Gli epigoni di Cannibal Holocaust
Umberto Lenzi aveva inventato il genere cannibalico con Il paese del sesso selvaggio, poi lo aveva lasciato prima nelle mani di Sergio Martino (La montagna del dio cannibale) e infine in quelle ben più idonee di Ruggero Deodato. Lenzi non era stato in grado di oltrepassare i confini del proibito, cosa che Deodato ha saputo fare prima con Cannibal Holocaust e poi con Inferno in diretta.
Lenzi, una volta abbattuti da altri (leggi Deodato) i tabù cinematografici, torna al genere nel 1980 con Mangiati vivi!, un film truculento come pochi, ma soprattutto poco originale e pieno zeppo di immagini pescate senza alcun pudore da altri cannibal movie. Lenzi è colpevole pure di una pessima sceneggiatura. Il cast è composto da: Robert Kerman (lo stesso di Cannibal Holocaust), Janet Agren, Ivan Rassimov, Paola Senatore, Mel Ferrer, Me Me Lai e Franco Fantasia.
Il film è scadente, costruito con ritagli di altre pellicole e girato in economia. “C’erano pochi soldi” confessa Ivan Rassimov in un’intervista. Una buona recitazione, alcune scene efferate, i nudi integrali e provocanti della Agren e della Senatore salvano a stento una pellicola che è diventata un cult per gli appassionati del trash. La trama non sarebbe neppure il caso di raccontarla, tanto lo sapete già che c’è la solita spedizione che parte per una foresta qualsiasi dove ci sono i cannibali (in questo casola Nuova Guinea) alla ricerca di qualcuno che è scomparso. Qui abbiamo Robert Kerman, nei panni di un reduce dal Vietnam, che accompagna Janet Agren alla ricerca della sorella (Paola Senatore). Quest’ultima ha abbandonato agi e ricchezze (possedeva una ricca piantagione) per unirsi alla setta del reverendo Jonas (Ivan Rassimov), una specie di santone della giungla che si è ritirato lontano dalle tentazioni del mondo. Kerman viene assoldato dalla bella Agren per fare da guida tra i pericoli della giungla. Per raggiungere l’accampamento di Jonas i nostri eroi devono attraversare mille traversie, torture e sevizie che lasciano sul campo gran parte dei personaggi (Paola Senatore e Me Me Lai incluse). Arrivati a destinazione scoprono che Jonas è solo un trafficante di droga che tiene i suoi adepti prigionieri come schiavi e pratica la purificazione attraverso l’uso del dolore (appende le persone ad alcuni ganci). Alla fine l’intervento delle autorità fa precipitare la situazione e la setta è costretta a un suicidio di massa, mentre i due protagonisti vengono salvati all’ultimo momento dall’assalto di un branco di cannibali. Al ritorno a New York ci rendiamo conto che il santone Jonas non si è suicidato, ma è scomparso insieme a un conto in banca aperto in Svizzera. Su quel conto ci sono anche i soldi dell’eredità di Paola Senatore che aveva intestato tutti i suoi beni al santone. Il film termina con Janet Agren che non sa come pagare i servigi di Robert Kerman perché è rimasta senza una lira.
Immancabili per tutta la pellicola: violenze, massacri, stermini di massa, scene di stupro, banchetti antropofagi e animali uccisi nei modi peggiori. Nonostante tutto il film è sviluppato senza mordente e non riesce a coinvolgere, anche perché le scene più efferate sono quasi tutte copiate e l’appassionato del genere le ha già viste. La morte della ragazza del villaggio è ripresa da Il paese del sesso selvaggio dello stesso Lenzi, quella della morte di Me Me Lai da Ultimo Mondo Cannibale, alcune scene sono tratte da La montagna del dio cannibale di Sergio Martino (un pitone che si mangia una scimmia, un cucciolo di coccodrillo squartato in diretta, un coccodrillo che aggredisce la piroga, un cobra ucciso con le mani, una lotta cobra-mangusta, un’evirazione, un’iguana sventrata e mangiata dai selvaggi…). In definitiva salverei soltanto poche scene truculente, gli effetti speciali (notevoli), l’ambientazione curata e pittoresca. La parte cult del film resta quella con i cannibali che catturano Me Me Lai e Paola Senatore e se le mangiano vive facendole a fettine nei punti più prelibati (mammelle, orecchie, gambe…). Sono scene molto realistiche e valgono il prezzo del DVD. Se poi vogliamo parlare da appassionati del cinema di genere anche la bellezza sensuale della bionda Janet Agren e la mise della Paola Senatore in tenuta da selvaggia non sono da disprezzare. A tal proposito vanno ricordate: la sequenza che vede la penetrazione della Agren con un gigantesco fallo di pietra e la scena dove la bella svedese mette in mostra la sua bellezza completamente dipinta d’oro (un omaggio alla Ursula Andress de La montagna del dio cannibale). Singolare la rappresentazione della rottura dei vincoli familiari in occasione di un funerale, che vede la vedova Me Me Lai costretta a far l’amore con tutti i fratelli del defunto marito. La scena non ha niente di erotico e profuma di ricostruzione del tutto inventata. Tra i momenti peggiori i pistolotti morali mal recitati da Robert Kerman (“È la legge del più forte”, dice mentre osserva gli animali che si sbranano tra loro) e Janet Agren che in un penoso finale conclude: “L’era spaziale è solo per pochi, ci sono ancora i cannibali”. Viene da chiedersi: Perché non se la sono mangiata?
