III TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: IV CLASSIFICATO (PARI MERITO)

NARUK

di POLISSENA CEROLINI

Sono anni che il Popolo del Cielo conquista terre. Dai gelidi picchi innevati delle Montagne Alte, si spostarono in tutta la valle, allargando a macchia d´olio i loro possedimenti. Sapevano per natura, comunicare con molte creature ma soprattutto, conoscevano la lingua dei draghi.
Immense creature alate lunge come sei cavalli ed altrettanto pesanti, le cui ali aperte coprivano la larghezza di tre case. Le protuberanze ossee sul capo, nei soggetti più anziani prendevano al forma di ampie corna incurvate verso la bocca. Avevano il fuoco nel ventre e riuscivano a sputarlo dalle possenti fauci irte di squame appuntite.
Un drago per ogni guerriero.
Sapevano per istinto chi era il loro padrone. Potevano aspettare anche una vita il loro richiamo e avrebbero potuto sentirlo da qualunque parte del mondo fosse arrivato.
I Gransìdi erano un popolo di guerrieri. Riuscirono a tenere testa ai draghi per molti giorni e ne abbatterono due. Pochi attimi di gloria quando, le due creature precipitarono sulla sabbia ocra, sollevando l´ultima, densa nuvola di polvere, poi, ovviamente, il tracollo.
In poche settimane, come tutti gli altri nelle valli, erano divenuti vassalli del Popolo del Cielo.
Il figlio del demonio, così era conosciuto il giovane Naruk tra i Gransìdi, sua madre si era macchiata della colpa più grande, aveva giaciuto con uno degli invasori e lo aveva concepito.
In quel burrascoso periodo di morte e dolore, la giovane Ashia si imbatté in un cavaliere ferito. Il suo drago era stato abbattuto. Era notte fonda e il tenue bagliore della sua pelle tradì la sua presenza. Il primo istinto di Ashia, fu quello di chiamare i suoi fratelli, invece lo condusse in una caverna, al riparo dalla luna che faceva brillare la sua pelle, e che li avrebbe traditi.
Quella notte Ashia conobbe l´amore e il cavaliere la morte.
Un gruppo di guerrieri vide la sua pelle riflettere la luce lunare alla sponda del fiume dove era andato per dissetarsi e lì lo uccise.
Ashia riuscì a nascondere a tutti l´infame discendenza di suo figlio, rasandogli i capelli, che come quelli dei suoi padri, sarebbero cresciuti folti e dello stesso colore dell´argento, e impedendogli di uscire di casa dopo il tramonto, cosicché nessuno potesse vedere la sua pelle diafana brillare dello stesso tenue scintillio della luna.
La discendenza bastarda di Naruk rimase segreta per dodici anni, fino alla morte prematura di sua madre, una calda notte d´estate.
La notte in cui un ragazzino spaventato corse per tutto il villaggio in cerca di aiuto, la notte in cui tutto il villaggio lo vide brillare, evanescente e meraviglioso.
Non lo uccisero, era pur sempre sangue Gransìde, ma da allora Naruk è lo schiavo del villaggio, il reietto, il capro espiatorio di anni di dominio.
Sono passati altri dodici anni da quella notte, Naruk è cresciuto, alto e bello, come del resto tutto il popolo di suo padre, i suoi capelli color argento sono cresciuti lungi e folti, incorniciando un viso talmente perfetto da sembrare dipinto. Le sue spalle si sono irrobustite sotto il peso delle cataste di legna che negli anni ha dovuto spostare, i suoi muscoli si sono fatti turgidi, scolpiti dai lavori umili e faticosi cui è stato destinato, la sua pelle, così incredibilmente chiara è stata segnata dalla frusta e dalle corde.
E mentre alla luce del sole veniva scansato o deriso, era sotto la coperta sicura della notte che molte tra le più belle donne del villaggio lo cercavano per ricevere i suoi favori.

