UN CANNIBALE DI NOME DEODATO: IL CINEMA THRILLER – HORROR DI UN REGISTA AMERICANO 09

Capitolo Nono

L’ultimo sapore dell’aria e i lacrima movie

Pare quasi impossibile che lo stesso autore di un’efferata trilogia cannibale come Ultimo mondo cannibale (1977), Cannibal Holocaust (1980) e Inferno in diretta (1985) abbia girato un film come L’ultimo sapore dell’aria, uscito nelle sale italiane il 24 febbraio del 1978. Un lavoro su commissione, che il regista considera minore nell’ambito della sua filmografia e che la critica relega nel sottogenere del lacrima movie. Deodato scrive persino il soggetto, con la collaborazione di Gandus e Carpi (sceneggiatore), mentre le musiche (stile Rocky) sono di Ubaldo Continiello e contribuiscono a sottolineare il clima di angoscia. Ricordiamo il tema di Feeling che accompagna una storia d’amore adolescenziale. La trama è davvero strappacuore. Diego (Lupo) è un sedicenne orfano di padre con una madre rigida e incapace di affetto, del tutto disinteressata al figlio. Nessuno lo capisce, né il padre adottivo, né l’insegnante (Savagnone) che pensa solo ad assegnare assurdi temi scolastici. Il ragazzino rischia di finire nei guai, frequentando un gruppo di piccoli malviventi, abbandona la casa, cerca lavoro in un garage, infine incontra Marco (Diberti), un allenatore di nuoto che lo prende sotto la sua ala protettiva. In un primo tempo Diego aiuta Giovanni (Gino Pagnani, doppiato da Ferruccio Amendola) a fare le pulizie in piscina, ma un bel giorno Marco intuisce le sue potenzialità atletiche e comincia ad allenarlo per farlo diventare un campione. Marco vede nel ragazzo quel che lui non è potuto diventare e gioca tutte le sue carte cercando di vincere per interposta persona. La cosa più importante è costruire un uomo, subito dopo il campione. Nel racconto di taglio sportivo si inserisce anche una storia d’amore stile Love Story tra Claudia (Galeazzi), la sorellina dell’allenatore che studia musica in conservatorio, e il piccolo campione. Purtroppo quando tutto sembra andare per il meglio avviene la triste scoperta della malattia: il ragazzo ha un tumore al cervello incurabile. Marco e Diego non si danno per vinti, vanno ad allenarsi in campagna insieme a Claudia, e preparano l’ultima gara ad Amsterdam. Finale straziante con una 400 stile libero maschile interminabile che Diego riesce a concludere mentre il pubblico è in piedi, conosce il suo dramma e grida il suo nome. Finirà tra le braccia di Marco: “Adesso sono diventato un uomo?”. “Sì, Diego. Il migliore, il più forte di tutti”, sarà la risposta. Diego muore con il sorriso sulle labbra, coronando un sogno, baciando Claudia e stringendo forte il suo allenatore, il solo che gli ha sempre dato fiducia.

L’ultimo sapore dell’aria, uscito nei paesi anglofoni come The last feeling, può contare su un alto budget garantito da una milionaria produzione giapponese. La pellicola è curata nei minimi particolari, girata a Roma e nel finale persino ad Amsterdam, ben fotografata e accompagnata da un intenso commento musicale. La colonna sonora comprende persino la canzone Feeling i cui diritti costano una cifra spropositata. I giapponesi fanno le cose in grande perché il genere sentimentale in oriente è molto apprezzato e un simile film garantisce un grande successo di pubblico. Racconta Deodato che nei cinema asiatici vendevano il biglietto d’ingresso con allegato il fazzoletto per asciugare le lacrime. La scelta del regista non è casuale, ma viene deciso il nome di Ruggero Deodato dopo il buon successo giapponese di Ultimo mondo cannibale, che serve a far produrre anche un film di pura imitazione come Primitiv.

Deodato – da noi avvicinato alcuni anni fa – ricorda il film con affetto, definendolo “un lavoro bellissimo”. Non è una valutazione esagerata, si tratta di un film programmato spesso in televisione, perché educativo, pieno di buoni sentimenti, a tema sportivo e sull’impegno agonistico. L’ultimo sapore dell’aria ruota attorno a due personaggi molto ben costruiti e realistici: il ragazzo e il suo allenatore, che solo qualche critico abituato a spararle grosse e che non ha mai avuto niente a che fare con lo sport può definire “in odore di omosessualità”. Il giovane atleta e l’allenatore che crede nel suo piccolo campione sono ispirati alla realtà, si tratta di due figure ricorrenti nella letteratura sportiva. Il film insegna che bisogna lottare per riuscire a vincere e si deve imparare a soffrire per poter crescere. Le riprese delle scene di nuoto sono molto realistiche, Deodato si avvale di tutta la sua esperienza come regista di spot pubblicitari per realizzarle. La scena finale con il bambino che muore gareggiando mentre la folla lo incita è molto toccante. Tra l’altro pare che il finale sia stato cambiato in extremis e girato in tempi rapidi, perché il soggetto originale prevedeva la morte di Diego negli spogliatoi dopo aver vinto la gara al termine di uno sforzo estremo. Pare che Franco Zeffirelli abbia contestato il previsto finale perché troppo simile a quello del suo film in lavorazione: Il campione. Ruggero Deodato, da noi avvicinato, nega questa versione, diffusa da Wikipedia senza citare alcuna fonte: “Non credo proprio che il mio film abbia avuto problemi con Zeffirelli. Il produttore del film aveva realizzato L’ultima neve di primavera e credo fosse antecedente al film di Zeffirelli”.

