Cannibal Holocaust
Sentiamo adesso in presa diretta dal regista quel che ricorda di Cannibal Holocaust.
Alcune delle risposte sono estratte dalla già citata intervista rilasciata a Nocturno, altre sono in esclusiva per noi.
Dove venne girato il film e quanto durarono le riprese?
Lo girammo interamente a Leticia in Colombia, a parte due scene: la proiezione del filmato nella saletta televisiva e la fucilazione del vietnamita. Furono sufficienti nove settimane, tant’è vero che in coda a Cannibal Holocaust diressi La casa sperduta nel parco, anche quello girato in poche settimane.
Aggiungiamo noi che molte scene orripilanti, come quella della fucilazione a cui si assiste durante il filmato promozionale realizzato dalla troupe dei quattro ragazzi, sono state girate alla De Paolis e sotto le mura di Roma. Anche scene come queste sono piccoli capolavori di ingegneria registica. Ci sono pezzi di filmati veri e pezzi falsi ben incastrati che danno l’idea del documentario realistico.
Qual è la parte migliore del film?
Il secondo tempo per me è un vero capolavoro. Realizzai le riprese in sedici millimetri con la macchina a mano e il risultato è di un realismo esasperato.
Raccontaci i tuoi problemi con la giustizia.
Il film venne sequestrato sulla base di una vecchia legge fascista contro la tortura delle cavie, poi perdemmo il processo e certi produttori mi etichettarono, così scontai la mia pena. Nel film c’era tanta violenza che sino ad allora nessuno aveva mai avuto il coraggio di esibire sul grande schermo. Io anticipavo i tempi e la violenza ben più esplicita che sarebbe esplosa di lì a pochi anni. I giornalisti propinano indisturbati notiziari infarciti di persone crivellate dai proiettili o dilaniate dalle bombe e persino i bambini sono esposti a tali spettacoli. Cannibal Holocaust è solo un’esplicita denuncia al mestiere di giornalista così come viene concepito nell’epoca moderna.
Perché tutte quelle violenze sugli animali?
I topi, i maiali selvatici, i coccodrilli e le tartarughe venivano uccisi dagli stessi indios che poi se li mangiavano. Io li seguivo durante le loro battute di caccia come si potrebbero seguire i macellai al mattatoio comunale e avevo sempre un incaricato della Protezione Animali alle costole. Non sono stato io a ordinare le violenze.
Come hanno reagito gli attori nel girare quelle scene?
Abbastanza male. Per quel che riguarda il topo muschiato veniva ucciso da una comparsa. Barbareschi invece non ha avuto particolari problemi ad ammazzare il maialino, mentre per la tartaruga Perry Pirkanen piangeva. La tartaruga l’abbiamo uccisa secondo lo stesso rituale effettuato dagli indios, quindi eravamo abbastanza preparati. Quello che a me ha fatto più impressione sono state le scimmie. C’è la scena in cui gli indios ammazzano la scimmia e le succhiano il cervello. Noi avevamo quattro scimmiette di riserva. Quando tagliammo la testa a una le altre quattro sono morte di crepacuore. Quella è stata la cosa più atroce.
Cosa rispondi agli attacchi degli animalisti?
Sono posizioni rigide. Se la prendono tanto con il cinema quando nei mattatoi comunali macellano animali in continuazione.
Alcuni critici sostengono che certe scene del film erano vere.
In Cannibal Holocaust di vero ci sono solo alcune fucilazioni di negri che appaiono nel documentario realizzato dai protagonisti prima di partire per l’Amazzonia. Si tratta di materiale di repertorio che acquistai da una ditta inglese. Tutto il resto sono effetti speciali.
Cosa nei pensi degli snuff movie?
Sono film clandestini che nessun regista professionista si sognerebbe di realizzare. Io non ne ho mai visti ma purtroppo so che esistono. Fanno parte del più vile mercato pornografico e non voglio assolutamente essere associato a certe porcherie. Per questo mi dà fastidio essere soprannominato Monsieur Cannibal e ho fatto di tutto per scrollarmi di dosso questa scomoda etichetta. Amo il cinema, in passato ho girato film anche per pura passione e ritengo di essere un buon tecnico.
