Natale, cerimonia cristiana al cui interno sopravvivono tracce di altri dei pagani; il Natale come grande festa di scongiuro e rinnovamento (della vita agricola, delle stagioni) nel cuore vuoto dell’inverno. Dai cortei mascherati del IV e VII secolo della Roma pagana, si passa alle epifanie romane che fissano nel 25 dicembre la nascita di Gesù. Ma il 25 dicembre – ci ricordano Baldini & Bellosi, nel bel saggio che hanno dedicato all’argomento – è anche un tempo magico, nel quale si consumano riti propiziatori, spesso legati al bisogno di eliminare/bruciare il pupazzo del tempo passato (coacervo di influssi negativi e imbarazzanti); da questi falò declinano i fuochi domestici, i botti, i fuochi artificiali o le luminarie per le strade, echi moderni del culto misterico di Mitra, dio della luce. Oggi ci accontentiamo di riti collettivi non meno simbolici, tra un banchetto, le strenne, gli auguri e il continuum del divertimento a ogni costo. Eppure il Natale rimane una festa, quindi un perimetro di sacralità a cui prestare attenzione. Sarà per queste premesse che il mystery classico non s’è lasciato sfuggire le possibilità offerte da questa festa, ambientando molti gialli nel periodo dicembrino. Vediamone qualcuno.
Come sempre è l’editore Marco Polillo a riscoprire delle autentiche gemme del genere, finora inedite in Italia. Non si uccide prima di Natale, di Jack Iams, romanzo del 1949: Iams si chiamava Samuel Iams, era di Baltimora e aveva frequentato la Princeton University con James Stewart. Successivamente lavorò come reporter per Newsweek e il Daily News. Con lo pseudonimo di Jack Iams pubblicò 9 romanzi mystery. Non si uccide prima di Natale, tradotto da Francesca Stignani, è un mystery tardo, impastato con la moda ormai imperante dell’hard boiled; qui i dialoghi sono serrati come in Chandler e Hammet, i personaggi muovono le mani e non si limitano a eleganti elucubrazioni, inoltre la prosa di Iams è veloce e ben ritmata, tanto che le 280 pagine del romanzo proprio non si avvertono. La trama ci porta a Shady Hollow, una delle tante cittadine di provincia, cittadine metafisiche, ossia un’idealizzazione di una cittadina, un non-luogo dentro al quale, come sotto una boccia di vetro piena di neve finta, l’autore può costruire un piccolo mondo antico fatto a sua idea e somiglianza; Shady Hollow, come tante Twin Peaks future, ha le sue belle casette linde, i quartieri per bene, i quartieri meno fortunati, ove sono confinati i bravi negretti americani, ha le case coloniche dei padri fondatori e le sue redazioni di giornali. In questa quotidianità appena un po’ più ritmata del solito, avviene un delitto spaventoso: un vecchio giocattolaio viene ammazzato a colpi di spranga e subito il sentore di qualcosa di marcio si materializza a Shady Hollow, scoperchiando l’arroganza razziale degli abitanti bianchi, bisognosi, attraverso i giornali amici o le finte serate di beneficenza, di comprarsi quel poco d’amore e affetto di cui hanno bisogno per rendersi presentabili e coprire le palate di letame che hanno prodotto nelle loro sporche vite. A complicare l’enigma del romanzo, in bilico tra le atmosfere poliziesche e la cultura angloamericana del giallo classico, alcuni libri scomparsi, nei quali il giocattolaio annotava le malefatte d’ogni bambino di Shady Hollow, anche di quelli che bambini non sono più e si sono già smacchiati alla sorgente del dio denaro. Alla fine l’equilibrio verrà ripristinato e la festa potrà aver luogo, almeno fino al prossimo libro, al prossimo delitto.