Era la quarta notte del mese del raccolto, un periodo difficile per tutto il villaggio, faticoso ed estenuante; il lavoro nei campi si duplica, bisogna raccogliere per il tempo delle nevi e per i tributi al Popolo del Cielo.
Naruk aveva lavorato tutto il giorno al campo più esposto ad ovest. Il sole era stato impietoso, picchiando tutto il giorno e spaccando la terra riarsa. Il suo giaciglio era semplice e spoglio, e si trovava nella stalla di Uma il capo del villaggio, Iria il figlio maggiore, come tutte le sere lo accompagnò alla stalla, gli slacciò il collare e gli incatenò la caviglia alla staccionata. Tre metri di catena, sufficienti ad arrivare al fontanile, al cumulo di paglia dove di solito si addormentava, ma soprattutto sufficienti ad arrivare alla finestra sul lato lungo della stalla. La finestra da cui si vedeva la stanza di Liliath, la figlia minore di Uma. -Questa è la tua cena, demonio, ti conviene addormentarti subito, domani sarà una dura giornata.- Naruk non lo ascoltava era abituato a sentirsi dare del bastardo, del demonio e molto altro, era solo stanco, si sedette su un mucchio di paglia e prese a massaggiarsi i polsi distrattamente.
Quando Iria se ne fu andato si avvicinò al fontanile e con i palmi ben poggiati sul bordo di pietra vi immerse la testa ed il torso. Una scrollata energica, e nuovo vigore sembrò rifiorire dalle sue stanche membra. Era notte ormai da tempo, i rumori del villaggio quasi cessati, finiti gli screpitii dei fuochi esterni, finito lo sciabordio degli utensili alla fonte, finito il chiacchiericcio di chi era andato a lavarli.
I rumori della notte sono rassicuranti, calmi, Naruk si concesse qualche minuto sdraiato sulla paglia secca, in assoluta contemplazione della notte, mentre la sua pelle iniziava a brillare. Come un cristallo esposto al sole la pelle del Popolo del Cielo, riflette la luce lunare, brillando eterea ed evanescente.
Quando finalmente tutti i rumori si acquietarono, Naruk si alzò. Come tutte le notti si avvicinò alla piccola finestra corrosa dal tempo. Dalla grande casa di mattoni di fronte non arrivavano rumori.
Qualche minuto di attesa e la tenda colorata venne spostata. Liliath è una ragazza di piccola statura, esile e delicata, dai grandi occhi nocciola. Si sporse appena dal davanzale in marmo verde, furtiva, attenta. Si guardò in torno un paio di volte e quando fu finalmente sicura che non ci fosse nessuno, lo salutò con un gesto della mano.
Negli anni, avevano elaborato un codice per potersi parlare senza usare le parole. Lei si strinse le mani al petto, poi con la destra disegnò un cerchio in aria.
“Mi sei mancato oggi”.
Lui sorrise.
Liliath, si sporse ancora e con un salto scivolò giù dalla finestra, poi con pochi passi silenziosi lo raggiunse.
Aveva un piccolo vaso di terracotta tra le dita dipinte con i colori della terra, come si addice ad ogni donna di nobile casata. -È un unguento cicatrizzante.-
Sorrise gentile. -Ne ho rubato un po´. Ho visto Iria usare la frusta stamani. Voltati, ti lenirà il dolore.- Lui non rispose, si limitò a sorriderle, poi si siedette su un mucchio di paglia dando le spalle alla bella ragazza bruna. Le sue dita sapienti, passarono lungo la schiena muscolosa del ragazzo, indugiando con malizia sul collo. -Guarda qui, cosa hai combinato per farlo arrabbiare così?-
La voce di Naruk è calda e profonda, leggermente roca quando, come in questo caso, sussurra.
-Non è difficile far arrabbiare Iria.-
-Che bella pelle hai, è un sacrilegio segnarla in questo modo.- Le sue labbra calde si appoggiarono sulla spalla di lui, poi più all´interno, vicino al collo.
-E invece guardati, sole, sabbia e frusta.- La sua lingua morbida e calda si insinuò dietro l´orecchio, lui si girò velocemente concedendo il più bello tra i sorrisi e si persero l´una nella braccia dell´altro.