Nel 1981 Lenzi ci riprova con Cannibal Ferox, altro film a imitazione di Deodato che riesce ad andare oltre solo per quel che concerne la violenza verso gli animali. Tra l’altro pare che le scene siano tutte vere, lo conferma un’intervista all’attore Giovanni Lombardo Radice reperibile in rete. Assistiamo all’esecuzione di un maialino, scena motivata dalla volontà di copiare Cannibal Holocaust sino in fondo, che Lombardo Radice si rifiutò di girare. Lenzi cercò di convincerlo dicendogli che De Niro lo avrebbe fatto. Radice rispose: “Noi stiamo facendo Cannibal Ferox, per cui non venirmi a parlare di De Niro. Non ammazzerò nessun maialino e ringrazia il cielo che siamo in mezzo alla giungla, se no ti denunciavo alla protezione animali”. Fu il tecnico degli effetti speciali a interpretare la ferale sequenza. Un’altra parte disgustosa è quella con la scimmia legata a un tavolo e gli attori che le fanno saltare il cranio con un colpo di machete. Citiamo una testuggine squartata con cura e poi mangiata, un formichiere dato in pasto a un’anaconda, una farfalla divorata da un indigeno e una pantera che elimina una scimmia.
La distribuzione del film fu vietata in trentadue paesi proprio a causa dell’eccesso di esibizione della violenza, cosa che ne ha fatto un cult underground. In Italia abbiamo solo un divieto ai minori di anni quattordici. Il cast comprende: Giovanni Lombardo Radice (si fa chiamare John Morghen), Lorraine De Selle, Zora Kerowa, Danilo Mattei (pseudonimo di Bryan Redford), Venantino Venantini e l’immancabile Robert Kerman, ormai un simbolo dei cannibal movie. Lenzi è ancora una volta regista e sceneggiatore. Anche questa storia non è il massimo dell’originalità. C’è la solita spedizione in Amazzonia e questa volta la capeggia una studentessa (Lorraine De Selle nei panni di Gloria) che vuole studiare i popoli indigeni per dimostrare che il cannibalismo non esiste. Insieme a lei ci sono il fratello Rudy (Lombardo Radice) e un’amica di facili costumi (Patty). Durante il viaggio la spedizione incontra due individui: Mike e Joe, che si presentano come cercatori di smeraldi ma in realtà sono spacciatori di droga ricercati anche per omicidio da un commissario di polizia di New York (Robert Kerman). In fin di vita per le ferite riportate, Joe racconta la terribile verità: gli indigeni, primitivi e ingenui ma non certo cannibali, sono stati massacrati da Mike che non è soltanto un criminale ma anche un folle tossicomane. In un crescendo di violenza Mike viene evirato e l’amica della studentessa è appesa per i seni. Le assonanze con Cannibal Holocaust sono troppo evidenti per essere casuali. Si salva solo la studentessa che rimane scioccata dalla traumatica esperienza. Mesi dopo, a New York, il conseguimento della laurea a pieni voti con la dimostrazione dell’assunto: i cannibali sono soltanto un mito.
Il film è superiore come qualità tecnica di scenari e fotografia al precedente Mangiati vivi! e soprattutto fa a meno degli spezzoni rubati da altre pellicole. Ma siamo sempre nel campo dell’imitazione e dello sfruttamento di un genere che aveva raggiunto l’apice con Cannibal Holocaust. Gli effetti speciali di Giannetto De Rossi e Giuseppe Ferranti sono da ricordare: un corpo squartato e i cannibali che mangiano le interiora, una donna appesa per i seni con ganci acuminati, un cranio spaccato con un colpo di machete, piatti a base di cervello umano fresco, evirazioni con successivi pasti a base di testicoli, torture efferate, cuori sventrati e serviti per cena, pirañas che si mangiano uomini… Il film resta mal recitato, basato su una trama inconsistente e senza traccia di quel realismo crudo tipico dei lavori di Deodato, che ha ben altro mestiere del veterano Lenzi (più adatto al cinema di avventura e all’horror puro). La pellicola avrebbe anche pretese intellettuali. Prima di tutto fa sua la tesi che il cannibalismo sarebbe solo una scusa inventata dai conquistadores bianchi per giustificare atti di violenza gratuiti. Solo che la fa dire a una Lorraine De Selle così poco credibile che pare recitare una lezioncina imparata a scuola. Poi c’è la denuncia di stampo ecologico. La contrapposizione tra civiltà occidentale e mondo inesplorato è un discorso che troviamo in tutto il cinema cannibalico. Deodato è stato l’unico a inserirlo in un contesto credibile e originale. Nel film di Lenzi il cannibale reagisce con violenza solo per reazione alle atrocità degli invasori (ma già in Cannibal Holocaust era stato così) ed è la natura stessa che pare ribellarsi ai malvagi che vengono dal mondo civilizzato. La spedizione incontra sul suo cammino ogni sorta di pericolo che sbarra la strada all’invasione di un territorio incontaminato. Troviamo di tutto: ragni velenosi, serpenti, coccodrilli, sanguisughe, cannibali….
Cannibal Ferox resta una semplice imitazione senza nerbo del film cult di Deodato e si salva soltanto per qualche scena splatter, delizia degli amanti del genere. Poi ci sono aspetti di sexploitation nella sequenza che vede un tentativo di rapporto sessuale tra i due amanti diabolici (Mark e Pat) con una ragazzina india. Lei si ribella, tenta di fuggire e Mark la fredda con un colpo di pistola.
Resta solo da dire che per Cammarota (opera citata, pag. 287) Cannibal Ferox sarebbe una riedizione di Mangiati vivi! con un nuovo titolo più affine a quello di Deodato per sfruttare sino in fondo il successo commerciale (sic!). L’affermazione si commenta da sola. Certi critici prima di parlare dei film che non amano dovrebbero vederli e documentarsi. Minimo sindacale…
(7/1 – continua)