Sei soddisfatto del risultato finale del film?
Cannibal Holocaust è un film splendido. Ancora oggi rivedendolo stento a capire come possa essere riuscito a girarlo con tanta maestria e genialità registica. Nessuno avrebbe potuto realizzarlo meglio. Sergio Leone lo vide in anteprima e lesse nel futuro. “Caro Ruggero questo film sarà il tuo cavallo di battaglia ma ti causerà gravi problemi con la Giustizia”. Aveva perfettamente ragione.
Resta da citare un aneddoto divertente che riprendiamo integralmente dalla citata intervista rilasciata da Deodato a Nocturno. Riguarda quel che successe a Bogotà durante la proiezione di Cannibal Holocaust.
“Quando il film uscì a Bogotà c’era la fila per andarlo a vedere. Il fonico del film, un colombiano mio amico, per farsi pubblicità fomentò una polemica secondo la quale il film attaccava gli indios. Poi disse che ero un pazzo che uccideva davvero le persone. Contemporaneamente una mia amica hostess, con la quale avevo avuto una storia, mi disse di andare a Bogotà a vedere la fila che c’era quando proiettavano il mio film. Lei mi venne a prendere all’aeroporto e la sera mi portò a una festa dove c’erano giornalisti e gente di cultura colombiana. A un certo punto mi presentò come il regista di Cannibal Holocaust. Mi spinsero e mi cacciarono, sono stato anche inseguito da due giornalisti inferociti che mi urlavano dietro. Arrivato all’albergo mi telefonò un giornalista dicendomi che la mattina dopo alle sei e mezza avrei dovuto fare una conferenza. Io non ci sono andato, confesso che mi sono cacato sotto. Ho chiamato un mio amico che stava là (Salvo Basile) che mi diede il numero di un mafioso, uno della zona che aveva una fazenda, questo tizio mi venne a prendere con un’auto corazzata e mi portò con un elicottero sull’isola del Rosario. Ci rimasi per una settimana, poi prenotai un posto a bordo di un aereo per Miami”.
Una bella avventura, non c’è che dire. Ma torniamo all’analisi critica.
Per trama, stile e tecnica cinematografica Cannibal Holocaust è opera unica nel panorama del cinema italiano e chi parla di B-movie dice una bestialità senza pari. La narrazione è crudele, spietata, fredda, distaccata, oserei dire perfetta. Il regista non si lascia prendere la mano da moralismi di maniera e dirige un’opera senza concessioni al romanzesco, superando in questo Ultimo mondo cannibale e tutte le altre pellicole del filone. Le immagini si succedono con una precisione e una freddezza da documentario, lasciando l’unica traccia di giudizio al personaggio dell’antropologo. Lo stile è secco e asciutto e le trovate della pellicola rovinata ad arte e delle immagini sovra o sottoesposte servono ad aggiungere un ulteriore tocco di realismo e verosimiglianza. Gli attori sono presi dalla parte e sono talmente bravi da ingenerare il sospetto del cinema verità. Lo stesso discorso vale per il regista che dirige con freddezza anche le scene più macabre.
Sono interessanti anche le disavventure giudiziarie della pellicola.