L´alba arriva sempre troppo presto, il pesante cavallo da tiro ha sbuffato un paio di volte e Naruk l´ha considerato il suo modo di dire buongiorno. Prese una manciata di biada dalla sacca di iuta e la porse alla creatura, ha sempre avuto un grande ascendente sugli animali, come tre anni prima, quando il carro di Uma, stava per finire nel dirupo. Iria aveva condotto il carro con Liliath, lungo il campo, voleva burlarsi di sua sorella che era terrorizzata dai serpenti che in quella stagione nidificavano proprio tra le stoppie. Era solo un gioco, ma una delle due bestie venne morsicata da una serpe. Non sono animali velenosi ma lo stallone si imbizzarrì trascinando l´altro cavallo e il carro in una corsa pazza verso il dirupo. Iria venne sbalzato fuori e il carro privo di controllo sarebbe precipitato se Naruk non fosse riuscito a prendere l´imboccatura dello stallone ferito. La bestia si accovacciò a terra, sottomessa. Ad Iria, che aveva quasi causato la morte di sua sorella, vennero inflitte dieci frustate nella pubblica piazza.
La schiena guarì presto, il suo orgoglio no.
Il rumore metallico del lucchetto echeggiò nella quiete dell´alba.
-Muoviti, il grano non si mieterà da solo.- Come ogni mattina, Naruk si inginocchiò davanti ad Iria per farsi mettere il collare di cuoio. Le dita dell´uomo scorsero lungo la fibbia, Naruk però si alzò troppo presto ed essendo almeno un palmo più alto di lui lo costrinse a fare due passi indietro per non perdere l´equilibrio.
Un sibilo, il collare ripiegato che fende l´aria, uno schiocco ed un rivolo di sangue denso e rosso scivolò dal labbro inferiore di Naruk.
Un nuovo sibilo, Naruk chiuse gli occhi, aspettando il nuovo colpo.
-Che sta succedendo qui dentro Iria?-
-Niente padre, lo schiavo mi ha mancato di rispetto.-
Uma è un uomo di grossa statura, ha lunghi capelli scuri, ed una folta barba grigia, acconciata in una lunga treccia. – Vai ai campi a sud, porta lì gli altri schiavi, c´è molto da fare.- Iria annuì e diede un colpetto sulla testa di Naruk. -Hai sentito il tuo re, alzati.-
-No, lui lascialo qui, aiuterà me, Naruk prepara il mio carro. Mi attende un lungo viaggio.-

Uno stridio acuto squarciò il silenzio, due colpi d´ala fenderono l´aria alzando piccoli vortici di foglie secche. Un drago sentinella stava sorvolando il villaggio, oscurando il sole al suo passaggio. Naruk poggiò a terra i finimenti degli stalloni e si fermò a guardarlo.
Il volo della creatura era maestoso ed elegante, quasi danzasse con le nuvole. Il ragazzo era estasiato, rimase in piedi, immobile ammirando i volteggi della bestia azzurra. -Stai giù!- Aveva dimenticato, a lui non è permesso osservare i draghi, tanto meno rischiare di essere visto da loro. Uma gli lanciò una pelle di pecora addosso intimandogli il silenzio. Naruk rimase sotto la pelle per alcuni lunghi minuti, non sentiva più lo sbattere d´ali, ne il suo verso stridente, ma sapeva che il drago era ancora lì.
Sapeva che stava planando silenzioso e letale, Naruk non poteva vederlo ma sentiva il suo respiro gelido. Non era mai stato tanto vicino ad un drago, chiuse gli occhi, riuscì a sentire il suo cuore incandescente pulsare, poi più niente.
Il drago se ne era andato.
Uma chiamò la serva che arrivò in pochi minuti, seguita dalla bella Liliath.
Un velo scuro le copriva il capo. Aveva sandali color oro ed un vestito di seta blu, un vestito da cerimonia. Le sue mani e le sue braccia erano dipinte di azzurro.
