Quando cominciò il suo arci-famoso Ciclo di Cthulhu, Howard Phillips Lovecraft, il cosiddetto “solitario di Providence”, in mente aveva Edgar Allan Poe, Robert W.Chambers (maestro del Gotico) e Lord Dunsany (uno dei padri del fantasy). Ma ancora più di questi formidabili autori del soprannaturale che ho appena nominato, Lovecraft ammirava Arthur Machen. Era infatti tale la voglia di Lovecraft di confrontarsi con questo suo vero e proprio “idolo” che nel suo saggio “L’orrore soprannaturale nella letteratura” (1927) si propose come suo ideale erede: “Fra i creatori viventi di paura cosmica, assurti all’apice dell’arte, pochi, o forse nessuno, possono sperare di eguagliare il versatile Arthur Machen.”, afferma Lovecraft.
Il gallese Arthur Llewellyn Jones-Machen (1863-1947), oggi considerato fra i maestri del decadentismo di fine ’900, fu autore di diversi libri di grande interesse ma che ai tempi passarono quasi inosservati. Nonostante il buon successo (campanilistico) che ebbe “Gli arcieri” (durante la Seconda Guerra Mondiale, un battaglione britannico in disfatta viene soccorso dall’intervento di forze “angeliche” costituite dagli Arcieri di Azincourt agli ordini di San Giorgio), infatti, poco scalpore fecero i successivi “The Terror”, in cui Machen immagina una ribellione di animali su scala planetaria (idea poi ripresa da Hitchcock nel suo “Gli Uccelli”) e le sue opere d’ambientazione bretone. Machen infatti fu anche autore di numerosi saggi sul Galles gallo-romano e andava fiero di essere nato nel villaggio dove si diceva che Re Artù avesse fissato la sede della famosa Tavola Rotonda.
Ma è per il ciclo del “Mito del Piccolo Popolo” che ci ricordiamo di Machen. Di questi romanzi e racconti “Il grande dio Pan” (1890 – disponibile in Italia per i tipi della Fanucci) è il capostipite e il più conosciuto. Con esso “Il Popolo Bianco” (il prediletto di Lovecraft), “Le creature della Terra”, “I Turaniani” e “Il ragazzo sagace” formano un “corpus horrorificus” che racchiude vicende a metà strada fra l’avventuroso/fantastico di Jules Verne e il gotico/orrorifico di E.A. Poe.
L’originalità di Machen sta nel fatto di essere stato il primo autore ad aver dedicato un ciclo narrativo ad antiche divinità e ad averne invocato il ritorno fra gli uomini. Il mondo non è come lo conosciamo, le cose non sono come le conosciamo. Fra di esse e fra gli spazi che le intersecano esistono cose che non possono essere percepite dai sensi e che brulicano di vita propria. Esiste un mondo invisibile di forze occulte e striscianti in cui morte e vita si fondono inscindibili, in attesa di essere risvegliate. Una “realtà parallela” profondamente pagana e blasfema, la cui semplice fuggevole visione è talmente inquietante per l’uomo moderno da indurlo alla pazzia. Il mondo è pura illusione. La verità sta Oltre.
Ecco che l’orrore cosmico di Machen si plasma sul culto di antichissime divinità naturali che esistevano ancor prima dell’avvento dell’uomo sulla Terra. Divinità di cui il dio Pan è il messaggero supremo, il dio che racchiude in sé il significato di tutte le cose, di tutti gli istinti umani, di tutta la natura, “il tutto in uno e uno in tutto” di lovecraftiana memoria.
Londra di fine ’800. “Il grande dio Pan” si apre con l’esperimento che il dottor Raymond conduce sulla propria figlioletta Mary, appena diciassettenne. Raymond pratica un’incisione sul cranio della ragazza, la quale gli si è offerta spontaneamente. Quest’incisione, praticata in profondità ma di modestissima estensione, consente a Mary di entrare in contatto con un mondo sconosciuto. Grazie al distacco di alcuni filamenti nervosi del cervello, la giovane è ora capace di vedere con la mente ciò che all’uomo è da sempre precluso, di partecipare della grandezza degli déi primigeni dell’umanità. Una dimensione dove il materiale e l’immateriale si fondono per rivelare oscene danze di satiri e fauni radunati in orgiastici convegni, partecipando ai quali però si è inevitabilmente condotti alla pazzia. L’apertura di questo “terzo occhio” era dagli antichi chiamata “vedere il dio Pan”. A quest’esperimento assiste come spettatore Clarke, un ricco nobiluomo londinese, la cui stessa immaginazione verrà subliminalmente turbata per sempre dall’incredibile avvenimento. Come già anticipato, Mary perde la ragione, mentre il dottor Raymond scompare.
Passano i mesi e a Londra si susseguono numerosi suicidi di aristocratici, persone che non avevano apparentemente nessun motivo di togliersi la vita. Riaffiora la storia di Helen, bambina che per oscuri motivi venne allontanata dalla città ed affidata alle cure di una nuova famiglia residente nelle campagne gallesi. Un giorno il figlio di un lavoratore della zona, scorta Helen mentre in compagnia di un’amica si dimenava nel bosco in oscene danze al fianco di orribili esseri dalle sembianze caprine, torna a casa accusando strani dolori e nell’arco di pochi giorni perde il lume della ragione.
Intanto Clarke, divenuto ossessionato dalla ricerca di fatti legati al mondo dell’occulto, comincia un viaggio attraverso una Londra fumosa e grottescamente silenziosa, ribollente dei sussurri riguardanti alcune misteriose figure femminili che costituirebbero la chiave del mistero di Pan. Donne che in un avvincente (ma volutamente oscuro) finale scopriamo convergere tutte in un’unica identità, quella di un’imprendibile “Mater Terribilis”, evanescente sacerdotessa, la quale dovrà comunque anche lei versare il suo prezioso obolo sull’altare grondante sangue di Pan.
Centrale in Machen è il tema della degenerazione umana, quel processo involutivo che, invertendo quello darwiniano, è capace di trasformare tutti coloro che entrino in contatto con la divinità profusa da Pan in folli allucinati, restituendo in ultima analisi l’uomo alla sua forma più atavica e bestiale.
E’ stato fatto un parallelo fra l’uomo “in preda al dio Pan” e il Mr.Hyde di Stevenson (contemporaneo di Machen), ma l’uomo degenerato di Machen non è il lato malvagio dell’uomo moderno, pronto a esplodere in tutta la sua furia, bensì il nostro avo sepolto dentro di noi, i nostri istinti più reconditi che riaffiorano grazie alla “visione di Pan”. Il nostro Io più atavico, e quindi più vero, ma -ahinoi- più folle. Il Male per Machen non è da considerarsi pura, semplicistica antitesi del Bene, ma solo un aspetto di Pan, una manifestazione della vera realtà delle Cose, e quindi una cosa da abbracciare e tollerare a prescindere dalle conseguenze.
Insieme a William B.Yeats e Aleister Crowley, Machen prese parte alla società esoterica “Golden Dawn”, che dietro a un velo di modalità e finalità prettamente massoniche nascondeva un particolarissimo culto pagano.
Si racconta che Sir Arthur Conan Doyle (creatore, come ben saprete, della saga di Sherlock Holmes) avesse ricevuto da leggere da un amico, una sera, alcuni racconti di Machen. Doyle quella notte non riuscì a dormire. “Il vostro amico Machen è proprio un genio” affermò poi, “ma prima di portarmelo a letto di nuovo ci penserò due volte”, affermò il celebre scrittore.
E’ passato più di un secolo, ma non gli si può dare ancora torto…