
Divisa in due parti (la seconda è La vendetta di Crimilde, 130’, che narra della distruzione dei Nibelunghi ad opera della donna guerriera), di cui noi consideriamo solo la prima per i suoi aspetti fantastici, e girata con l’ottica del kolossal, l’epopea nibelungica dedicata da Lang al popolo tedesco è un’opera straordinaria incentrata sul mito, sulla forza dei sentimenti (anche quelli meno nobili) e la centralità del caso, che dirige ogni azione umana (tema portante del cinema langhiano). Più fantastica, sebbene anche più formale, simmetrica ed equilibrata nello stile figurativo e nella scenografia dalla rigorosa concezione architettonica, la prima parte del film, che lascia invece il posto ad un caotico dinamismo nella seconda, piena di furore e battaglie, per quanto stilisticamente controllata. L’architettura scenica si fa elemento drammatico predominante, il decorativo quasi prevale sull’umano, in quest’opera plumbea in cui gli dei sembrano assenti e gli eroi mitici ridotti a semplici uomini in balia delle proprie emozioni. Molto è stato detto sui contenuti del film, sull’esaltazione del germanesimo, il filonazismo della sceneggiatrice Thea Von Harbou (non condiviso da Lang), l’antisemitismo espresso da alcuni critici per come sono trattati i nani di Alberico e un’accusa di razzismo nei confronti del regista per come ha tratteggiato il popolo degli Unni. Nonostante il fatto che Hitler e Goebbels amassero questa pellicola (più la prima parte che la seconda) è anche evidente che Lang ha costruito un film in cui il destino è unico burattinaio, cosa che certo non appoggiava il pensiero nazista incentrato tutto sull’esaltazione della volontà. Da notare come, all’inizio del film, la creazione della spada di Sigfrido nella fucina al di sotto delle montagne ricordi l’apertura di Conan il barbaro di John Milius. Al rifiuto del regista di girare un remake sonoro, convinto che sarebbe andata persa l’anima originale dell’epopea, nel 1966 apparve I Nibelunghi di Harald Reinl.