CAPITOLO XVII: USCIRE DALLA CULLA – PARTE 02
Verso le stelle
Un razzo a combustibile solido è un razzo con un motore che impiega un propellente solido (carburante/ossidante) Praticamente Tutti i razzi impiegavano qualche forma di propellente solido o in polvere fino al XX secolo, quando vennero introdotti i razzi a propellente liquido e i razzi ibridi, maggiormente efficienti e controllabili. I razzi a combustibile solido sono ancora impiegati attualmente per la loro semplicità ed affidabilità; la possibilità di immagazzinarli per lunghi periodi ed essere lanciati in modo affidabile con un breve preavviso li rende la soluzione maggiormente impiegata in ambito militare, come nei missili. Alcuni razzi a combustibile solido sono raramente impiegati per la propulsione principale in ambito aerospaziale, ma sono usati spesso come booster.
Un razzo a propellente liquido è un razzo con un motore che impiega propellenti in forma liquida. Questi hanno il vantaggio di raggiungere una densità relativamente elevata, che permette di mantenere il volume dei serbatoi relativamente contenuto, con un corrispondente aumento del rapporto di massa. I razzi a propellente liquido sono suddivisi in razzi a monopropellente, bipropellente o anche tripropellente, a seconda del numero di propellenti impiegato. I razzi a bipropellente impiegano generalmente un carburante liquido e un ossidante liquido, come l’idrogeno liquido e l’ossigeno liquido. I propellenti liquidi sono a volte impiegati in razzi ibridi, dove sono combinati con propellenti solidi o gassosi.
Ma entrambi questi sistemi stanno diventando obsoleti di fronte alle nuove frontiere che si stanno aprendo. Tanti, ma veramente tanti sono i progetti per tentare, un giorno, di raggiungere le stelle. Vediamone alcuni tra i più appetibili e i più curiosi
Le sonde che oggi viaggiano nel Sistema Solare usano propulsori chimici oppure ionici: i primi sono motori a combustione interna alimentati da speciali miscele solide o liquide, i secondi creano la spinta a partire dall’accelerazione di ioni (ossia atomi senza uno o più elettroni). L’autonomia dei primi è limitata dalla capacità dei serbatoi, mentre per i secondi la spinta è molto bassa…
È possibile far viaggiare nello spazio un veicolo senza carburante? Si stanno sperimentando le vele solari, o vele fotoniche, vere e proprie vele che sfruttano la forza dei fotoni (ossia l’energia) che arriva dal Sole. Alcune soluzioni di questo tipo sono già state provate, soprattutto in combinazione con altri sistemi di propulsione, e promettono bene, ma nessuno ha mai investito nello sviluppo di tecnologie per la gestione di vele solari di grandi dimensioni: l’uso sembra dunque limitato.
E-Sail: Il Motore a Repulsione
La Nasa, però, sta sperimentando un nuovo metodo per sfruttare il vento solare, ossia il flusso ininterrotto di particelle cariche (soprattutto protoni) emesso dal Sole a 450-700 chilometri al secondo, e persino 1.000 km/sec quando ci sono tempeste solari: «Intendiamo sfruttare i protoni per spingere una sonda fino ai confini del Sistema Solare, cioè fin dove il Sole esercita la sua influenza, zona oltre la quale la spinta viene a mancare», spiega Bruce Wiegmann, del Marshall’s Advanced Concepts Office, responsabile del programma Heliopause Electrostatic Rapid Transit System (HERTS)
Il razzo a ioni è un altro modo per ottenere una spinta, in modo più graduale ma più efficiente rispetto a un razzo convenzionale.
Il materiale espulso è in questo caso lo xenon, un gas pesante inerte, compresso all’interno di robusti serbatoi (si sono presi in considerazione anche i vapori di mercurio). Come in un razzo a propulsione nucleare, l’energia che spinge all’esterno il getto di xenon proviene da diverse sorgenti; in questo caso è l’energia elettrica generata da celle solari.
