletto mille volte per capire quali sono i segreti della scrittura” non può che riempirci di piacere. Abbiamo raccolto la dichiarazione del celebre scrittore romano, Premio Strega nel 2007 (con il romanzo Come Dio Comanda – Mondadori), al termine di una mattinata a dir poco fantastica per lo stesso Ammaniti. Infatti, lo scorso 18 gennaio l’Università degli Studi di Foggia in occasione della cerimonia di apertura del diciottesimo anno accademico gli ha conferito, visti i suoi grandi meriti letterari, la laurea magistrale honoris causa in Filologia, Letterature e Storia.
E così, dopo scrittori di fama come Raffaele Nigro e Dacia Maraini, cui l’Ateneo foggiano aveva concesso negli anni scorsi l’ambito titolo accademico, è stata la volta di Niccolò Ammaniti il quale è stato felicissimo di ricevere la laurea ad honorem anche perché, come ha avuto modo di dichiarare alla stampa, aveva interrotto gli studi di Biologia alla Sapienza di Roma per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Tale mancanza in un certo modo gli pesava, era un traguardo non raggiunto, ma oggi la stessa scrittura, per la quale aveva lasciato l’Università, gli ha restituito tutto.
L’avvenimento ha visto la partecipazione di tutto il corpo accademico, delle autorità civili e militari in una sala gremita di studenti, lettori e semplici cittadini. Tanti poi i giornalisti della carta stampata e onLine e della televisione presenti a testimoniare l’evento, e.…c’eravamo anche noi de La Zona Morta.
Tra gli interventi da citare quello del magnifico rettore Maurizio Ricci che ha anzitutto relazionato sul positivo momento che sta vivendo l’Università di Foggia. Infatti, dai dati 2016 de Il Sole 24 Ore risulta il secondo migliore Ateneo statale del Mezzogiorno (al trentunesimo posto in Italia), con un incremento di immatricolazioni nell’ultimo anno accademico pari al 35%. Il rettore è quindi passato all’autorevole presenza di Niccolò Ammaniti, scrittore contemporaneo del nostro Paese tra i maggiormente letti e tradotti all’estero, tanto che il famoso romanzo Io non ho paura (Einaudi) ambientato tra le campagne pugliesi e lucane è stato tradotto in oltre cinquanta nazioni; inoltre dai suoi libri sono stati tratti film di successo. Il rettore ha evidenziato che, dopo quello organizzato con un altro scrittore italiano di valore come Roberto Saviano, “l’incontro odierno è un ulteriore grande privilegio che l’Università di Foggia ha concesso alla propria città”.
Facendo riferimento all’ultimo romanzo di Ammaniti dal titolo Anna (Einaudi) pubblicato nel 2015, Ricci ha fatto presente che il testo si traduce in un monito all’uomo. In questo romanzo, ambientato in un prossimo futuro catastrofico, che narra le peripezie di un gruppo di ragazzini sopravvissuti a un virus mortale, lo scrittore affida la salvezza dell’umanità agli uomini del domani. In proposito rispondendo a una nostra domanda su quanto fosse importante la parte fantascientifica in Anna, Niccolò Ammaniti ha affermato: “Molto, è una premessa. Poi la storia tratta di adolescenti. Mi volevo allontanare dal genere”. Nel suo intervento il direttore del Dipartimento di Studi Umanistici, Marcello Marin, ha spiegato le motivazioni che hanno portato al conferimento della laurea a “uno degli scrittori – ha affermato Marin – che meglio rappresenta la narrativa italiana. Dagli esordi di Branchie ad Anna le sue sono storie attraversano la realtà, il passato, il presente sino a un futuro apocalittico. Ammaniti ha sviluppato un percorso che ha attraversato varie forme e stili differenti sempre in crescita che lo hanno portato al successo anche nelle trasposizioni cinematografiche di opere riuscite come Io non ho paura”.
Il prof. Domenico Defilippis, ordinario di Letteratura Italiana, ha quindi tenuto una relazione dal titolo La narrativa di Niccolò Ammaniti: storie universali di uno scrittore del nostro tempo. Defilippis ha evidenziato che nelle prove più riuscite l’autore elabora storie ricche di emozioni con una scrittura fascinosa. Nel romanzo d’esordio Branchie (Einaudi) sono presenti venature horror e fantascientifiche; nella raccolta di racconti Fango (Mondadori) accanto al fiabesco si ritrovano le vicende di una umanità derelitta come quella contenuta in L’Ultimo capodanno, dal quale è stato tratto il film con regia di Marco Risi.
Mentre in Io non ho paura, accanto allo stupendo paesaggio assolato dei campi di grano vi è la discesa nelle trame oscure delle nostre profondità. E ancora, orrore e compassione si prova in Come Dio comanda, in cui i protagonisti sono rappresentati da un’umanità che vive ai margini della società. In Io e te (Einaudi) l’autore torna alla vita esistenziale con personaggi affini a quelli delle storie di Stephen King ma anche a quelli contenuti nei fumetti di Tex Willer. Mentre in Anna riaffiora l’immaginario pulp e distopico, ai confini del fantascientifico.
