Capitolo Settimo – Parte 02
Gli epigoni di Cannibal Holocaust
Nei cannibal movie troviamo due tipi di pellicole: i film a soggetto che utilizzano riprese documentaristiche vere per dare alla storia maggior credibilità, e i film documentaristici puri che inseriscono riprese finte per dare più orrore alle scene. Il risultato è in entrambi i casi lo stesso: fornire un’immagine raccapricciante della società contemporanea dipinta con tinte sadiche e scellerate in quella che molti critici hanno chiamato un’apologia del selvaggio.
Citiamo alcune pellicole successive a Cannibal Holocaust che rientrano nel genere dei cannibal movie ma non sono così importanti da lasciare il segno.
Savana violenza carnale (1979) di Roberto Bianchi Montero è un film che dei cannibal movie ha soltanto l’ambientazione (in parte è girato nelle foreste di Bogotà) ma che resta un puro film d’avventura. La storia si sviluppa attorno al rapimento e la violenza carnale ai danni di una giovane donna e un bandito che continua a tormentarla anche dopo che si è sposata con un proprietario terriero. Ci sono alcune scene efferate come una mano mozzata dopo un morso di serpente e alcune uccisioni gratuite e sconvolgenti. Resta un film di violenza, più uno slasher, che un cannibal movie. Recitazione e sceneggiatura sono a livelli di totale insufficienza.
Guayana: Cult of Damned (1979) di René Cardona Jr. è un pessimo film che illustra il massacro della Guayana e ci riguarda poco, così come solo poche cose legano al filone cannibalico italiano Dove sognano le formiche verdi, un buon lavoro di Werner Herzog.
Buio Omega (1979) di Joe D’Amato mette in scena un originale cannibale schizofrenico, forse solo in parte debitore di qualche slasher movies americano. La storia ci presenta un giovane ricco reso folle dalla morte della fidanzata e la sua diabolica governante, che lo asseconda in ogni impresa nella speranza di sposarlo ed ereditare la sua fortuna. Il ragazzo imbalsama la fidanzata e ne mangia il cuore per tenerla sempre con sé. Questo è l’unico atto di cannibalismo di tutto il film. Da allora in poi il folle rapisce le donne, le violenta sul letto accanto al cadavere della fidanzata e le uccide. La sorella della ragazza uccisa risolve tutto in un sanguinario finale. Qui c’è di tutto, secondo lo stile D’Amato che ha fatto sempre del gusto per l’eccesso la ricetta del suo cinema. Necrofilia, cannibalismo, schizofrenia, feticismo sadico. Un blood and gore più che un cannibal movie, o almeno una cosa che sta a metà strada.
Apocalypse domani (1980) di Antonio Margheriti (si firma Anthony M. Dawson) presenta invece una variante metropolitana del tema cannibale. Alcuni reduci dal Vietnam si trasformano in famelici zombi vampireschi affamati di carne umana. Un virus (altro titolo del film è infatti Virus) che hanno contratto in guerra si propaga e miete vittime. Un film che è piaciuto più negli Stati Uniti che in Italia.
Antropophagus (1980) di Joe D’Amato (sappiamo che è Aristide Massaccesi) è un film molto splatter che fornisce un’altra variante sul tema. Un uomo durante un naufragio si è dovuto cibare dei corpi della moglie e del figlio per sopravvivere. Tutto questo lo fa impazzire e l’uomo diventa un mostro schiavo del cannibalismo. Quando una comitiva di turisti sbarca nell’isola l’attacca e divora alcune persone. Alla fine viene catturato e rinchiuso in fondo a un pozzo, dove finisce per mangiare se stesso strappandosi le viscere a morsi. D’Amato non mette in piedi la solita scopiazzatura con gli uomini bianchi che vanno nella giungla e trovano i cannibali. Il film è originale ed è costruito attorno a una storia piacevole ed efferata al punto giusto. Certo che bisogna essere amanti del genere e sapere quel che si va a vedere quando si comincia a guardare un film di D’Amato. Qui il disgusto è messo in mostra al massimo grado: il cannibale strappa il feto a una donna (una giovanissima Serena Grandi) e se lo divora, poi c’è il finale cult con il mostro che si mangia le viscere quasi fossero un piatto di spaghetti. Per finire con Joe D’Amato citiamo anche Porno Holocaust (1980), un emblematico esempio di contaminazione di generi (hard, horror e cannibal movie). Anche qui troviamo la figura di un cannibale su un isola deserta, una sorta di mostruoso zombi che prima uccide le donne con un membro gigantesco e poi se le divora. Il titolo ricorda Cannibal Holocaust per motivi di cassetta ma in realtà si tratta di un lavoro con una ben precisa identità.
