HO VISTO COSE CHE VOI UMANI NON POTETE IMMAGINARE (1982) – PARTE 01
“Non c’è nessun uomo su questa Terra che abbia la saggezza
e l’innocenza di un fanciullo.”
(I Figli dello Spazio di Jack Arnold)
E.T. L’EXTATERRESTRE (E.T. The Extra – Terrestrial)
È notte fonda e una nave spaziale è atterrata nel fitto bosco che costeggia una cittadina americana. Un gruppo di alieni sta compiendo degli esami e prelevando dei campioni della flora terrestre ma la loro missione è disturbata dall’arrivo di un gruppo di macchine dalla quale scendono degli uomini dotati di potenti torce elettriche che cominciano a esplorare la zona. Li guida un individuo di cui noi vedremo, fino quasi alla fine, solamente il mazzo di chiavi che porta attaccate all’asola dei pantaloni.
Disturbati dall’incursione, gli alieni decollano frettolosamente lasciando uno di loro a terra. Questi si rifugia nei pressi di una abitazione vicina al bosco. Gli occupanti della casa sono la madre Mary (Dee Wallace) ed i suoi figli Michael (Robert MacNaughton), Elliott (Henry Thomas) e Gertie (Drew Barrymore, nipote del famoso attore John Barrymore. Crescendo diventerà popolare come attrice ma per i problemi di etilismo di cui fu affetta a nove anni e successivamente a dieci anni con la droga per poi disintossicarsi riuscirà a tornare al cinema a quattordici). La donna si è separata da poco e specialmente Elliott ha risentito e risente della mancanza del padre. È proprio Elliott che riesce a contattare e a portare in casa il piccolo extraterrestre e si stabilisce tra lui e l’alieno un rapporto che va al di là della semplice amicizia ma si crea un legame attraverso il quale l’uno capta le sensazioni dell’altro. E.T., come Elliott battezza l’alieno, vuole mettersi in contatto con i suoi e in questo il piccolo lo aiuta portandolo, o meglio facendosi portare da E.T. in volo attraverso il bosco facendo, con i suoi poteri, levitare una bicicletta con il giovane a bordo. Qui l’extraterrestre, con un apparecchio rudimentale costruito con pezzi di giocattoli, lancia un segnale nel profondo cosmo. Gli eventi però precipitano: Elliott e l’alieno si sentono male e Gertie e Michael sono costretti a rivelare tutto a Mary che impone ai suoi figli di uscire subito di casa, una casa che da parecchi giorni misteriose figure tenevano sotto controllo ed è proprio in quel momento che militari, poliziotti e medici, irrompono nell’abitazione e la isolano ponendola in quarantena. Uno dei medici interroga Michael.
Dottore: “Non ha mai costruito qualcosa o preso qualche appunto?”
Michael: “Ehm… no.”
Dottore: “Elliott sente i suoi pensieri?”
Michael: “No, Elliott… Elliott sente i suoi sentimenti…”
Elliott e l’alieno sono posti sotto una tenda a ossigeno e tenuti sotto controllo da una équipe di medici. L’uomo misterioso (Peter Coyote), che anche nel cast è indicato come “Chiavi” e di cui ora vediamo finalmente il viso, ha indossato una tuta isolante e bussa con le mani guantate, alla sezione di vetro dove giace il piccolo Elliott.
Chiavi: “Elliott, io sono stato nella foresta.”
Maggiore: “Non dovrebbe parlare, ora.”
Chiavi: “Invece deve farlo ora, Maggiore. Elliott… quell’apparecchio, che impiego ha?”
Elliott: “Il comunicatore… funziona ancora?”
Chiavi: “Qualcosa sta facendo… cosa?”
Elliott: “Veramente… non dovrei dirlo… lui è venuto da me… è venuto da me…”
Chiavi: “Anche da me è venuto. Ho desiderato questa cosa da quando avevo dieci anni e non voglio che muoia. Cosa si può fare che non stiamo già facendo?”
Elliott: “Deve… andare a casa sua… Sta chiamando la sua gente… Io non so dove sono… Lui ha bisogno di andare a casa.”
Chiavi: “Elliott, io non penso che sia stato lasciato qui con qualche intenzione, ma che lui sia qui è un miracolo, Elliott… è un miracolo! E tu hai fatto il meglio di quanto si potesse fare… Sono felice che abbia trovato te.”