Superarono lo schiavo in silenzio. Il sole cominciava a picchiare, ed era solo mattina presto, sarebbe stata una giornata terribilmente afosa.
Naruk porse la mano a Liliath e la aiutò a salire sul carro, con la stessa devozione porse la mano alla madre di lei che con uno sdegnato e secco gesto rifiutò. Era una regina, lui non meritava nemmeno un suo diniego. Inaspettatamente Liliath scese dal carro e si avvicinò al ragazzo, non lo guardò ovviamente, e si rivolse a suo padre. -Ho dimenticato il baule con i doni per il mio futuro sposo, Naruk accompagnami a prenderlo.-
Liliath si fermò sulla porta e lo fece entrare, poi la chiuse dietro di se e vi si appoggiò contro per tenerla chiusa. Passione e bramosia, intrecciate insieme alle loro lingue calde, mentre le lacrime di Liliath scaldavano le guance di Naruk.
-Non mi faranno tornare…-
-Che dici? Saranno solo pochi giorni, mancano parecchi mesi al tuo ventesimo anno, dovrai solo presentarti poi tornerai qui.-
-E se dovessero decidere che dovrò rimanere?-
La guardò negli occhi.
-Ti verrò a prendere.-
Liliath gli passò delicatamente un dito sul taglio nel labbro inferiore e gli sorrise, un sorriso infinitamente triste.
-È stato mio fratello, vero?- Non rispose.
-Ti ucciderà.- Con le dita della destra prese a percorrere la linea dura della sua schiena, si soffermò sul primo segno lasciato dalla frusta.
-Lo stà gia facendo.-
-Sai quante occasioni ho avuto per scappare? Sai qual è l´unico motivo per cui rimango.-
Dei rumori dall´esterno li ridestarono, Naruk sollevò il pesante baule e si avvicinò alla porta, poi rimase lì, in piedi mentre il carro si allontanava.

Mania la serva, chiuse il gancio metallico dietro al suo collo.
Fissò l´altra estremità della catena ad un gancio sul muro della cantina, non era mai stato lì.
-Ora non fare storie ragazzino, Iria mi ha detto di lasciarti qui, non vuole che tu esca in questi giorni, sarà lui in assenza di suo padre ad occuparsi di te, quindi per la Grande Terra, non farlo infuriare.-
Gli passò la mano tonda e piena sui profondi segni sulla schiena. -Quella ragazzina non può rubare tutto l´unguento, la scopriranno.-
La giornata la passò inutilmente legato al muro della cantina semi interrata.
Sapeva sempre con parecchio anticipo quando stava per giungere la sera, già parecchio tempo prima delle tramonto, la sua pelle cominciava a farsi più chiara, ma solo con lo spuntare della luna iniziava la vera lucentezza.
Le luci della casa sono ormai tutte spente, almeno da quello che riesce a vedere da quella posizione. Si accovacciò con le spalle aderenti al muro e si addormentò.
L´abbraccio caldo del sonno lo abbandonò con il suono dell´apertura della porta.
Iria indossava con orgoglio uno degli abiti migliori di suo padre, aveva sempre sognato di succedergli alla guida del villaggio.
-Bisogna preparare una pira funeraria, seguimi.- Uscirono velocemente dalla stalla e passarono davanti al fontanile, Naruk non aveva bevuto niente dal mattino prima, la serva lo aveva legato troppo lontano. L´acqua scrosciava abbondante e si poteva quasi intuirne la freschezza. -Non abbiamo tempo.- Sentenziò Iria semplicemente. Passarono spediti nella la strada principale del villaggio, il giorno prima era morto il vecchio “distillatore di erbe” e alcuni uomini stavano preparando una pira funeraria nella piazza principale.
La piazza era circolare come molte piazze del resto, una grossa pietra bianca al centro commemorava i morti nella guerra contro il Popolo del Cielo.