La ragione per cui un razzo a ioni è molto più efficiente di un razzo ordinario sta nel modo con cui viene prodotto il getto espulso. Anziché confinare un gas caldo in una camera e poi espellerlo attraverso un ugello: un processo limitato dalla temperatura che l’ugello può sopportare. Un razzo a ioni dapprima strappa via gli elettroni negativi dagli atomi di xenon, lasciandoli come “ioni”, cioè atomi con una carica elettrica (risultante) positiva. Questi ioni possono ora venire accelerati da forze elettriche, a velocità molto più alte di quelle ottenibili da un gas caldo, ma senza la necessità di ricorrere a temperature elevate. All’interno di un tubo a raggi catodici di un normale televisore vi è un “cannone elettronico” che in modo simile accelera il sottile fascio di elettroni che forma l’immagine sullo schermo televisivo.
Incidentalmente, il getto di ioni in uscita deve essere combinato con un fascio di elettroni negativi provenienti da un cannone elettronico separato. Senza questa aggiunta, verrebbero emessi soltanto ioni positivi, e il veicolo verrebbe in breve tempo caricato negativamente dagli elettroni strappati dagli atomi e rimasti sul veicolo. La carica negativa attirerebbe indietro gli ioni emessi e quindi annullerebbe tutto l’effetto del getto di questo cannone a ioni.
Di tutti gli strani mezzi di propulsione spaziale, questo probabilmente è quello più vicino ad un uso pratico. Il motore a ioni XIPS (“zips”) sviluppato dalla “Hughes Corporation” è stato collaudato in laboratorio e poi a bordo di un veicolo spaziale russo, lanciato il 6 ottobre 1997. Un satellite sperimentale, il “Deep Space 1″, dotato di un motore a ioni, è stato progettato per collaudare questo metodo di propulsione e per essere il primo della serie “Nuovo Millennio” della NASA.
Come per le vele solari, i motori a ioni possono avere un uso pratico soltanto nella parte più interna del Sistema Solare, dove è disponibile una gran quantità di luce del Sole. Per missioni più lontane, in linea di principio è possibile far funzionare un motore a ioni mediante un piccolo reattore nucleare, installato a bordo. Tali reattori hanno già volato nello spazio, ma attualmente non sono molto ben visti, anche perché un veicolo spaziale russo, dotato di un reattore nucleare, è rientrato nell’atmosfera e si è schiantato su un lago ghiacciato in Canada. Comunque, per esplorare le parti più esterne del Sistema Solare, sembra che sia essenziale un qualche tipo di propulsione nucleare.
La sonda “Deep Space 1″ è stata lanciata con successo il 24 ottobre 1998, ma il collaudo iniziale di 17 ore del suo motore a ioni, il 10 novembre, terminò prematuramente dopo soltanto 4 minuti e mezzo, probabilmente a causa di un corto circuito sulle griglie acceleratrici, provocato da un frammento di metallo staccatosi da qualche parte. Gli operatori cercarono di riavviare il motore, sperando di far evaporare quel frammento metallico, e sembrerebbe che ci siano riusciti, poiché dopo qualche settimana il motore si rimise in moto. Il razzo a ioni ha poi funzionato soddisfacentemente, dopo quell’episodio.
Il 28 di luglio la sonda ha effettuato un incontro ravvicinato con l’asteroide Braille, passandogli a una distanza di soli 26 km ed eseguendo osservazioni. Ha poi continuato il suo volo verso la Cometa 19P/Borrelly, osservando le sue proprietà e la sua interazione con il vento solare.