Pochi istanti dopo le apparecchiature mediche rivelano che lo stato di salute dell’alieno sta rapidamente degenerando. Elliott si volta verso il suo amico che giace nel lettino vicino a lui.
Elliott: “E.T.”
E.T.: “Elliott…”
Elliott: “E.T., resta con me… ti prego!”
E.T.: “Resta…”
Elliott: “Mi spiace… Io sarò sempre qui… io sarò sempre qui!”
E.T.: “Resta… Elliott… resta… resta… resta… resta…”
Ogni segno vitale scompare dal corpo dell’alieno e, prima di portarlo via in un contenitore frigorifero, Chiavi lascia Elliott solo con il suo amico.
Elliott: “Guarda che cosa ti hanno fatto! Quanto mi dispiace… E sei morto davvero? Perchè io… non so cosa sentire… io non sento più niente, non ci riesco…Vai in qualche altro posto ora? Io… io penserò a te per tutta la vita… ogni giorno… E.T… Io ti amo!”
Il piccolo alieno però non è morto. Elliott e i suoi amici riescono a portarlo via ai medici e ai militari, poi caricano E.T. sulla bicicletta di Elliott e tutti quanti decollano verso il profondo del bosco mentre il Sole sta tramontando.
L’astronave atterra davanti a loro mentre Mary, Gertie e Chiavi arrivano sul posto. La piccola si avvicina all’extraterrestre.
Gertie: “Io volevo solo dire addio…”
Michael: “Non lo conosce addio.”
E.T.: “Sta… buona.”
Gertie: “Sì…”
E.T. (rivolto a Michael): “Gra… grazie.”
Michael: “Di niente!”
Ora il piccolo E.T. è davanti ad Elliott.
E.T.: “Vieni…”
Elliott: “Resto qui!”
E.T.: “Ohi… ohi.”
Elliott: “Ohi… ohi.”
I due si abbracciano poi i giganteschi occhi azzurri dell’alieno guardano il suo piccolo amico.
E.T.: “Io sarò sempre qui.”
Elliott: “Addio!”
L’astronave decolla tracciando un arcobaleno nel cielo stellato poi si allontana nella notte…
La prima del film al pubblico avvenne al Festival di Cannes e, al finale strappalacrime, seguirono dieci minuti di applausi ma, prima ancora, fu fatta una proiezione privata alla Casa Bianca quando era presidente Ronald Reagan e la First Lady Nancy Reagan ne fu commossa fino alle lacrime. La sua uscita ufficiale ha avuto luogo l’11 giugno 1982 e durante il primo anno di programmazione, e solo nell’America del Nord, il film ha guadagnato più di 359.867.000 dollari d’incasso ed è stato calcolato che più di 350 milioni di persone abbiano visto questo film.
Ma quanto è costato questo capolavoro di incassi? Non molto per la verità, solo dieci milioni e mezzo di dollari e nei primi sessanta giorni di programmazione ne aveva già realizzati 200.000.000. La lavorazione è stata molto serena e armoniosa ed è terminata, addirittura, quattro giorni d’anticipo sul previsto. Si era previsto che ci sarebbero voluti molti mesi, per le scene girate con i bambini: come è noto infatti, non è sempre facile far recitare dei bambini, soprattutto bisogna tener conto delle loro necessità come il dormire o il divertirsi, ma la cosa più importante era quella di non rendere il clima troppo nervoso o pressante! Tutta la troupe pensò quindi di diventare la “mamma” di Drew, Henry e Robert… Bisogna dire che il clima registrato fu di vero rilassamento!
È stata data molta importanza agli effetti ottici e agli effetti speciali; in principio si pensò che 35 sfx sarebbero bastati, ma alla fine se ne sono contati ben 50! Ma il diverso uso degli effetti ha fatto veramente la differenza: generalmente guardando un film molto costoso, lo spettatore sopravvaluta la storia prediligendo gli effetti speciali: spettacolari esplosioni, voli ravvicinati, e alieni multiformi, se togliamo tutte queste spettacolarità, la trama si riduce all’osso: bene e male che si scontrano… In E.T. tutto ciò è in parte vero, ma l’uso degli effetti è vincolato alla trama. Nella pellicola non vediamo esplosioni, non vediamo navi spaziali colorate e ricercate, non vediamo alieni dalle armi micidiali… ci sono tre bambini, un alieno semplice (nella forma), tanto amore e i classici cattivi opportunisti! Quello che Steven Spielberg ha voluto dimostrare è che non servono special effects per raccontare l’amore incondizionato tra un bambino e un’altra creatura, come lo stesso regista ha affermato:
“E’ difficile creare una storia diversa dal solito senza cadere nella banalità! Ci siamo ispirati all’illimitato amore che i bambini riescono a dare a tutti coloro che li circondano… Abbiamo pensato di raccontare una favola vista con gli occhi dei più giovani, di coloro che rappresentano il nostro futuro”.