Alla relazione del prof. Defilippis è seguito, il momento solenne della consegna della pergamena da parte del rettore Maurizio Ricci a un Ammaniti che è apparso legittimamente emozionato. Il conferimento si è concluso con un lungo e scrosciante applauso. E’ stata quindi la volta della lectio magistralis del neodottore, il quale ha anzitutto ringraziato il rettore e tutto il corpo accademico per l’onore che gli è stato attribuito. “Ho scritto sette romanzi e un centinaio di racconti. La scrittura è un dono con il quale si nasce e che io ho coltivato leggendo e rileggendo tanti libri, ma anche mettendomi nelle scarpe degli altri per calarmi nei mondi e nei panni altrui. Inventare una buona storia è complesso e snervante, occorre un progetto. Io uso la tecnica della montagna, mi immagino di essere a valle e cerco di intravedere il percorso. Ma si tratta di un percorso di massima perché bisogna capire quando occorre lasciarlo. Inoltre, per scrivere ci vuole l’urgenza del narrare una storia necessaria”. Sono queste le regole basilari che Niccolò Ammaniti segue nella sua scrittura. E’ poi passato a parlare al suo fortunato romanzo Io non ho paura, dal quale è stato tratto l’omonimo fortunato film diretto da Gabriele Salvatores. Lo scrittore Premio Strega ha descritto com’è nata l’idea della trama, mentre viaggiava attraversando la distesa del Tavoliere delle Puglie con un orizzonte disseminato di frumento. A un certo punto si è fermato ed è sceso dall’auto per fare delle foto e c’era una strada bianca che proseguiva verso l’interno, mentre, nei campi, i grilli cantavano. “Allora – ha continuato – ho immaginato dei ragazzini in canottiera, erano bambini degli anni ‘70 e avevano i pantaloncini di spugna, andavano in bici tra i campi e giocavano a pallone nella polvere. Ecco, ho provato a mettermi nelle loro scarpe anzi nei loro sandali. Il mio protagonista doveva affacciarsi all’adolescenza ma doveva avere i piedi ben piantati nell’infanzia. Da lettore ho amato da morire certe figure di adolescenti raccontate da Stephen King che probabilmente sono state la spinta alla mia scrittura e sulle storie dello scrittore del Maine ho plasmato i miei adolescenti. E’ stato Stephen King, insieme a Emilio Salgari e Mark Twain a farmi intendere che esiste un linguaggio universale di sentimenti, il prototipo di tutti gli adolescenti che si affacciano al mondo degli adulti con intelligenza e prontezza per divenire uomini veri”. Lo scrittore romano ha quindi fatto riferimento a Stand By Me (Racconto di un’estate), film di Rob Reiner, tratto dal racconto di Stephen King The body (Il corpo), contenuto nella raccolta Stagioni diverse. “Le amicizie cominciano dall’infanzia – ha continuato Ammaniti – e King racconta in maniera magistrale quell’età in cui non si è né carne né pesce. Dove i sentimenti sono immensi e capaci di schiacciarci. Tutti i lettori non potranno non ritrovare la propria adolescenza nelle parole del grande scrittore americano. I piccoli protagonisti affrontano sfide enormi con i pagliacci che vivono nelle fogne, nazisti che si camuffano, le invasioni di ragni. Gli adolescenti di Stephen King sono magici capaci di spostare gli oggetti e accendere fuochi con la forza del pensiero. Egli racconta l’orrore che esiste dietro le cose nelle piccole città di provincia. Solo gli adolescenti con il loro bagaglio di incertezze e di passioni dispongono di cuori immensi, di slanci solitari, sono lontani dall’età degli adulti e dalla fantasia dei bambini. Possono essere cattivissimi ma sono anche capaci di non risparmiarsi per un amico”. E a questo punto è tornato a fare riferimento a Io non ho paura nel quale un adolescente degli anni ’70, nelle campagne abbacinanti del Sud Italia deve sconfiggere i cattivi e si trova a osservare per la prima volta i genitori con occhi diversi, con gli occhi dell’adulto. “Nel libro – ha aggiunto – volevo che il mio protagonista si formasse una morale. Infatti, è proprio tra i quindici e i diciotto anni che si pongono le basi morali di chi saremo. Quanto conta il pensiero del gruppo in cui stiamo a quell’età e quello che ci hanno trasmesso i nostri genitori e soprattutto quanto conta chi siamo? La propensione al bene e al male sono tutte domande che si sono posti i grandi autori nei romanzi di formazione come Jack London, Charles Dickens, Elsa Morante, Robert Stevenson. Io dovevo scavare nel nostro passato nella nostra storia, avevo bisogno del buio. Avevo bisogno di un mondo di campagna, assolato di giorno e immerso nell’inchiostro nella notte. Di un buco profondo e lì doveva esserci un ragazzino rapito perché una delle grandi paure che avevo da piccolo (ma chi da piccolo non ha mai avuto tali paure?, ndr) era di essere rapito e negli anni ’70 di rapimenti di ragazzini ce ne erano tanti”.
Sono tutte paure ed emozioni che Niccolò Ammaniti ha descritto nella sua narrativa traendo le storie anche dalla cronaca nera, nella convinzione che uno dei compiti della letteratura è proprio quello di scavare nei territori d’ombra, cercare e raccontare il mostro e, anche, rivelare come questi ci somigli e possa essere in ognuno di noi. Conclusa l’interessante lectio magistralis, intanto che faceva le foto ricordo con gli studenti e firmava i libri, gli abbiamo domandato quando sarebbe uscito il prossimo romanzo: “Non lo so – ha replicato – sto scrivendo altro adesso”. Gli abbiamo anche chiesto, mentre lo accompagnavamo fuori dall’aula magna, se la fiction tratta dal romanzo Anna fosse pronta: “Tra un anno, un anno e mezzo, adesso stiamo finendo di scriverla. Scusami ma ora devo andare”, ci ha infine detto intanto che un Suv nero e lucido giungeva a prelevarlo fermandosi esattamente davanti a noi. E mentre saliva a bordo nella parte posteriore della voluminosa auto, avevamo l’impressione che l’autista tenesse celato il suo volto. Ci ha assalito un dubbio: che si trattasse di un rapimento? Per fortuna non era così! Le oscure storie narrate dal nostro scrittore ci avevano palesemente suggestionati. Frattanto, rapidamente, il Suv nero e lucido è scivolato via.