Rio Savage El cannibal (1980) è un film spagnolo diretto da Jesus Franco. In un paese dell’America Latina l’attrice Lara Crawford è rapita da una banda di criminali che si rifugiano in un’isola da dove chiedono il riscatto. Qui c’è una tribù che venera una creatura antropofaga che si scatena contro i banditi e li divora. Il regista Peter Weston, giunto con i soldi del riscatto, uccide il mostro, libera Laura e fugge insieme a lei. Il film si fa ricordare soprattutto per le molte scene di violenza sessuale, per le torture e per l’antropofagia esibita.
Citiamo pure Primitiv (1980) come mito del trash. Il film è una scadente produzione giapponese realizzata da Sam Gardner e si limita a copiare Cannibal Holocaust senza averne la stessa geniale originalità. Segnaliamo: serpenti palesemente finti, uccisioni poco realistiche, sangue incredibilmente rosso, cannibali che sembrano scimmioni, intere scene girate in studio invece che nella giungla. E poi non c’è tensione, manca la storia, la recitazione è a livelli scolastici.
Terror Cannibal (1984), noto anche come La dea cannibale, è attribuito a Jesus Franco e Franco Prosperi ma pare che sia di Julio Perez Tabernero (o di tutti e tre, resta un mistero). Coproduzione italo-spagnola con Al Cliver (Pier Luigi Conti) e la bella Sabrina Siani nella parte della bambina rapita che diventa regina dei cannibali. Vediamo la trama. Un gruppo di turisti in vacanza si avventura in una giungla equatoriale e si imbatte nei cannibali. La storia si ripete, qui l’unico accenno di originalità sta nella motivazione vacanziera. Inevitabile il massacro. Viene rispettata soltanto una bambina che i cannibali portano via e allevano tra loro. Il padre, sebbene monco di una mano, riesce a fuggire. Passano gli anni, la bambina cresce e diventa la regina dei cannibali. Dieci anni dopo il padre torna sull’isola, sconfigge i cannibali e la porta via con sè. Da citare come effetto trash non da poco la scena in cui gli indigeni ballano il tuca – tuca.
Anche Il cacciatore di uomini (1984) è di Jesus Franco ed è un film spagnolo, però ha per protagonista Al Cliver (Pier Luigi Conti). Qui c’è un altra cosa molto trash: il cannibale stupratore con gli occhi a palla. La comicità è soltanto involontaria, la storia è davvero scarsa e si salva soltanto per l’ottima resa cinematografica e per la bella colonna sonora. Jesus Franco è un regista che ha tanto mestiere.
Nudo e selvaggio (1984) di Michele Massimo Tarantini è un cannibal movie avventuroso e molto splatter che si ricorda soprattutto per la sequenza di un cuore strappato e divorato.