Proprio per questa sua idea sconfinata di amore ed amicizia Spielberg fu insignito di un prezioso premio dal Segretario Generale dell’ONU, in occasione della proiezione del film al Palazzo delle Nazioni Unite; il film fu scelto dalla commissione come esempio di pace mondiale (ed intergalattica!). Oltre ciò l’Associazione Nazionale Insegnanti e Genitori d’America (National American Teachers and Parents) ideò un manifesto alternativo di E.T. nel quale si promuoveva l’uso delle cinture di sicurezza in auto: bambini ed adulti lavorarono alacremente al progetto che fu riconosciuto dallo stesso Spielberg come una delle maggiori iniziative benefiche finora realizzate.
L’ideazione di E.T., il cui titolo provvisorio era inizialmente A Boy’s Life, venne a Steven Spielberg mentre stava lavorando per George Lucas a I Predatori dell’Arca Perduta, ispirandosi a un episodio della sua gioventù quando, a soli sette anni, suo padre lo portò in aperta campagna per vedere una pioggia di meteore. Egli pensava a una piccola storia sull’amicizia di un bambino con un alieno e ne parlò a Kathleen Kennedy, produttrice associata del film ideato da Lucas. La Kennedy convinse una perplessa Melissa Mathison, compagna e poi sposa di Harrison Ford, a scriverne la storia; dopo una lunga selezione nella quale Spielberg e i suoi collaboratori fecero i provini a trecento bambini egli osservò, con le lacrime agli occhi, la prova del piccolo Henry Thomas e lo scelse assieme alla Barrymore e MacNaughton.
Azzeccata la scelta dei piccoli non-eroi, tutto doveva incentrarsi sul protagonista alieno: brutto ma non orribile, buono ma non consueto! Il piccolo alieno è costato un milione e mezzo di dollari. La sua realizzazione è opera di Carlo Rambaldi e per questo fu insignito dell’Oscar. La sua scelta fu improvvisata e inaspettata, ma questo era l’unico modo per rimediare alla eventuale perdita di milioni di dollari per il rilascio del film stesso! Quando Steven Spielberg arrivò sul set di E.T. trovò una spiacevole sorpresa: i venti tecnici che aveva chiamato e gli ottocentomila dollari che aveva speso per far realizzare il suo alieno erano stati gettati al vento. Il risultato era un essere dall’aspetto sì brutto, come lo voleva, ma non certamente simpatico e manovrabile con quella gamma di espressioni che al regista era necessaria per la buona realizzazione della pellicola! Fu con disperazione che si ricordò ancora una volta di Rambaldi che già era intervenuto per lui in Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. Il tecnico ferrarese accettò ma chiese nove mesi per la preparazione dell’alieno. Spielberg però non aveva più tutto quel tempo, temeva che la pellicola slittasse alla stagione successiva e così diede a Rambaldi un massimo di sei mesi per inventare e costruire l’essere in almeno quattro esemplari. Come dicono nei film: “Così fu detto e così fu fatto”. Carlo Rambaldi e i suoi collaboratori impiegarono qualcosa come oltre cinquemila ore di lavoro per ideare e costruire quattro versioni diverse di E.T. Ispirandosi al suo gatto himalayano, i modelli furono ideati con una struttura di alluminio e acciaio sul quale fu inserita una muscolatura in fibra di vetro, poliuretano e caucciù. Poi ogni muscolo principale aveva il compito, tramite il collegamento meccanico ed elettronico, di dare ad E.T. un’espressione ben determinata e diversa dagli altri collegamenti effettuati con gli altri muscoli. Sono state costruite tre diverse teste che potevano essere intercambiabili sul corpo e ognuna di esse espletava una diversa funzione. La prima era comandata a distanza da un sistema di leve e permetteva dei movimenti ampi, la seconda per accentuare le espressioni e la terza, che era usata per i primi piani, consentiva ogni minima variazione espressiva. Testa e corpo potevano consentire un totale di diciassette punti di articolazione primaria e una quarantina di quelle secondarie. C’erano dodici operatori al servizio del piccolo alieno e di questi ben quattro solo per i movimenti della testa e del viso. Un altro risultato credibile fu ottenuto con la respirazione e il battito cardiaco e per fare questo dei palloncini d’aria sono stati collegati con dei sottilissimi tubi di plastica al torace della creatura. Lo spazio era molto ristretto quindi non fu facile ottenere il risultato di un “cuore luminoso” agendo in uno spazio non più grande di un centimetro e mezzo di profondità. In tutto, quindi, secondo quanto dichiara lo stesso Rambaldi, furono realizzati quattro modelli di E.T. Essi avevano da un massimo di 85 punti di movimento a un minimo di 40. Poi fu costruita anche una tuta che fu indossata da un nano per le scene in campo lungo.
