<<No, non ci credo, non è possibile! Honus e Cresta combattono contro gli indiani!! Mi crolla un mito!!!>>
“Ecco, ci risiamo. Quel libro fa sempre lo stesso effetto su quei fulminati,” pensò Giulio.
L’interlocutore del “fulminato”, seduto al banco-utenza, come veniva chiamato adesso, rispose con il suo solito sorriso affabile e la sua impagabile competenza. <<Già è vero. Soldato blu è un caso insolito fra i film di Hollywood. Da una parte segue la trama del libro Freccia nel sole di Theodore V. Olsen, diciamo all’80%, ma ne ribalta completamente l’ideologia. Il libro anzi sembra molto più hollywoodiano del film. Segue i cliché dei nativi d’America cattivi e dei soldati buoni, e c’è persino il lieto fine smaccato con gli innamorati che si baciano. Invece il film racconta gli indiani come vittime e i soldati americani come feroci aguzzini. E il finale è amarissimo.>>
<<Infaaatti,>> riprese Giorgio, lo stupefatto utente. <<Nel film Honus e Cresta diventano quasi degli eroi terzomondisti, cercano di evitare il massacro e finiscono in galera per questo. Nel libro invece… aiutano i soldati!! E Cresta non ama il capo Lupo Pezzato, anzi lo tradisce!!>>
L’operatore, Luciano Beta, rispose con un’espressione che univa competenza, disponibilità e comprensione per il crollo di un mito. Ci sapeva fare con quei cinefili giovani eppure fanatici di vecchi film degli anni ’70 e ’80. Mostrava comprensione per le loro manie e non disprezzava quelle che a Giulio sembravano solo palesi esibizioni di idiozia. Giorgio ad esempio sgranava sempre gli occhi ogni volta che dopo aver letto un libro preso in prestito da quella singolare biblioteca, tornava per parlarne con Luciano. E portava sempre in spalla uno zainetto giallo da scolaretto vecchio di almeno 25 anni con l’immagine di Pikachu sul davanti. Sì, proprio l’eroe dei Pokemon, i cartoni animati degli anni ’90! E Luciano Beta, invece di ridergli in faccia gli dava corda, sostenendo con quello pseudo intellettuale mancato che aveva appena imparato a leggere quanto siano complessi e difficili i rapporti fra cinema e letteratura. Giorgio un certo cervello doveva averlo. Giulio lo aveva soprannominato “l’Archivista” perché dei vari film sapeva a memoria regista, cast, sceneggiatori, musicisti ed eventuali origini letterarie. Pochi suoi colleghi, ammetteva Giulio, potevano vantare una simile competenza editoriale tanto dettagliata.
GIULIO era un vecchio bibliotecario vicino a una pensione che si allontanava sempre più. In quella primavera del 2025 gli mancavano pochi mesi a compiere 79 anni e sperava ardentemente di andare in pensione. Aspettava quel momento da quasi 15 anni, ma le continue riforme glielo avevano impedito, allungando di anno in anno l’età pensionabile. E l’amministrazione comunale di Milano lo relegava a mansioni bibliotecarie che ai suoi occhi apparivano sempre più degradanti.
Due anni prima all’ex polo fieristico di Rho era stato aperto un centro che ambiva ad essere la più grande raccolta di testi, critici, didattici e storici relativi alle varie discipline artistiche: cinema, musica, teatro, danza. Il Sistema Bibliotecario Milanese pensò bene di parcheggiarlo lì in attesa che il Sistema Pensionistico Italiano glielo togliesse dalle scatole una volta per tutte.
Tre mesi prima il centro aveva aperto un ufficio dedicato al prestito e alla consultazione dei romanzi da cui erano stati tratti film più o meno famosi, ma che da anni erano fuori catalogo e quindi difficili da trovare. Un apporto per facilitare lo studio dei rapporti fra cinema e letteratura. L’idea era venuta a un funzionario del settore cinema, che s’era reso conto che molti appassionati di cinema, ma anche studiosi e professionisti, leggono poco, non sanno che la maggioranza dei film hanno origini letterarie e di come queste si sviluppano e si trasformano nei film.