L’ultimo sapore dell’aria è un lacrima movie atipico, perché se è vero che c’è la famiglia disastrata che si disinteressa di un bambino è anche vero che la storia non si svolge in un mondo popolato da personaggi ricchi fuori dalla realtà, ma nelle borgate romane. Il realismo è una cifra stilistica di Deodato che nella prima parte insiste nel colorare di nero l’ambientazione romanesca, tra piccoli truffatori, personaggi marginali e una scuola incapace di ritagliarsi un ruolo educativo. Lo sport è l’ancora di salvezza, il solo appiglio sociale che tende la mano a figli provenienti dal sottoproletariato. Lacrima movie insolito anche perché racconta la storia di un adolescente che si ammala e muore, inoltre è ambientato nel mondo dello sport e c’è persino una storia d’amore adolescenziale (appena accennata) sulle orme di Love Story. Deodato pone l’accento sul travaglio interiore adolescenziale, sulle insicurezze di un ragazzino che sta per diventare uomo e sulla solitudine interiore di cui è circondato.

Un flop ai botteghini italiani. Un successo in Giappone.

La critica. Antonio Guastella (Nocturno Cinema): “Tecnicamente ben realizzato nelle sue parti dialettiche e nel far incontrare il tema sportivo con la tragedia infantile. Perfetto alla fine del decennio per le esigenze tipiche di immaginario masochista e tenace come quello del Sol Levante, senz’altro meno per quello italiano. L’agonismo come filosofia nel nostro cinema non ha mai avuto molto seguito, figuriamoci quello minore del nuoto, con gli allenamenti accompagnati dalla musica di Continiello che riecheggiava quella di Rocky”. Vi risparmio il resto della critica, lo sfoggio di cultura fine a se stesso che il recensore sbatte in faccia al povero lettore che alla fine si chiede: abbiamo visto lo stesso film? Marco Giusti (Stracult): “Strappacuore prodotto dai giapponesi che avevano adorato Ultimo mondo cannibale. (…) Vince, fa un record e muore (non è vero!, nda). In Italia non fece una lira. Troppa tecnica e troppa poca passione (frase attribuita a Nocturno)”. Giusti non ha visto il film, di sicuro non è arrivato alla fine, ché la racconta diversa… Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Lacrima movie girato da un maestro del cannibal movie: e in effetti il finale, con Diego agonizzante che concorre alla finale juniores, fa sfigurare per sadismo e cinismo le scene peggiori di Cannibal Holocaust. Per il resto gli stereotipi patetici ci sono tutti. Curioso l’allenatore in sospetto di omosessualità. Peccato, perché la partenza romanesca era simpatica. Da incubo le musiche di Ubaldo Continiello che fanno il verso a Rocky”. Il vero incubo è una critica saccente e fuori dalla realtà come questa. Pino Farinotti concede due stelle e si limita a definire il film “un dramma strappalacrime”. Conferma le due stelle Morando Morandini: “Semplice e assai gracile nel soggetto e nei dialoghi, tenta di stemperare la melensaggine di fondo nelle divagazioni sportive e negli intervalli folcloristici”. Filmbrutti.com lo giudica meritevole di tre lacrimoni su cinque: “Mi aspettavo molto peggio: il film non è male, è vedibile, e a parte i primi venti minuti non c’è il rischio di riempire una cisterna con le lacrime (o col vomito) stile telenovela. La storia di Diego è un po’ banale ma il film è ben fatto e non cade mai nel trash, anche se il finale è un po’ inverosimile. Non mi è dispiaciuto affatto e non mi vergogno a dirlo”. Non c’è niente di cui vergognarsi, infatti. È piaciuto anche a noi. Deodato non ci regala uno dei soliti cammei, ma si cita in una battuta del protagonista: “Io so chi è Beethoven… è quello sordo, vero? Ha fatto un bel disco, con l’arrangiamento di Deodato”.

Scheda tecnica completa: Regia: Ruggero Deodato. Soggetto: Ruggero Deodato, Roberto Gandus. Sceneggiatura: Tito Carpi, Roberto Gandus. Fotografia: Claudio Cirillo. Montaggio: Daniele Alabisio. Scenografia: Carmelo Patrono. Musiche: Ubaldo Continiello. Produttore: Giovanni Masini. Produzione: Tritone Cinematografica. Interpreti: Carlo Lupo, Vittoria Galeazzi, Luigi Diberti, Jacques Sernas, Angela Goodwin, Fiorenzo Fiorentini, Deddi Savagnone, Roberto Pangaro, Alfio Androver, Emilio Delle Piane, Gino Pagnani, Gianni Solaro, Maurizio Rossi.

(9 – continua)

Gordiano Lupi