Un drago di marmo bianco invece, dimostrava la loro sottomissione. La polvere giallastra si levava in nubi dense, al solo loro passaggio, creando piccoli sbuffi. Il maniscalco stava portando delle grandi fascine, dalla sua stalla, al lato nord della piazza, alla base della pira. Poggiate le fascine sulla soglia della stalla si avvicinò ai due uomini. Una pacca leggera sulla spalla di Naruk senza guardarlo, poi l´abbraccio al figlio del re, sfilò la tracolla, cavandone una borraccia di pelle bovina. Una lunga sorsata poi la porse a Iria.
L´odore di vino, inebriante ed agognato raggiunse le narici di Naruk anche da dentro la borraccia, si inumidì le labbra secche ed abbassò gli occhi.
-Eccoti lo schiavo, verrò al funerale, pronuncerò un discorso di commiato. Mio padre lo avrebbe fatto.-
Ad una manciata di minuti dal tramonto Iria tornò a prendere il suo schiavo.
La piazza era già gremita di gente, la vedova era seduta sul bordo della pietra commemorativa bianca, assieme alle due figlie .
Naruk aveva aspettato l´arrivo di Iria dietro alla pira, lontano dagli sguardi del resto del villaggio.
-Muoviti schiavo, devo tornare qui in pochi minuti.-
La casa si Iria è posta in cima ad una collinetta erbosa appena fuori dal villaggio e la raggiunsero in pochi minuti. Iria lo condusse velocemente verso la cantina, prese la catena e la fissò al muro. Si allontanò di qualche passo, e con un calcio ad un mucchietto di paglia, la avvicinò al ragazzo, indicandogliela come si indicherebbe la cuccia al cane. Naruk guardò la catena che lo bloccava al muro, l´ha mentalmente misurata, un paio di metri, insufficienti per arrivare al fontanile. Non disse niente, era uno schiavo, ma non si sarebbe umiliato davanti al suo aguzzino.
La cerimonia funebre iniziò appena Iria fece il suo ingresso nella piazza. La moglie del distillatore di erbe in decoroso silenzio, cosparse la pira di polveri profumate, mentre le concubine piangevano il più rumorosamente possibile, le loro grida e i loro lamenti devono essere sentiti da Mkana, il dio che raccoglie con se i morti, doveva essere svegliato, o non sarebbe venuto a prendere l´uomo, lasciando la sua anima sperduta tra i due mondi.
Mentre le ultime braci sfrigolando nel vuoto andavano morendo, Iria si avvicinò alla moglie del defunto e la abbracciò tanto forte e con tanto trasporto da far girare gli astanti. Un re deve amare i suoi sudditi.

Naruk si era accorto del sorgere del sole dal colore della sua pelle, che come ogni mattina andava scurendosi, prendendo i toni ambrati del popolo dei Gransidi. Rimase fermo, in silenzio per un tempo che gli parve infinito, appoggiato alla parete cui era legato.
Una spada di luce, gli ferì gli occhi, mentre il sole di mezzogiorno irruppe dalla porta spalancata.
Iria non lo guardò, né gli parlò, si avvicinò ad un tino e riempì due otri di vino rosso.
Fu quando si avvicinò alla porta per andarsene che Naruk decise di rinunciare al suo orgoglio.
-Che cosa ho fatto per meritarmi questo?- Iria si girò, lo sguardo sinceramente stupito. Si avvicinò a Naruk di pochi passi, gli occhi rossi d´alcol. -Mi hai umiliato.-
Si girò barcollando portandosi fuori dalla cantina, stava ancora parlando quando si chiuse la porta alle spalle. -Quanto resisterà un bastardo sangue misto senza cibo e acqua?-
Nei due giorni che seguirono, Naruk tentò inutilmente di strappare la catena, rompere il collare, scardinare il gancio dal muro… Nulla però sembrava funzionare, nelle ore calde del giorno aveva appoggiato la guancia al muro, cercando con le labbra arse di trarre beneficio dall´umidità della parete. Aveva gridato, aveva chiamato Mania, gli altri schiavi, aveva persino supplicato Iria, finché le sue labbra non si erano spaccate e la gola non aveva preso a bruciargli.