Schiave bianche – Violenza in Amazzonia (1984) di Mario Gariazzo (Roy Garrett), pur essendo la solita scopiazzatura di altri film più importanti, presenta qualcosa di nuovo. Gariazzo non è un grande regista ma in questo lavoro raggiunge livelli di sufficienza. Il film si apre con una scena ambientata in un’aula di tribunale, dove si svolge un processo per duplice omicidio, imputato è Catherine Miles (Elvire Audray). Il processo si alterna ai ricordi della protagonista. Catherine, subito dopo la licenza liceale, è andata in Brasile dai ricchi genitori che mandano avanti con l’aiuto degli zii un’importante piantagione. La famiglia riunita festeggia il compleanno di Catherine e tutti insieme decidono di partire per una gita sul fiume all’interno della foresta amazzonica. Purtroppo subiscono l’assalto dei Guanijrà e pare che siano proprio loro a uccidere i genitori di Catherine con terribili frecce al curaro. Subito dopo tagliano le teste ai malcapitati e se le portano via per esporle al villaggio come trofei. La ragazza viene salvata dall’indigeno Umukai che le succhia il veleno da una ferita mortale, quindi viene rapita e condotta al villaggio. Per prima cosa viene assegnata a un uomo e sverginata quasi fosse una festa. Catherine apprende che i Guanijrà tolgono la verginità alle loro donne a soli quattro anni durante un rituale prestabilito. Poi instaura un rapporto di amore-odio con Umukai che lei ritiene l’assassino dei genitori. È lo stesso Umukai a confessare la terribile verità: sono stati gli zii a uccidere suo padre e sua madre. La ragazza studia un diabolico piano di vendetta e si fa condurre alla piantagione dove massacra gli zii con frecce al curaro e colpi di machete. A questo punto Catherine vorrebbe tornare nella giungla e vivere per sempre con Umukai, ma lui è costretto a rifiutarla perché secondo le leggi della tribù una donna non può commettere omicidi. Non solo: lascia che la canoa si capovolga e muore nel fiume perché sa che non può più averla. Catherine torna nel mondo civile, è processata e condannata a otto anni di manicomio criminale perché le viene riconosciuta l’infermità di mente. Sono da ricordare le sequenze finali con Catherine e suo figlio in un parco di Londra. Il bambino chiama la mamma e le fa vedere che la sua barchetta giocattolo si è capovolta nell’acqua. Il pensiero di Catherine subito corre a Umukai morto per amore. Il finale è da dramma sentimentale più che da cannibal movie. Tra gli attori è molto brava la bella protagonista francese Elvire Audray. L’amante delle scene sanguinarie (decapitazioni, frecce negli occhi, uccisioni rituali) può trovare motivi di interesse in un lavoro tutto sommato dignitoso. Questo è l’ultimo film italiano di una certa importanza per quel che riguarda il cannibal movie. Dopo il 1985 il cinema italiano di exploitation non ha prodotto niente o quasi. Negli anni Ottanta c’è una ventata di moralizzazione che limita molto gli autori di exploitation. La dipendenza dai modelli statunitensi (prima reaganiani e oggi bushiani) impone l’abbandono dei generi pericolosi e contro corrente. Il genere cannibalico si spenge, rantola, quindi muore. Ma presenta una fine gloriosa prima con Schiave bianche – violenza in Amazzonia e poi con Inferno in diretta di Ruggero Deodato.
Citiamo qualche pellicola che appartiene al filone dei documentari puri, quelli sulla scia dei mondo movie.
Le facce della morte (1981) di Conan Le Cilaire (pseudonimo collettivo che comprende di sicuro Mario Morra) è una rassegna di orrori vari: esecuzioni di condannati a morte, dissezioni di cadaveri in obitorio, macelli comunali, disastri…
Le facce della morte 2 (1982) sempre di Le Cilaire cavalca il successo del precedente ed è ancora più allucinante nel mostrare tutti i possibili modi di morire corredati da un commento fuori campo.
Africa dolce e selvaggia (1982) di Angelo e Alfredo Castiglioni si pone sulla scia di Ultime grida dalla Savana e dei mondo movie. Molto sensazionalismo e scene di selvaggio naturalismo.
Cannibali domani (1983) di Giuseppe Scotese è forse il film documentario meno violento e professionale. Il regista si sforza di fare un lavoro di denuncia e di commossa partecipazione.
Dolce e selvaggio (1983) di Mario Morra e Antonio Climati (gli stessi autori di Ultime grida dalla Savana), è un film datato che descrive la violenza tra animali e la caccia tra uomo e animale.
