Umberto Lenzi e Tomas Milian – Parte 03
Roma a mano armata (1976) è un altro buon film di Umberto Lenzi (autore anche del soggetto) che si inserisce nel filone romano del poliziottesco. Dardano Sacchetti, vero esperto del cinema di avventura italiano, sceneggia una storia che nasce dalla fantasia del regista. Umberto Lenzi nelle note al film Roma a mano armata, curate da Manlio Gomarasca e Davide Pulici di Nocturno, afferma: “Il produttore mi aveva offerto una sceneggiatura che si intitolava Roma ha un segreto, una storia di spionaggio ambientata a Trastevere, che non stava in piedi e che io cestinai. Proposi al produttore di fare un film sulla violenza della Roma dell’epoca e lui accettò. In una settimana scrivemmo la sceneggiatura”. Il film è costruito come un collage di episodi che definiscono una serie di personaggi e di situazioni emblematiche che vanno dai pariolini stupratori ai sottoproletari dalla battuta pronta.
La fotografia è di Federico Zanni, il montaggio di Daniele Alabiso, le musiche sono di Franco Micalizzi e le scenografie di Giorgio Bertolini. Per Tomas Milian è un film importante perché segna la nascita del personaggio del Gobbo che lo accompagnerà per altri film della serie poliziottesca con Umberto Lenzi. Altri interpreti sono: Maurizio Merli, Giampiero Albertini, Arthur Kennedy, Maria Rosario Omaggio, Ivan Rassimov, Claudio Nicastro, Tom Felleghi, Stefano Patrizi, Biagio Pelligra, Luciano Pigozzi e Luciano Catenacci. La storia vede all’opera il commissario Leonardo Tanzi (Merli), uomo dalle maniere forti, che si scontra con il questore Ruini (Kennedy) che però alla fine è costretto a dire che ha ragione lui e che le maniere forti sono l’unica soluzione per sconfiggere i criminali.
Si comincia subito con una bella carrellata panoramica su Roma e con qualche inseguimento all’americana, vera specialità di Lenzi e parte immancabile nel poliziottesco. Il commissario Tanzi, dopo aver ricevuto una soffiata, si reca in una bisca clandestina frequentata da ricconi dei Parioli e aperta dai marsigliesi di Ferender. Fatta irruzione con i suoi agenti, Tanzi si rende conto che il posto non ha nulla d’illegale. Fuori dal locale, però, il commissario riconosce Savelli, scagnozzo di Ferender, e lo arresta. La permanenza di Savelli in commissariato è breve, giusto il tempo di essere pestato da Tanzi e l’avvocato lo fa rilasciare con un cavillo. Lenzi ci presenta subito il suo solito personaggio del commissario tutto d’un pezzo e dai modi spicci nella lotta contro il crimine. Maurizio Merli è ben calato nella parte e d’altra parte quello è il suo ruolo prediletto. Il commissario vorrebbe mettere su una squadra speciale per dare la caccia ai banditi e avere mano libera. Il questore non è dalla sua parte, ma crede fino in fondo nel rispetto della legalità, così come lo contrasta Anna, la fidanzata psicologa. Maria Rosaria Omaggio non è il massimo dell’espressivo in questo ruolo, recita poche battute composte di frasi fatte, si nasconde dietro un paio di occhialoni da psicologa e prova pietà per i giovani delinquentelli. Alla fine se ne va a Milano per riflettere e lascia il commissario alla sua vita da poliziotto ribelle. Caso vuole che il giorno dopo, durante una rapina, Savelli e i suoi uccidano un poliziotto. Tanzi si mette alla caccia dell’omicida e si reca al mattatoio da Vincenzo Moretto detto il Gobbo, cognato di Savelli, che però non ha intenzione di parlare. Tanzi, allora, lo incastra e lo trascina dentro, per poi dargli una buona dose di botte. Ma il Gobbo in bagno finge il suicidio, viene liberato e mette in cattiva luce il commissario, svelando i suoi metodi. Il vice questore, infatti, lo declassa all’ufficio Licenze Pubblici Servizi. Il Gobbo, intanto, organizza il sequestro di Anna, la compagna di Tanzi che è psicologa al Tribunale dei Minori. Anna viene rinchiusa in una macchina ed è quasi stritolata da una pressa da sfasciacarrozze: finisce all’ospedale in stato di choc. Subito dopo un gruppo di ragazzi della Roma bene interrompe una coppia appartata in auto, l’uomo è malmenato e riesce a fuggire, la ragazza viene violentata. La scena è molto truce ed è una sorta di accusa verso i giovani borghesi annoiati che per passare il tempo commettono ogni sorta di nefandezze. Il fidanzato s’imbatte in Tanzi e insieme corrono sul luogo del delitto, dove la ragazza in stato di delirio dice: “Uno aveva un maglioncino bianco e la faccia da bambino viziato”. La battuta è abbastanza ridicola e si poteva evitare, perché è incredibile che una donna violentata abbia modo di vedere il colore del maglione e la faccia da bambino viziato. In ogni caso un Tanzi super violento si fa giustizia da sé e al bar frequentato dai ricconi mena cazzotti a tutto spiano. Il ragazzo colpevole della violenza fugge in auto e Tanzi, durante un rocambolesco inseguimento, ne provoca la morte. Il giorno successivo, il vice commissario Caputo (Giampiero Albertini) scagiona Tanzi da qualsiasi colpa. Il film è molto frammentario, si tratta quasi di una raccolta di episodi criminali legati insieme da un esile filo conduttore. Poco dopo, una donna chiede a Tanzi aiuto per sua figlia Marta, eroinomane soggiogata dallo spacciatore Tony