A. Palazzeschi
Nel suo La letteratura come menzogna, Giorgio Manganelli parla di libri dalle caratteristiche particolari, non collocabili né fra i capolavori né fra i minori: si tratta di opere come I tre moschettieri, i romanzi storici di Walter Scott e i racconti di O. Henry, per attenerci agli esempi che fa l’autore.
Le loro caratteristiche sono presto riassunte: “hanno l’arroganza del capolavoro, dell’effimero hanno la svelta protervia”; inoltre sono “frivoli, complici donatori di ore di letizia, destinati a lettori comuni, anonimi, non meno che agli smaliziati, alle persone colte” e infine “il pericolo di uscire, da codesti racconti, più intelligenti, o comunque migliori, più disposti alle aspre imprese della moralità è, direi, nullo”.
Non penso che Alessandro Girola se ne avrebbe a male qualora collocassimo le sue opere all’interno della tipologia citata da Manganelli, sia pure senza istituire improbabili paragoni (al momento improponibili anzitutto per ragioni di sedimentazione culturale) fra alcuni suoi testi e, che so, quelli di uno Scott (dopotutto, il romanzo fantascientifico non è forse il romanzo storico della nostra epoca?). In effetti, nella prefazione a Razza ventura, lui stesso dice in forma assertiva ed esplicita: “la mia scrittura vuole essere principalmente di evasione, del fantastico”… ed evasione e fantastico non mancano di certo fra nazisti in Sudamerica alla ricerca del superuomo, Elisabetta C****** divenuta first lady e in fuga attraverso la Padania, alieni che aiutano minacciosamente italiani e austriaci nella Terza Guerra d’Indipendenza, super eroi milanesi e via delirando, fra what if e steampunk (con tutti i suoi sottogeneri possibili e immaginabili esplorati in lungo e in largo). A corollario (ma neanche tanto) di un simile carnevale dell’immaginazione più sfrenata e fracassona, stanno infine le copertine delle produzioni di Girola: vere e proprie seduzioni grafiche di Chiara S., Giordano Efrodini, Luca Morandi e dello stesso Girola che caratterizzano i testi e adescano il lettore come meglio non si potrebbe. Un packaging di tutto rispetto, insomma.
Cominciamo la nostra breve analisi partendo da un racconto che è già spassoso a partire dalla sua intestazione: Maciste contro Freud. Preso di peso da Il caimano di Nanni Moretti, è il titolo di un film di serie B immaginario citato da Silvio Orlando che contiene stilizzato in sé un ossimoro culturale sicuramente ben presente al regista romano (sia pure in forma di battuta): cultura bassa vs. cultura alta (e adesso magari Girola vs. Moretti?). Inutile dire chi sarà il vincitore dello scontro, se il forzuto che parla ben poco per metafore o l’inventore della psicanalisi che vede metafore dappertutto… più interessante è semmai osservare come l’autore abbia voluto dare diritto di cittadinanza reale e letterale al più improbabile degli scontri. Se la cosa gli sia riuscita o meno lasciamo al lettore giudicare, non senza aggiungere tuttavia che la mancanza di complessi e la leggerezza sfrontata di Girola è già ammirevole in quanto tale.
Fra i romanzi brevi, ci pare esemplare il sopracitato Razza ventura nel quale lo scontro – a tutta prima, e di nuovo, altamente improbabile – in questo caso è fra Waffen SS da un lato e orchi e streghe dall’altro; lo sfondo è quello della Carnia nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La lotta viene resa assolutamente plausibile da un Girola che sa benissimo come utilizzare per i propri fini tanto la gelida ambientazione che l’interesse dei nazisti per l’esoterismo, interesse che li spinse al punto di fondare per mano e volontà di Himmler l’Ahnenerbe, un’associazione che attraverso le sue numerose spedizioni doveva ricercare le radici dell’arianesimo in tutto il globo nonché – nota bene – occuparsi di ricerche sull’occulto. Stabilito un tale punto di partenza, per l’autore i giochi sono fatti ed eccolo pronto a lanciare il lettore in un’avventura ricca di divertente pathos, fra rune, sanguinosi riti magici e sorprendenti superamenti a destra dei nazisti da parte del signore degli orchi, una storia perturbante e profonda quanto può esserlo il castello dei mostri di un luna park, ma non per questo meno avvincente.