Dimensione violenza (1984) di Mario Morra è un documentario internazionale che mette in mostra esecuzioni sulla sedia elettrica, taglio delle mani a ladri arabi, cuccioli di foca abbattuti e molte altre delicatezze.
Nudo e crudele (1984) di Adalberto (Bitto) Albertini (Albert Thomas) ricerca orrori di ogni genere e ci mostra gli uomini proboscide, gli ultimi cannibali, gli alligatori antropofagi e un transessuale operato.
Love duro e violento (1985) di Claudio Racca ci mostra frattaglie varie, un ripugnante cambio di sesso, la macellazione dei maiali e un inserto snuff dove una ragazza viene scuoiata dal vero.
Mondo senza veli (1985) di Adalberto (Bitto) Albertini (Albert Thomas) è solo un contenitore di cose macabre e bizzarre che ne fanno una chicca per gli amanti delle curiosità da baraccone.
Mondo cane oggi – L’orrore continua (1985) di Paolo Bianchini (Max Steel) rimanda al Mondo cane di Jacopetti e lo fa rimpiangere. Ci sono storpiamenti di bambini e altre pratiche ripugnanti.
Mondo cane 2000 – L’incredibile (1988) di Gabriele Crisanti. Si esagera ancora di più: vivisezione, bambine prostituite, droga pesante, omosessualità, borsa nera, organi umani da trapianto, pornografia, corpi lacerati e distrutti e altre cose di questo genere.
Per completare in modo esauriente la panoramica generale sul cinema cannibalico in Italia dobbiamo accennare anche al sottogenere horror degli zombi che presenta alcune tematiche comuni.
Il filone zombi esiste sin dalle origine del cinema horror (Ho camminato con uno zombie, 1943 di Jacques Tourneur) ma è stato riportato in auge dai film di Romero (La notte dei morti viventi, 1968 e Zombi, 1978). In Italia i primi film che parlano di zombi sono degli anni Sessanta e attraversano vari generi (Ercole al centro della terra, 1961 e Terrore nello spazio, 1965, entrambi di Mario Bava), ma il primo vero filone zombi lo avvia Lucio Fulci con l’inimitabile Zombi 2 (1979), lo prosegue lo stesso regista con Joe D’Amato, Umberto Lenzi, Pupi Avati e Michele Soavi.
Ma non divaghiamo. Rimandiamo per gli approfondimenti sugli zombi a Horror Made in Italy volume 2 (pag. 95 – 105), di Antonio Tentori e Luigi Cozzi (Profondo Rosso).
Ai nostri fini dobbiamo analizzare il cinema degli zombi che presenta analogie e commistioni con i cannibal movie.
Zombi Holocaust (1980) di Marino Girolami (Frank Martin) ha anche un altro titolo: La regina dei cannibali ed esce un anno dopo Cannibal Holocaust. È un classico esempio di cannibal-zombi ricco di tremendi effetti splatter che aggrediscono lo spettatore sin dalle prime sequenze. Gli effetti speciali sono di Maurizio Trani e di Rosario Prestopino, mentre la sceneggiatura è di Romano Scandariato. Il cast è composto da Donald O’ Brien (il dottore pazzo), Ian Mc Culloch, Sherry Buchanan, Richard Johnson e Alexandra Delli Colli. In un ospedale di New York spariscono parti di cadaveri, un infermiere viene scoperto e si suicida lanciandosi dalla finestra. La dottoressa Lory, il dottor Peter Chandler, il suo assistente George e una giornalista (Susan) partono per Kyto, nelle Molucche, terra di cannibalismo. Qui vengono accolti dal dottor O’Brien che vive là da tempo e li mette in guardia sulle strane cose che accadono. A Kyto il gruppo è aggredito da indios cannibali, Lory e Peter si salvano e scoprono che O’Brien è un folle che resuscita i morti e crea zombi artificiali. Il dottore tenta di zombificare anche i nostri due eroi ma non ci riesce. Sono i cannibali a risolvere la situazione e a uccidere il dottore dopo aver acclamato la donna come loro dea. Il film ebbe un grosso successo all’estero per la particolare efferatezza delle scene e per gli effetti speciali truculenti, ma non si tratta di un capolavoro. Fa il verso qua e là a Zombi 2 di Fulci e soprattutto ai capolavori di Romero. Per quel che riguarda il cannibal movie è Deodato il punto di riferimento più vicino, a partire dal titolo ammiccato molto furbescamente. Buona la musica di Nico Fidenco, anche se spesso si tratta di temi già sentiti nel precedente Emanuelle e gli ultimi cannibali. La fotografia di Franco Zuccoli è pessima, spesso troppo scura nelle scene notturne.