Così Giulio, che non era mai stato un cinefilo, ma solo un lettore vorace, era stato delegato ad affiancare Luciano Beta, il vero titolare del servizio, in quella postazione ultra-digitalizzata. Giulio si era stupito nel vedere che l’utenza di quel servizio era fatta per lo più di giovani che conoscevano a memoria decine e centinaia di film recenti ma anche vecchi di decenni, usciti molto prima della loro nascita, ma che avevano recuperato dai siti di digital download, più o meno legali.
Questi libri – raccolti soprattutto dalle bancarelle o da ebay – erano stati immagazzinati nei sotterranei del centro e agli utenti si dava una copia digitale inserita in un’apposita chiavetta dotata di un potente sistema anticopiatura.
La fisicità del libro ormai era diventato un ricordo anche nelle biblioteche, il che non mancava d’immalinconire Giulio, che apparteneva alla schiera – ormai in netto declino anagrafico – dei lettori “che il libro hanno bisogno di annusarlo e sfogliarlo”. Quando gli utenti restituivano la chiavetta, immancabili si accendevano le loro stupefatte discussioni con Luciano Beta su quanto personaggi, trama e persino la morale dei loro film di culto si discostassero dai libri originali.
Giulio non amava quel lavoro. Ma riconosceva che quel servizio aveva almeno il merito di aver portato alla letteratura molti giovani che conoscevano tutta l’opera dei registi più sperduti al mondo, ma a malapena sapevano che esistessero cose chiamate “romanzi”. Questo non gli levava la frustrazione data dal fatto che il suo unico scopo formale lì era prelevare la chiavetta, consegnarla all’utente e posarla quando veniva riportata. Tutto il resto era svolto da Luciano Beta, che non poteva svolgere quella mansione perché la chiavetta aveva quell’unica dote che ad esso mancava: la consistenza fisica. Luciano Beta infatti era un ologramma tridimensionale, che si attivava automaticamente agli orari di apertura della biblioteca, le 9.30 e le 15.00, e si spegneva altrettanto automaticamente alle ore di chiusura, 12.30 e 19.00.
Il suo programmatore era stato lo stesso assessore che aveva progettato quella biblioteca. Luciano Beta era collegato al computer della biblioteca, infarcito di tutti i dati possibili relativi ai suoi libri e ai relativi film. Quando gli utenti nominavano il titolo di un film, questo fungeva da comando vocale al computer che subito avviava la ricerca del libro ad esso collegato, che veniva rintracciato e consegnato in copia digitale. Il computer era programmato anche per dare a Luciano Beta la possibilità una dotta e piacevole discussione su libro e film, qualora l’utente la iniziasse… il che accadeva spesso.
L’assessore aveva intitolato la biblioteca ad Alexandre Dumas, per il semplice fatto che I tre moschettieri è il libro col maggior numero di adattamenti cinematografici della storia. E aveva modellato in quel modo Luciano Beta per un suo ricordo di gioventù. A cavallo fra gli anni ’90 e 2000 infatti frequentava un videoclub nella provincia di Varese, un negozio dove si potevano noleggiare e acquistare videocassette e poi dvd, strumenti ormai obsoleti di visione domestica di film. In un’epoca dove il digital download non esisteva ancora, il suo titolare era abilissimo nel rintracciare vhs o dvd di film introvabili in Italia, ma di cui i cinefili avevano letto cose mirabili nelle riviste o nei libri specializzati… Sì perché, come aveva scoperto Giulio, i cinefili leggono poca letteratura, ma moltissima critica specialistica. Ma anche quel negoziante era un grande ed appassionato esperto di cinema e così i clienti potevano discutere liberamente con lui della loro passione comune. Stando ai ricordi dell’assessore era un incanto sentire quelle lunghe chiacchierate fra il commerciante e i cinefili, figure spesso pittoresche, talvolta non sanissime di mente, dalle tesi critiche talvolta bizzarre. Ma era comunque un luogo di incontro, di socializzazione e di diffusione di cultura. Giulio faticava ad usare la parola “cultura” in un tale contesto, ma Giulio non era un cinefilo, per cui forse gli sfuggiva qualcosa.