Un satellite europeo per provare la propulsione a ioni è stato messo in orbita attorno alla Luna. La sonda Smart-1 (“Small Missions for Advanced Research and Technology -1“, Missioni Minori per la Ricerca e la Tecnologia Avanzate) è stata lanciata con un razzo Ariane-5 il 27 settembre 2003. Si tratta di un veicolo spaziale di 400 kg, con grandi pannelli solari e circa 90 kg di gas xenon come propellente, di cui finora ne sono stati usati 65 kg. Dopo un lancio convenzionale per porre la sonda su un’orbita attorno alla Terra, è stato avviato il motore a ioni per aumentare progressivamente il raggio orbitale, con un processo che è durato 331 orbite attorno alla Terra. La sonda continuerà ad usare il suo motore a ioni per abbassare la sua orbita attorno alla Luna, con un’orbita polare che passerà 300 km sopra il polo sud e 3000 km sopra il polo nord
I veicoli spaziali del futuro potrebbero muoversi per il Sistema Solare e oltre, sfruttando i campi magnetici generati dalla Terra e dagli altri pianeti. Secondo un recente studio portato avanti dalla Nasa, le navicelle alimentate in questo modo sarebbero completamente autosufficienti e potrebbero non avere bisogno di alcun tipo di combustibile convenzionale. Mason Peck della Cornell University (Stati Uniti), sostiene la possibilità di far muovere satelliti e altri veicoli nel cosmo caricandoli elettricamente in due modi: o attraverso isotopi radioattivi o grazie al bombardamento con fasci polarizzati. Le navicelle così caricate potrebbero quindi essere spinte dal campo magnetico terrestre ed essere trattenute in orbita attorno al nostro pianeta oppure dirigersi verso altre destinazioni. I primi esperimenti effettuati in camere a vuoto pneumatico hanno dato esiti incoraggianti: gli scienziati sono, infatti, riusciti a caricare elettricamente una sferetta metallica avvicinandola a materiale fissile. I veicoli a energia magnetica potrebbero avere un look curioso: per massimizzare la carica elettrica dovrebbero infatti avere una lunga coda fatta da matasse di filamenti sottili in grado di caricarsi, un po’ come accade ai nostri capelli quando l’aria è troppo secca. Secondo i ricercatori questo sistema di propulsione senza carburante è molto più efficiente e funzionale rispetto alle vele solari già allo studio da anni, ma che fino a oggi hanno dato risultati deludenti.
Il Motore a curvatura
Avete letto bene: i successori degli shuttle potrebbero viaggiare a velocità superiore a quella della luce… Più veloce della luce? Einstein non sarebbe d’accordo. Sì, perché secondo la teoria della relatività nulla può muoversi più velocemente della luce.
Gli scienziati della NASA, però, stanno cercando un modo per aggirare il problema. A guidare il team è il Dottor Harold White che, assieme ai suoi colleghi, ha scoperto un modo per ottenere (in teoria) un movimento ad una velocità maggiore di quella della luce. Come? Con il motore a curvatura, è ovvio.
Se una nave potesse essere realizzata in modo da creare una deformazione spazio-temporale, allora lo spazio davanti ad essa sarebbe compresso mentre quello dietro si espanderebbe. Il risultato sarebbe lo spazio in movimento attorno alla nave, il che la “riposizionerebbe” senza la necessità effettiva di muoversi.
Dopo tutto “niente supera la velocità della luce ma lo spazio può espandersi e contrarsi ad ogni velocità“, ha dichiarato il Dr White.
Il design delle navi spaziali secondo le nuove idee prevede che queste siano realizzate all’interno di due enormi anelli che creerebbero la deformazione spazio-temporale.
Vi sembra troppo futuristico? Sappiate che il team di White ha realizzato uno strumento capace di generare e “captare” delle piccole deformazioni spazio-tempo. Se riuscissero in questa impresa chissà, forse la tecnologia potrebbe fare quel passo da gigante che permetterebbe la produzione di vere navicelle con motore a curvatura.
Secondo il Dr White “forse un’esperienza alla Star Trek durante la nostra vita non è poi un’eventualità così remota“.