Negli anni Settanta il sequestro di libri, pubblicazioni e pellicole giudicate contrarie al comune senso del pudore era prassi ordinaria. Adesso per fortuna sia la censura che il sequestro sono relitti del passato e nessuno li invoca o vi ricorre. Al tempo però la discussione sul tema era aperta e coinvolgeva progressisti e conservatori. Come tracciare un comune senso del pudore? Come definire un film o un libro opera d’arte e quindi scagionarlo dall’accusa di immoralità e di oscenità? Le tesi erano opposte e difficilmente componibili. Da un lato c’era l’Italia governativa bacchettona e moralista, democristiana e baciapile. Dall’altro c’erano le opposizioni progressiste. I primi avevano dalla loro parte una nutrita schiera di magistrati, che si erano eletti difensori della pubblica morale e bloccavano a colpi di censura tutto quello che superava i limiti del consentito. Soltanto che i loro limiti erano davvero angusti e le pellicole definite inguardabili si moltiplicavano a dismisura. In realtà spesso registi e produttori traevano soltanto benefici dai sequestri e dalla conquistata patente di film scandaloso. Una volta dissequestrata la pellicola tornava in circolazione e faceva incassi imprevisti. Non andò così per Cannibal Holocaust che fu una delle poche pellicole a fare le spese di un imperante moralismo bigotto. Il film venne sequestrato dopo un mese di programmazione e congelato per ben quattro anni. La prima nazionale del film avvenne a Milano l’8 febbraio 1980 e i critici di regime, come da copione, lo stroncarono senza possibilità di appello.
La Repubblica scriveva: “Le scene raccapriccianti del film sono ottenute con tale arroganza e cialtroneria che non solo non riescono a mettere paura ma provocano addirittura disgusto e sdegno”.
Il Corriere della Sera non era da meno: “Un film che è eufemistico definire rivoltante, affidato interamente a scene di bassa macelleria come squartamenti e infilzamenti di animali vivi, cannibalismo, lapidazioni, fucilazioni, amputazioni e mutilazioni varie, cadaveri putrefatti e simili piacevolezze…”.
Il Messaggero rincarava: “Tra i tanti film del genere questo è forse il più orripilante e solletica i gusti sadici del pubblico di Deodato”.
Subito dopo la prima nazionale e le feroci invettive dei critici, a Roma e a Milano ignoti cittadini imbrattano due manifesti pubblicitari del film che raffiguravano la famosa donna impalata. A Milano, il 12 marzo 1980, il sostituto procuratore della Repubblica Nicola Cerrato, a seguito di una denuncia da parte di un cittadino, dispone il sequestro del film su tutto il territorio nazionale. L’accusa è quella di sempre: “opera contraria al buon costume e alla morale”. Cerrato, già noto per la sua crociata contro le pellicole hard, si accanisce soprattutto su sedici sequenze incriminate. La stampa di regime plaude al sano esempio e chiede il rogo per Cannibal Holocaust, come già lo aveva chiesto e ottenuto per Ultimo tango a Parigi di Bertolucci e per Salò di Pasolini. Il 4 giugno arriva la sentenza a tempo di record. Il Presidente della quinta sezione penale del Tribunale di Milano, Attilio Baldi, condanna il regista Ruggero Deodato, lo sceneggiatore Gianfranco Clerici, i produttori Franco Palaggi, Franco Di Nunzio e Alda Pia e il distributore Sandro Perrotti a quattro mesi di reclusione, quattrocentomila lire di multa e un mese di arresto, con il beneficio della condizionale. Inquisito e assolto soltanto il direttore della fotografia Sergio D’Offizi. I produttori presentano ricorso in appello, mentre Deodato se ne disinteressa e promuove il film all’estero dove ottiene le soddisfazioni che merita. La condanna viene riconfermata. Soltantola Cassazione in ultimo grado, miracolosamente, riabilita il film. Però sono passati quattro anni e l’attenzione verso l’opera è svanita, il film viene ripresentato nel maggio 1984 richiamando poco meno di quattordicimila spettatori. Pare poi che la nuova versione fosse edulcorata rispetto all’originale.
Questa la storia di un cult maledetto, aborrito dai critici e amato dagli appassionati, destinato in ogni caso a lasciare una traccia indelebile nel cinema mondiale. Infatti Cannibal Holocaust è un capolavoro del cinema (non soltanto di genere), infrange molti tabù cinematografici ed è un atto di accusa verso la società contemporanea e i suoi falsi miti. Cannibal Holocaust è uno di quei film che, con buona pace di puristi e benpensanti, fanno bene al cinema.
(6/2 – continua)