Sempre Polillo edita nel 2004 una splendida antologia di racconti (spesso, nel mystery, i racconti sono superiori ai romanzi), Delitti di Natale, con storie dei massimi specialisti del genere come Agatha Christie, Carter Dickson, Ellery Queen, Mary Roberts Rinehart, Ethel Lina White, Cornell Woolrich. Nella nota editoriale, l’editore spiega come l’effetto artistico sia inscindibile dal giallo classico ad enigma, ossia il bisogno di unire alle cupe brughiere, ai sonnolenti villaggi, l’apparente, festosa, atmosfera del Natale, giocato tra brindisi, alberi addobbati e lauti cenoni. Tra i racconti superlativi della raccolta segnalo quello di Carter Dickson, uno dei miei autori preferiti, specialista del cosiddetto “delitto della camera chiusa”, con il quale si cimenta anche in questo Persone o cose ignote, giallo dalla curiosa cornice storica, che vede un gruppo di amici riunirsi per le festività natalizie in una magione dal sapore storico, arricchita dai nomi di Carlo II, il dottor Johnson, Cromwell. Nella magione vi è una stanza in cima alle scale chiamata lo spogliatoio delle signore, dove sono stati commessi dei misteriosi delitti senza che si rinvenisse mai un’arma. Notevole anche il racconto di Fergus Hume, Il tocco del fantasma, dove, durante un altro convitto natalizio si conosce la leggenda di un fantasma mutilato che s’aggira per una magione vittoriana, causando morti e malanni ai vari convenuti, gentiluomini intenti a discorrere placidamente di sport, corse di cavalli e battute di caccia. Meraviglioso quello di Ethel Lina White, autrice de La signora scompare, portato sullo schermo nel 1938 da Hitchcock, Statue di cera, scritto nel 1930: la situazione del racconto è classica e degna di un racconto horror; non mancano richiami a storie con la medesima tematica, penso a Il gabinetto delle figure di cera di Gustav Meyrink o a un classico come Il museo delle cere di Leroux, dove 4 giovanotti alla moda decidono di scommettere su chi passerà la notte la museo. Lina White gioca carte simili, immaginando un museo di Oldhampton, luogo dalla fama sinistra a causa di due decessi misteriosi avvenuti al suo interno: un consigliere comunale rinvenuto cadavere per un attacco di cuore e un alcolista coinvolto nello spiritismo. L’Oldhampton Gazette decide di mandare la sua giornalista più svelta a passarci la notte e scrivere un articolo sensazionale. La ragazza, Sonia, si troverà a trascorrere le ore desolate della sera in compagnia delle statue della regina Elisabetta, di Guy Fawkes, Napoleone, Giulio Cesare e altri. Inutile dire che presto, la scettica cronista, si accorgerà che le statue sono diventate 23, ossia che c’è n’è una in più! Davvero i manichini di cera possono uccidere, oppure qualcuno vuole approfittare della situazione e vendicarsi sull’astuta giornalista? Un mystery d’ambientazione natalizia, infarcito di citazioni gotiche e una vena quasi horror, stemperata dalla soluzione finale, logica e semplicissima.
Clifford Witting, londinese, s’impiegò presso la Lloyd Bank dove lavorò dal 1924 al 1942. Contemporaneamente scoprì il suo talento come giallista e firmò una quindicina di romanzi. Il canto di Natale è un romanzo del 1939, edito per la prima volta in Italia da Marco Polillo Editore, con la traduzione di Sara Caraffini. La trama, rassicurante come si addice al genere, si apre su una cittadina nel sud dell’Inghilterra, Paulsfield, di cui possiamo ammirare la splendida mappa ad opera di Dick Kelly, dove, di tradizione, la domenica prima di Natale è in corso una questua a beneficio di un ospedale del luogo. Un gruppo di cantori si sposta da un angolo all’altro della cittadina intonando carole natalizie e tutto sembra pacato, immobile, sereno come sotto una boccia di vetro. Poi uno del gruppo, quello con la cassetta piena di offerte, sparisce nel nulla. La gente inizia a mormorare, ma l’uomo non è andato lontano, infatti viene ritrovato morto ammazzato dentro un pozzo. L’omicidio spalanca le porte al dubbio, all’incertezza, ai segreti che sembrano annidarsi anche in un piccolo mondo antico come Paulsfield. E ne verranno fuori delle belle, ad esempio che l’uomo era un bigamo e aveva due mogli, l’una all’oscuro dell’altra, quasi come il fu Mattia Pascal di Pirandello. Romanzo classico, scorrevolissimo e divertente, imperniato su personaggi in pantofole davanti al caminetto, intenti a cantare carole natalizie e a ragionare per puro sfizio sulle strutture logiche dell’enigma.