Jacopo Nacci, classe 1975, di Pesaro, scrive da diversi anni, e si è cimentato con i due romanzi Tutti carini e Dreadlock, ha partecipato al progetto collettivo Lo zelo e la guerra aperta e cura il blog yattaran.com.
La sua ultima fatica è un saggio, Guida ai super robot dal 1972 al 1980, un viaggio per Odoya nei giganti d’acciaio giapponesi da Mazinga Z a Gundam.
L’abbiamo incontrato per farci raccontare qualcosa di più su un libro non liquidabile come puramente nostalgico.
COME MAI HAI DECISO, DOPO ALTRE PROVE LETTERARIE, DI SCRIVERE QUESTO LIBRO SU QUESTO ARGOMENTO?
Stavo studiando i super robot da narratore. Inoltre a un certo punto mi sono reso conto che, mentre tenevo laboratori di narrazione, usavo strutture e anche veri e propri esempi tratti dalla super-robotica e dagli anime in generale. Alessandro Schettini di “Pesaro Comics & Games”, che conosco da una vita e con il quale da ragazzi abbiamo condiviso le stesse passioni, mi chiese di tenere una lezione sui super robot nell’ambito dell’edizione del 2014 di “PC&G”. Preparai un piccolo paper e qualche slide.
Poi tutta la faccenda si è evoluta, espandendosi dapprima in una serie di post sul mio blog, comunque piuttosto limitata nella selezione delle serie. La felice intuizione di quanto fosse opportuno e appropriato lavorare a uno studio sistematico è stata di Marco De Simoni di Odoya, il suo ruolo è stato determinante. Senza di lui oggi la Guida ai super robot non esisterebbe, nemmeno nel proverbiale cassetto.
QUAL È IL TUO PRIMO RICORDO LEGATO AI ROBOTTONI GIAPPONESI?
Sicuramente Goldrake, ma i primi ricordi sono piuttosto vaghi e onirici, e sono sepolti sotto strati di repliche televisive della serie e acquisizioni, da parte mia, di nozioni più chiare.
Ricordo molto nitidamente l’annuncio su TV Sorrisi e Canzoni dell’arrivo delle nuove puntate di Goldrake, con i nuovi vestiti per Actarus e Venusia, credo fosse la pausa di programmazione dell’estate del ’78. Ricordo la prima messa in onda di Mazinga Z, che mi parve subito cupissimo, e di Astrorobot, e ricordo “Gli UFO Robot contro gli invasori spaziali” al cinema, fu una bomba, e fu anche il momento in cui feci due più due in merito alla questione Alcor-Ryo-Koji.
Poi partì l’ondata grossa anche in Italia.
QUALE ERA E QUAL È IL TUO PERSONAGGIO PREFERITO TRA I MOLTI CHE CITI?
È una domanda difficilissima! Actarus/Duke Fleed è stato talmente importante che non so nemmeno quanto abbia senso nominarlo, sta giustamente su un altro pianeta. Da ragazzino ho amato tantissimo Zambot e Daltanious e credo che Kappei e Kento siano tutt’ora i personaggi ai quali sono più legato, ma mi tengo volentieri anche i relativi smilzi: Uchuta e Danji.
Oggi poi posso apprezzare appieno due personaggi il cui spessore, all’epoca, per motivi legati alla programmazione italiana, ma anche al fatto che ero uno moccioso, mi restava precluso: Musashi di Getter e Koji Kabuto, ognuno di loro compie attraverso la propria serie o la propria saga un’evoluzione psicologica frutto di grande sapienza narrativa.
PERCHÉ CONSIGLIERESTI OGGI DI GUARDARE QUESTI CARTONI ANIMATI, AD UN BAMBINO DI ALLORA MA ANCHE AD UN BAMBINO DI OGGI?
A un ex-bambino di allora direi di approfondire senza nostalgismo, senza cercare di ricreare le condizioni dell’infanzia in una sorta di trance, direi di guardare qualche serie come se la vedesse per la prima volta e godere degli aspetti più adulti e sotterranei. Perché? Perché ne vale la pena.
A un bambino di oggi direi di provare per vedere se gli piace, ma giusto perché magari scopre qualcosa che non conosce, e non perché io creda che manchino opere e stimoli all’altezza nel panorama contemporaneo.
Alla fine si tratta di vocazioni personali, qualcosa ti risuona, qualcosa meno, qualcosa ti respinge. E ogni epoca ha le sue mitologie, che sono sempre le stesse, e nello stesso tempo sono sempre diverse, riadattate, ricreate, mutate di segno e significato.
PROSSIMI PROGETTI?
Tornare alla narrativa. Ma ciò non significa che non continuerò a smontare le cose per vedere come sono fatte. Probabilmente c’entrano tutti quei moduli volanti che per anni ho guardato aprirsi e scomporsi per agganciarsi o trasformarsi.