4 ottobre 1957, Cosmodromo di Baikonur (Kazakistan), il giorno che segnò l’inizio di un’era nuova, quella della conquista dello spazio, quando l’Unione Sovietica lanciò lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale in orbita intorno alla Terra nella storia. Qualche mese dopo, il 31 gennaio 1958, fu la volta dell’americano Explorer 1. Da allora, sono stati messi in orbita più di 3000 satelliti, la maggior parte dei quali alimentati da idrazina (N2H4), carburante anche degli Space Shuttle (ormai andati in pensione) e di missili e razzi di controllo orbitale e d’assetto. Perché l’idrazina, conosciuta anche come o diammide, o diammina, o idruro di azoto, un composto chimico artificiale dell’azoto che non si trova in natura, è il liquido più ricco di idrogeno che si conosca.
Ma ora, un team di scienziati olandesi della Radboud University di Nimega (in olandese Nijmegen) potrebbe aver scoperto un nuovo modo per produrre questo combustibile spaziale.
Quale?
Utilizzare la pipì… Ebbene sì, il liquido prodotto dall’attività di filtrazione dei reni, potrebbe presto diventare fondamentale per trasportare uomini e satelliti nello spazio, grazie alla scoperta di un batterio in grado di trasformare l’ammoniaca dell’urina in idrazina.
Si tratta dell’Anammox, (ANaerobic AMMonium OXidation, ossidazione anaerobica dell’azoto), un batterio anaerobico che in realtà era stato già scoperto agli inizi degli anni ’90 e che attualmente viene utilizzato per il trattamento delle acque reflue, le cui implicazioni “siderali” sono state solo recentemente intuite dallo studio olandese, pubblicato sulla rivista Nature.
In poche parole, l’escrezione umana può diventare combustibile per razzi: “provarlo è stata una vera impresa, –spiega Mike Jetten, professore di microbiologia alla Radboud University- abbiamo dovuto implementare una serie di nuovi metodi sperimentali. Ma alla fine, siamo riusciti a isolare il complesso responsabile della produzione di idrazina”.
Il lavoro degli scienziati, che ha suscitato anche l’interesse della NASA, è ancora agli inizi e la strada è tutta in salita, soprattutto perché la quantità di idrazina prodotta dal processo è ancora troppo ridotta, anche se ricercatori sperano comunque di migliorare i propri risultati.
Chissà se gli astronauti che parteciperanno alla prima missione umana su Marte, annunciata dal Presidente Obama, verranno spinti per milioni e milioni di chilometri nel sistema solare da idrazina prodotta dalla nostra pipì
In futuro il carburante necessario ai razzi spaziali potrebbe venire dai rifiuti organici prodotti dagli astronauti. L’ipotesi è stata formulata da un gruppo di ricercatori dell’Università della Florida che, su richiesta della Nasa, hanno trovato un modo per trasformare questo tipo di rifiuti in propellente per razzi. L’agenzia spaziale aveva, infatti sollecitato proposte nell’ambito di una missione lunare; in particolare, domandava cosa fare dei rifiuti umani, che nel caso di missioni molto lunghe non potevano essere riportati nell’atmosfera terrestre. I ricercatori hanno quindi pensato a opzioni alternative, cercando di scoprire quanto metano è possibile produrre dal cibo non consumato, dall’imballaggio degli alimenti e dai rifiuti organici umani. “L’idea – ha spiegato Pratap Pullammanappallil, professore dell’Università della Florida – era verificare se potevamo creare carburante sufficiente per lanciare razzi e non portare dalla Terra tutto il carburante, e il relativo peso, per il viaggio di ritorno.” Con il sostegno della Nasa, che ha fornito ai ricercatori campioni impacchettati di rifiuti umani prodotti chimicamente che includevano anche finti rifiuti di cibo, asciugamani, abiti e imballaggi, gli scienziati hanno scoperto che questo processo potrebbe produrre 290 litri di metano per equipaggio al giorno, il tutto prodotto in una settimana. “Può essere prodotto abbastanza metano per tornare indietro dalla luna”, ha sottolineato Pullammanappallil. Per i ricercatori, questo procedimento potrebbe essere utilizzato anche sulla Terra e fornire carburante per il riscaldamento, per produrre elettricità o per i trasporti.
(17/2 – continua)