L’unicorno non è mai esistito, questo è certo, visto che nessuno zoologo o paleontologo ne ha scoperto ancora i resti. Ma chi si interessa di letteratura, in particolare quella nordica, può certamente dire di averlo incontrato più di una volta.
La sua storia va dall’antichità classica al medioevo, fino al tardo Rinascimento, ma persino durante il secolo XIX se n’è parlato, pur restando nel campo delle apparizioni tra mito e realtà. Addirittura sappiamo che aveva un valore inestimabile, tanto che Giacomo I d’Inghilterra fu messo sotto accusa per averne comprato il corno al “modico prezzo”, si fa per dire, di 10.000 sterline.
Ma quali sono esattamente le caratteristiche fisiche di questo favoloso animale, considerato spesso simbolo di purezza?
Ctesia, medico greco del IV secolo a.C. presso la corte di Persia, lo descrive come un piccolo puledro dal bianco mantello e un unico corno nero a torciglione, che spunta tra gli occhi ed il naso: in questo punto è raccolta tutta la forza dell’animale.
Cosma Indicopleuste, viaggiatore del VI secolo, nella sua “Topographia Christiana” aggiunge altre caratteristiche, descrivendo che tale animale, pur di non venire catturato, si getterebbe da un precipizio se inseguito.
Nel Rinascimento chi lo ha visto è quasi sempre uomo di chiesa e le testimonianze sono così sporadiche e fantastiche da sembrare ai nostri occhi assai ridicole, come lo era il motivo per cui veniva così richiesto: “per guarire brutte malattie o come portafortuna”. Dal punto di vista gastronomico non era molto apprezzato, perché la sua carne era piuttosto amara da mangiarsi.
Solo nel XII secolo, una certa badessa Ildegarda di Bingen, vera esperta in campo, non trascura nessuna parte dell’animale: dalla pelle se ne ricava una cintura contro la peste e calzature che assicurano gambe solide, dal fegato essiccato un unguento che cura la lebbra e le sue carne si diceva possedessero un potere miracoloso e soprannaturale sull’uomo. Si narrava che l’unicorno fosse un animale selvaggio ed introvabile: l’unica arma per prenderlo pare fosse l’odore di una vergine che facesse da esca. Frate Giovanni di San Gimignano sosteneva che la vergine dovesse essere posta nuda e legata ad un albero. Sulla stesso argomento ritornò anche Ildegarda, che sosteneva però l’uso di più vergini, affinché l’animale rimanesse fulminato.
Ma la vera fortuna commerciale dell’unicorno era proprio il corno, che neutralizzava i veleni più potenti… allora peraltro molto in voga!
Perfino alcuni scienziati hanno creduto più volte di averne trovato i resti, come Otto von Guericke che, nel 1663, scoprì in bassa Sassonia i resti ossei di una creatura con in testa un solo corno. La notizia venne poi clamorosamente smentita da Tommaso Bartolinus di Copenhagen, che rivelò l’esistenza del narvalo, animale simile alla balena con una zanna sola come quella dell’unicorno, che certamente poteva aver tratto in inganno più persone.
Ma la leggenda continua.
Originariamente pubblicato sul numero 2 de LA ZONA MORTA, aprile 1990
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, febbraio 2007
26/02/2007, Davide Longoni