SUPERMAN TAI DARTH VADER (1980) – PARTE 03
SATURN 3 (Saturn 3)
Il Capitano James è stato incaricato di portare su una base posta sul satellite di Saturno, Titano, denominata Saturn 3, dove si svolgono ricerche biologiche, un nuovo tipo di robot ma un suo collega, Benson (Harvey Keitel) al quale il comando ha imposto di non intraprendere altri voli perché accusato di essere mentalmente instabile, prende il suo posto e lo uccide. Poi a bordo dell’astronave della vittima si dirige e atterra nei pressi della Stazione di Ricerca. Il personale della stessa è di due persone: il maggiore Adam (Kirk Douglas) e la sua assistente Alex (Farrah Fawcett), i quali oltre che avere una relazione, sono i due biologi che compiono ricerche per aiutare il pianeta Terra con i suoi problemi, come chiaramente ci dice il Capitano Benson.
Benson: “La Terra ha fame.”
Adam: “Siamo qui per questo.”
Benson: “Le vostre ricerche vanno a rilento!”
Adam: “Facciamo il possibile.”
Benson: “Non basta, vi serve una mano!”
E “la mano” sarebbe data da questo nuovo tipo di robot, ma prima di iniziare il suo lavoro Benson, che ha messo gli occhi sulla bella Alex, le rivolge una proposta molto diretta, dopo averle offerto una blu, un tipo di capsula che serve da eccitante. (Bell’esempio di anticipazione della realtà, perfino il colore del Viagra è stato indovinato…).
Benson: “Lei ha un bel corpo, vorrei usarlo.”
Alex: “Sto con il Maggiore!”
Benson: “Vuol dire che è suo esclusivo consumo?”
Alex: “Sì!”
Benson: “Questa, sulla Terra, si chiama asocialità.”
Alex: “Qui non siamo sulla Terra. Si goda i suoi blu!”
Benson inizia il lavoro sul suo robot e mostra ai due il cervello che verrà innestato sul corpo di Hector, così si chiama il robot per la creazione del quale i tecnici si sono basati sui disegni di Leonardo da Vinci.
Benson: “Puro tessuto cerebrale.”
Alex: “È umano?”
Benson: “È come se lo fosse. È formato da migliaia di cellule neurocerebrali sintetizzate. Non ha ricevuto stimoli, è vergine, per ora.”
Adam: “Dovrà essere programmato. Un essere umano ci mette almeno vent’anni per avere…”
Benson: “Basteranno pochi giorni.”
Alex: “Soltanto pochi giorni?”
Benson: “Quando funzionerà il robot svolgerà il vostro programma.”
Alex: “Funzionerà da solo?”
Benson: “Praticamente sì!”
Alex: “E poi?”
Benson: “Uno di voi sarà obsoleto!”
Hector prende lentamente forma e viene inizializzato direttamente dal cervello di Benson, la mente, cioè di uno psicopatico ed assassino e tale diventa Hector che dopo aver ucciso Benson dà la caccia ai due e soprattutto ad Alex. Solo il sacrificio di Adam che, con una bomba in mano, si getta su Hector risolverà la situazione. Alex, rimasta sola, può finalmente andare sulla Terra come era suo desiderio poiché, essendo nata nello spazio, non aveva mai visto il suo pianeta natale. La regia è di Stanley Donen.
Diciamo subito che il massimo impegno nella realizzazione del film è stato messo solo ed esclusivamente sul robot, ben fatto e molto ben riportato sullo schermo! La prerogativa che rende tutto il film apprezzabile è lo spazio ridotto (la base su IO) in cui i personaggi si muovono, condannati a un destino imprescindibile; ci sono molte similitudini con Alien e lo stesso John Barry ne conferma gli spunti, anche se in realtà il film è stato scritto prima ancora di Alien; la differenza tra i due è che nel primo l’alieno si vede molto poco, mentre nel secondo la sua interattività è costante. Donen desiderava un robot credibile, non artefatto e senza lucine e lucette che lo rendessero ridicolo: doveva essere un vero robot nell’era dei viaggi interplanetari! È stato costosissimo realizzare Hector, sia per le ore di lavoro che per i materiali adoperati; ne sono stati costruiti diversi in modo da poterli utilizzare in varie situazioni, ognuno con un braccio diverso: è molto più semplice attaccare le braccia a un corpo quando queste devono eseguire varie operazioni a seconda del momento. È un po’ come giocare con il Lego Technics, ogni componente è a sé stante e può essere interconnesso con gli altri a seconda della funzione desiderata; così Hector aveva diversi corpi e altrettante braccia da scambiare: quando Douglas gioca a scacchi con lui, infatti, il corpo utilizzato è quello statico, ovvero quello che non prevede più di cinque movimenti, mentre per le altre scene, si utilizzano corpi con un minimo di venti azioni. Tutti i robot sono radiocontrollati tramite cavi e fili e solo raramente veniva utilizzata una persona da inserire all’interno per farlo camminare. Il suo meccanismo è complesso, ma non troppo difficile da esaminare: al suo interno si trovava un pendolo di piombo per accertarne sempre il giusto bilanciamento (per non farlo cadere) dal momento che l’armatura era molto pesante, gli occhi erano stati inseriti in seguito su di un piano visivo diverso da quello a noi tutti conosciuto, questo dava l’impressione che Hector potesse occupare un posto di rilievo nel mondo dei robot (una sorta di Zeus sull’Olimpo) e le sue mani, estremamente complesse, non avevano niente di umano: infatti il loro movimento era dato esclusivamente dai tecnici del radiocontrollo. Ci sono voluti giorni e giorni di prova per sincronizzare al meglio i movimenti fra il corpo e le braccia e si verificavano puntualmente dei problemi con i cavi: a volte erano scoperti e rischiavano il corto circuito, altre volte si disinserivano… I cavi rossi e blu che si possono vedere all’esterno di Hector non sono lì solo per bellezza, ma il settanta per cento di essi sono reali, sono cioè i cavi di alimentazione e del radiocomando: quelli blu sono stati utilizzati per le articolazioni (mani e braccia, piedi e gambe), quelli rossi sottili e corti servivano per i controlli interni (pendolo di bilanciamento e movimento degli occhi) mentre quelli rossi grossi e lunghi sono serviti per i condensatori e i trasformatori.
Donen sforò nel budget per la costruzione del robot, ma la produzione decise di accordargli ancora un po’ di dollari, a patto che non decidesse di diventare socio di un’impresa per la costruzione dei robot! Furono tutti soddisfatti di Hector, era riuscito bene, molto bene!
Altri piccoli inconvenienti di produzione si ebbero durante la costruzione dei vari set: all’inizio c’erano troppe luci multicolori e troppi cavi di alimentazione venivano lasciati scoperti e questo non giovava certo alla bellezza estetica del film. Donen così ebbe una folgorazione: perché non lasciare in vista tutti i cavi e ridurre l’illuminazione al minimo? Dapprima tutti rimasero allibiti, ma in fondo l’idea non era poi così bizzarra; nel film infatti non è specificato esattamente dei vari ambienti, quindi si può tranquillamente lasciare spazio all’inventiva. Così facendo non ci sarebbero stati grandi problemi nella sostituzione di fili elettrici e la base stessa avrebbe acquisito una forma ben definita; la scelta dell’illuminazione maggiore in colore blu è stata determinata unicamente dai tecnici: lavorando molte ore al buio, gli occhi si stancavano molto, quindi inserire per comodità una luce non violenta e soffusa avrebbe facilitato umore e lavoro!
(3 – continua)