La porta della cantina si spalancò con un boato, Naruk non riusciva ne ad alzarsi ne a distinguere l´esile figura che correva verso di lui, le sue grida gli arrivavano ovattate e distorte. Quando finalmente riconobbe la sua Liliath, suo padre e suo fratello la stavano trascinando via. Cercò di parlare, di difenderla ma le labbra disidratate gli si spaccarono. Iria capì solo in quel momento quale fosse il sentimento che legava i due ragazzi e colse l´occasione. Aveva finalmente trovato il modo di ucciderlo. -L´ho punito padre, ha abusato di Liliath.-
La razione del vecchio re però lo spiazzò. L´uomo spinse la ragazza verso lo schiavo. -È vero dunque? Ti sei unita con lo schiavo?- Liliath non lo stava ascoltando, si avvicinò a Naruk, gli occhi gonfi di lacrime. Gli prese il viso scarnito tra le mani, faticava a tenerlo su, tanto il ragazzo era debole. -Iria, occupati dello schiavo, voglio che lo scuoi a frustate, e tu, traditrice… Non sei più mia figlia.
Venti frustate, dopo di che finirai i tuoi giorni chiusa nel tempio.- Iria vacillò, non avrebbe mai voluto fare del male a sua sorella, non era quella la sua intenzione. Balbettò qualcosa di incomprensibile, afferrando il braccio del padre che si liberò dalla presa con fare sdegnato.
Naruk con uno sforzo di cui non si credeva capace si erse in piedi, le occhiaie tanto profonde, quanto i suoi occhi erano glaciali. Gridò.
Un grido profondo, gutturale e disperato e in pochi attimi l´immensa creatura che aveva aspettato ventiquattro anni il suo richiamo, piombò sul tetto della cantina distruggendolo con un artigliata. Il grande drago azzurro strappò la catena dal muro, poi con un gesto elegante e maestoso chinò il capo, per permettere a Naruk e Liliath di montarlo e spiccò il volo.

I due giovani si stabilirono nei primi picchi delle montagne alte, a mezza via tra il Popolo del Cielo e i Gransidi.
Nessuno dalle valli si sarebbe addentrato così tanto nel territorio dei draghi, ne il Popolo del Cielo avrebbe avuto interesse ad una sola coppia di individui stanziata su uno dei loro picchi più inaccessibili.
Naruk imparò presto quello che avrebbe dovuto sapere da sempre. Imparò a cacciare sulle spalle del possente drago, a domare le nubi che i draghi creavano con il respiro, creando una coltre perenne intorno al loro rifugio per proteggerli.
Fu una notte dell´estate successiva che Naruk notò una tremula luce salire dalla valle, al loro rifugio. Nessuno li aveva più cercati e nessuno si sarebbe avventurato nei picchi dove riposavano i draghi. Una nebbia leggera soffiata dal drago lo accompagnò giù per il pendio, la spada ben salda nella destra, ma quella che si avvicinava con passo incerto, altro non era che l´altera madre di Liliath.
Era stato uno schiavo per tutta la vita e dovette fare uno sforzo per non cedere all´impulso di inginocchiarsi ai piedi della sua antica padrona.
Uno sforzo ancora maggiore fù quello di sostenere lo sguardo della donna, quando costei lo guardò fisso negli occhi.
Non gli disse nulla, ma gli porse un fagotto. Naruk srotolò le preziose stoffe con le mani tremanti, e scoprì una corona nuziale. La corona di Liliath.
La donna allora si inginocchiò, gli prese le mani e le baciò nella maniera in cui le donne Gransidi baciano le mani dell´uomo a cui concedono la propria figlia.
Naruk non conosceva parole adatte a dimostrare la sua commozione, ne la sua gioia, ma la lacrima che gli rigò il volto fu un sufficiente ringraziamento. La donna con dignità di regina si alzò, diede le spalle a quello che ormai era un uomo e si diresse si nuovo verso il villaggio.