Sempre seguendo le dichiarazioni di Carlo Rambaldi la tuta fu costruita perchè quando il piccolo robot si muoveva nelle scene realizzate in studio, doveva essere preventivamente preparato uno scasso sul pavimento di circa trenta centimetri di profondità per potervi nascondere i meccanismi che muovevano le gambe della piccola creatura, questo non era possibile farlo nelle scene all’aperto, sull’asfalto e, per queste scene, un nano, Pat Billon, che morì un anno dopo, indossava la tuta per un totale di scene che costituiscono non oltre il nove per cento del film. In altre scene venne utilizzata Tamara De Treaux, un’altra nana. Solo nella scena di E.T. ubriaco fu usato un bambino focomelico, Matthew De Merritt, nato senza gambe, che inventò l’andatura ondeggiante di un E.T. in stato di etilismo acuto. Dopo vari ripensamenti il colore scelto per l’extraterrestre fu un magenta chiaro il tutto ricoperto di una vernice di metano per simulare l’umidità della pelle.
Secondo Kathleen Kennedy, co-produttrice del film, il piccolo alieno non è mai stato interamente mosso meccanicamente, asserì infatti: “Tutte le volte che si muove è il nano Pat Billon che ne indossa la tuta”. Di questo fatto nessuno può confermarne o smentirne la veridicità, tantomeno nessuno può in qualche modo sminuire le capacità di Rambaldi che ha sempre lavorato nel modo più professionale possibile.
Parlando proprio di Billon citiamo un episodio spiacevole di cui il nano fu protagonista: in una ripresa, Billon, indossando la tuta di E.T., rischiò di rimetterci la pelle dal momento che la stessa prese fuoco; senza lasciarsi prendere dal panico Spielberg intervenne spegnendo l’incendio e salvandogli la vita.
La cura del piccolo extraterrestre non è stata mai lasciata al caso e per le sue rifiniture furono ingaggiati personaggi diversi: gli occhi semoventi sono stati realizzati da un bravissimo artigiano specializzato nella costruzione di protesi ottiche per non vedenti; le mani in primo piano sono quelle di una donna mimo, Caprice Rothe, per conferire al piccolo alieno il potere di esprimersi al meglio con l’uso delle mani. La voce, nella versione americana, è quella di una signora di 82 anni, Pat Welsh, che l’esperto in effetti sonori Ben Burtt ha incontrato casualmente in un supermercato; i suoi gorgoglii, invece, sono opera di Howie Hammerman, un dipendente di George Lucas, mentre i grugniti ed alcune parole sono dell’attrice Debra Winger.
Nella scena in cui Elliott incontra per la prima volta l’extraterrestre e lo illumina con la sua torcia elettrica e sia il ragazzo sia l’alieno lanciano un urlo, quello di E.T. è stato realizzato con il verso di una lontra trattato elettronicamente. Sempre in tema di sonorità e musiche, non va dimenticato che l’ormai famosissimo John Williams è stato l’ideatore, curatore e arrangiatore della colonna sonora del film.
Il film ha preso parecchi premi e, a parte le nove candidature e i quattro Oscar, non possiamo sottacere il Globo d’Oro (Golden Globe Award) e il secondo prestigioso posto dato ad E.T. come “Uomo dell’Anno” assegnato dalla prestigiosa rivista Time Magazine. Naturalmente l’incasso è stato direttamente proporzionale al costo, pensate che solo nel Nordamerica ha incassato più di 360 milioni di dollari nei primi dodici mesi. Mica male!
In ultimo non è male ricordare che proprio E.T. ha dato il logo alla casa di produzione di Spielberg, la Amblin Entertainment, con la scena della bicicletta che vola nello sfondo lunare.
(1 – continua)