Virus (1980) di Bruno Mattei (si firma Vincent Dawn) è noto pure come L’inferno dei morti viventi. Lo ha scritto lo stesso regista insieme a Claudio Fragasso ed è interpretato da una sensuale Margit Eveline Newton e da Franco Garofalo. Gli effetti splatter anche qui sono notevoli (d’altra parte in un film di zombi non possono mancare…) e sono curati da Giuseppe Ferranti. Non possiamo fare a meno di notare che siamo in presenza di uno zombi movie contaminato dalla moda imperante del cannibal movie, vuoi per l’ambientazione in Nuova Guinea, vuoi per il tentativo di messaggio ecologista. Da sottolineare la presenza quasi ingombrante di scene tratte da un mondo movie giapponese diretto da Akira Ide (Nuova Guinea: l’isola dei cannibali) che si vanno a sovrapporre al film e si intersecano (male) con le scene d’azione. La trama ricalca qualcosa di già visto. Da un’industria chimica che ha sede in Nuova Guinea esce per errore un gas radioattivo che trasforma uomini e animali in zombi assassini (il primo contaminato è un topo che divora un tecnico della centrale in una scena molto trash). Il contagio si espande agli indigeni e ai tecnici della centrale con effetti incontrollabili. Il governo invia quattro improbabili poliziotti per indagare sull’accaduto ed eliminare le prove delle malefatte commesse. In Nuova Guinea il gruppo votato al massacro incontra anche una coppia di fotoreporter d’assalto. Finale scontato. Si tratta di un film modesto che è piaciuto molto ai giapponesi notoriamente amanti del trash. Ci sono tante sequenze splatter (mitica quella del bambino zombi che si divora il genitore a morsi), la storia è incoerente, la recitazione pessima, si copiano scene e musiche di altri film. Tutto questo dà un sapore kitsch al film, ma in realtà è più opportuno parlare di trash perché non c’è niente di voluto o di intellettuale in Virus, il solo colpevole è il budget scarso. Tanto per dire: le divise della polizia sono le uniformi degli spazzini spagnoli, poi mancavano i soldi per comprare le munizioni a salve e via di questo passo. Per chiarire l’uso dei termini dobbiamo dire che trash e kitsch significano entrambi spazzatura ma indicano due realtà estetiche diverse. Come dice Umberto Eco, kitsch è il prodotto di pessima fattura che rivendica validità culturale e valore di bello, il trash invece è pienamente consapevole della propria bruttezza e non aspira a riconoscimenti culturali, anzi vive proprio di questo suo essere trash che richiama particolari fasce di pubblico.
After Death (1988) di Claudio Fragasso sfrutta le atmosfere dei cannibal movie ma è in tutto e per tutto un puro film di zombi.
Concludiamo con un altro film sugli zombi che rasenta il trash e che ha qualcosa in comune con i cannibal movie: Le notti erotiche dei morti viventi (1980) di Joe D’Amato. Si tratta di una variazione in chiave erotica sul tema degli zombi e l’ambientazione caraibica lo avvicina come atmosfera alle pellicole del filone cannibalico. Un horror curioso che alterna momenti orrorifici, scene splatter e parti di puro cinema erotico. Tutte cose già viste e già dette in un mio vecchio libro dedicato ad Aristide Massaccesi.
(7/2 – continua)