In Grexit Apocalypse , senza dubbio il romanzo giustamente più noto di Girola, da un lato abbiamo la situazione politica europea di questi ultimi anni, con la rovinosa crisi economica greca, il debito da ripagare alla UE e il governo renziano, e dall’altro i kaiju, i giganteschi mostri tipici della fantascienza giapponese: un macrocollage che stuzzica subito la curiosità del lettore: che c’entrano le due cose? Com’è possibile unirle con un minimo di logica? Già a questo punto, quindi dopo appena poche pagine di lettura, ci troviamo inestricabilmente invischiati in quel che nella norma ci annoia con quotidiana regolarità – ovvero la politica – perché essa viene ammantata degli interrogativi posti più sopra, pur restando quella cosa tediosa che comprende (in ordine di importanza per lo svolgersi della storia) Tsipras, Boschi, Renzi, Merkel, Cinque Stelle e gli accenni a Putin, Hollande, Isis e alla tragedia continua degli sbarchi di immigrati. Nel corso della narrazione si parla assai perifericamente di americani, che meno male se ne stanno sullo sfondo di fatti e di mitologie in tutto e per tutto europee: per noi, una vera gioia; per la letteratura italiana di genere una sorta di novità assoluta (ma Girola in questo senso è molto italiano – provinciale e perfino paesano nello scovare le sue leggende – e nello stesso tempo europeo, come testimoniano con dovizia di esempi anche gli altri suoi lavori).
Che cosa è veramente seducente nel suo romanzo oltre lo spunto iniziale e la maniera in cui la narrazione viene condotta sotto il profilo della trama (il che non è comunque poco)? A tutta prima, verrebbe da dire, certo non lo stile: l’autore è molte cose ma, almeno al momento, di sicuro non uno stilista, dato che in lui prevale l’urgenza quasi infantile del meraviglioso da raccontare incastonato in trame molto spesso canoniche che ne fanno risaltare la singolarità (1). E tuttavia, nel caso di Grexit Apocalypse, proprio la “mancanza” di stile, si perdoni il gioco di parole, è una scelta stilisticamente perfetta: quel che abbiamo di fronte a noi, infatti, che ci prende dalla prima all’ultima parola pur consci della cialtroneria del suo incredibile assunto di base, è un instant book d’anticipazione, dove uno stile che non fosse opaco e quasi telegrafico, di fatti più che di riflessioni, risulterebbe manieristico. Non abbiamo dubbi: è proprio questo il tipo di libro che uno dei protagonisti di fantasia del romanzo, il giornalista di Italia Uno Luca Volpe, potrebbe scrivere dopo aver vissuto la sua memorabile avventura. Altro aspetto interessante, al quale gli italiani sono ben poco abituati, è senza dubbio quello satirico, giustamente rivendicato da Girola nel suo disclaimer e pur con tutte le delicatezze giuridiche del caso: nella letteratura del nostro paese difficilmente si parla di personaggi politici, soprattutto strettamente contemporanei, in modo così irriverente (Renzi) o utopico (Boschi) (2). Ottima la riuscita anche del tormentato Tsipras, vero eroe da tragedia greca messo fra l’incudine e il martello della sua doppia responsabilità, di uomo e di politico.
Infine, le fonti e i riferimenti dell’autore: basta andare sul suo blog, e alla voce “Recensioni” troverete titoli estremamente indicativi quali per esempio The Afrika Reich di Guy Saville, The Age of Zeus di James Lovegrove, EX – Supereroi vs. Zombie di Peter Clines e Kua’Mau: Kaiju Mother of Wrath di Mark Onspaugh.
Gianfranco Galliano
NOTE
(1) Con Fürher bianco, per esempio, la trama distopico-spionistica congegnata da Girola non è nulla paragonata all’idea di trasformare David Bowie in un astuto e ferocissimo terrorista.
(2) Per quanto mi riguarda, in questo senso ricordo soltanto il precedente di Giuseppe Genna, Catrame, col suo tentativo di interpretare a proprio modo la storia e soprattutto i misteri dell’Italia del dopoguerra attraverso il genere giallo, ma facendo nomi e cognomi reali.