Parenzo. Il commissario si mette sulle tracce della ragazza, ma al suo arrivo in casa, lo spacciatore ha già iniettato una dose letale a Marta e si è dato alla fuga. Da citare le belle sequenze di caccia al bandito sui tetti di Roma e alcune spericolate scene girate con la controfigura. Quando Tanzi lo riacciuffa, lo minaccia di morte se non gli darà informazioni su Ferender. Ma, proprio sul punto di parlare, Parenzo viene ucciso da un colpo esploso dall’interno di un’auto. Nel frattempo è in corso un’altra rapina con ostaggi e pericolo di vita per inermi cittadini: Tanzi interviene e risolve la situazione. Il Gobbo viene identificato da un benzinaio: è la seconda volta che sfugge a Tanzi, ma non succederà più. C’è pure un bell’inseguimento con un’ambulanza e il Gobbo che intima: “Oronzo tu non fa’ lo stronzo che se ce beccano qua so’ proprio cazzi da caga’” e ci porta in clima Monnezza. Il Gobbo è uno spietato criminale che ricorda molto il Giulio Sacchi di Milano odia, solo che parla in romanesco e ha un aspetto fisico repellente. All’improvviso, il commissario si trova tra le mani un dossier su Ferdinando Gerace, personaggio intravisto sia durante la retata nella bisca sia nei dintorni di casa di Tony Parenzo: Gerace è l’intestatario del capannone dove il Gobbo si riunisce con i suoi. Tanzi va sul posto, fuori trova parcheggiata la macchina usata nell’omicidio di Parenzo, entra, ma viene sopraffatto dal Gobbo che lo immobilizza e gli confessa d’aver ucciso Ferender. Caputo, che sta appostato fuori dal capanno, sopraggiunge e intima al Gobbo di arrendersi. Il Gobbo uccide Caputo, ma Tanzi riesce a sua volta a eliminarlo.
Il finale è un po’ debole e lo spettatore si aspetterebbe ben altro che uno scontato faccia a faccia con duplice omicidio. Nel complesso siamo di fronte a un film dignitoso che fu un incredibile successo commerciale e incassò un miliardo e seicento milioni, una cifra record da film americano.
Mereghetti gli concede due stelle, definendolo “un lavoro elementare ma che sa mettere il dito sulla piaga, molto meno manicheo di quello che si credeva al tempo”. Pino Farinotti invece lo liquida con sufficienza come “il solito film sul commissario violento che, incurante delle ammonizioni del questore e dei consigli della fidanzata psicologa, usa le maniere forti e stermina la solita banda di spacciatori di droga”. Un giudizio davvero superficiale.
Nel film l’invenzione più geniale è quella del personaggio di Vincenzo Moretto, detto il Gobbo, interpretato da Tomas Milian e doppiato da Ferruccio Amendola. Il Gobbo è un sottoproletario rancoroso e dalla battuta facile che si esprime con modi volgari e parla con spiccato accento romanesco da borgata. Il personaggio è nato dalla fantasia e dai ricordi di infanzia di Umberto Lenzi, che lo ha inserito nel soggetto di un film sceneggiato insieme a Dardano Sacchetti. Tomas Milian e Ferruccio Amendola invece gli hanno dato una mimica e una voce che sono rimaste nell’immaginario dei giovani del tempo. Questo personaggio era “una sorta di miscuglio tra il Gobbo di Notre Dame e di quello romanesco del Quarticciolo”, dice Marco Giusti e la definizione è troppo bella per non essere riportata. Umberto Lenzi ha descritto in un’intervista la nascita del Gobbo: “Il personaggio del Gobbo è realmente esistito nel mio paese a Massa Marittima. Parlo dei primi anni Quaranta. Mio padre aveva delle macellerie e mi portava spesso al mattatoio dove c’era un inserviente piccolo che si chiamava Orlando e che tutti chiamavano il Gobbo. Quando ho pensato a un personaggio per il film mi è venuto in mente lui… un tipo dalla battuta sempre pronta. Apparteneva alla malavita ma non era un malvivente, scuoiava gli animali ma leggeva i romanzi. Si trattava di un diverso, gobbo e omosessuale, che mi aveva impressionato perché era aggressivo, sardonico, intelligente, anticonformista. Era incredibile!”. Il Gobbo dell’infanzia di Lenzi le battute le diceva in Toscano perché Massa Marittima è a cinquanta chilometri da casa mia ed conosciuta più che altro per una delle chiese romaniche più belle del mondo. Tra l’altro ho conferma da parte di amici massetani su quanto riferisce Lenzi e posso assicurare che Orlando esisteva davvero al mattatoio di Massa. Il Gobbo è il personaggio che rimane da una storia costruita tutta su Merli e su questo nuovo commissario Tanzi che prende il posto di Betti ma che nella sostanza cambia poco. Lenzi convinse la produzione a inserire nel cast pure Tomas Milian perché aveva avuto un buon successo con Milano odia: la polizia non può sparare (1974) e Il giustiziere sfida la città (1975) e costruì per lui questo ruolo. Il Gobbo piacque così tanto al pubblico che venne riproposto nel successivo La banda del Gobbo (1977), vero e proprio sequel di Roma a mano armata.
Lenzi ricorda così i due attori principali: “Merli aveva un carattere grintoso, Milian era molto bravo ma isterico e scapestrato. Merli era più professionista, più quadrato. Secondo me il miglior attore italiano nel genere d’azione…”. Tomas Milian era cubano, aggiungiamo noi che i cubani li conosciamo bene. E i cubani sono così, pazzi e geniali, folli e scapestrati. Prendere o lasciare.
(3/3 – continua)