Poi erano venuti Internet e il digital download. Tutto il settore delle videoteche in pochi anni sparì. Il negozio in provincia di Varese resistette fino all’inizio degli anni ’10. Poi chiuse, ultimo ad arrendersi come Geronimo, il capo Apache.
In ogni caso, l’assessore aveva voluto costruire qualcosa che, aggiornato, riproponesse il clima di quel negozio, cercando allo stesso tempo di ampliare gli orizzonti culturali dei suoi utenti. E così aveva progettato il software della biblioteca e di Luciano Beta.
L’iniziativa stava avendo un certo successo, più negli ambienti del cinema che in quelli letterari. E Giulio era finito lì ad aspettare la pensione.
STANCO della conversazione fra l’Archivista e Luciano, Giulio diede un’occhiata sul suo monitor al sito dell’Ansa. Quel giorno si discuteva in Parlamento l’ennesima riforma delle pensioni. C’era il rischio che venisse approvato un altro slittamento dell’età pensionabile. Un incubo per Giulio. Il dibattito comunque era ancora in corso.
Alzando lo sguardo dallo schermo, Giulio vide che a fianco di Giorgio c’era un nuovo arrivato, anzi due. Uno era un altro habitué della Alexa, come era stata ribattezzata la biblioteca: Tommaso, detto Rasta per la sua folta e lunga capigliatura, all’apparenza trasandata ma in realtà curatissima per ottenere quell’effetto. In realtà tutto in Tommaso era studiatissimo, meno la sua bellezza che era naturale e che risaltava con infallibile metodo in contrasto alla ricercata sciatteria dei suoi vestiti, jeans, t-shirt, pullover, sbrindellati al punto e nei punti giusti. Che Tommaso piacesse alle donne lo dimostrava il fatto che veniva quasi sempre accompagnato da una ragazza diversa. Quella di oggi, presentata come Silvia, era una biondina con un lindo vestitino di tulle, che si guardava in giro con un’aria sperduta e un sorriso di circostanza.
Tommaso riconsegnò la chiavetta del suo libro, Gli androidi sognano le pecore elettriche? di Philip K. Dick, base del mitico film di fantascienza Blade Runner di Ridley Scott. E cominciò il suo commento, pronunciato al solito in un ottimo italiano e con un gesticolio teatrale.
<<Il film è una riscrittura completa del libro. A parte alcuni dettagli, come l’ambientazione nel 2019 invece che nel 1992 o avere ribattezzato gli androidi col neologismo “replicanti”, i personaggi nel libro sono molto meno romantici ed idealistici. Rick Deckhart è un impiegato dell’omicidio, non ha scrupoli di coscienza, è parte integrante del sistema. Basti vedere i suoi sogni di status symbol piccolo-borghesi, come il possesso di un gufo vero. Gli androidi cercano solo di sopravvivere fregando gli umani, non si fanno grandi domande filosofico-esistenziali come nel film. Rachel non si innamora di Rick ma semplicemente lo illude e lo sfrutta per salvare il capo degli androidi, Roy Batty, anche lui visto come un imbroglione, l’unico che sfodera qualche discorso pseudo-mistico, ma solo allo scopo di manipolare il prossimo. Le automobili volano anche nel libro, e c’è qualcosa della fauna umana disperata che popola la Los Angeles del futuro, ma anch’esse sono state rielaborate nel film. Questo confronto però fa risaltare ancor più la fantasia visionaria tanto di Dick che di Ridley Scott: un genio che ridipinge il quadro di un altro genio.>>
Silvia non tolse gli occhi di dosso dal Rasta mentre questi parlava, con uno sguardo che era un incrocio fra “come-parla-bene”, “si-capisse-una-parola” e “ammazza-quanto-è-bello”. L’aspetto di Luciano invece era quello di un trentenne dalla corporatura media e dal viso piacevolmente regolare, dai capelli castani non particolarmente folti e senza segni di calvizie. Un trionfo della “medietà”. L’unica nota caratteristica era un paio di folte basette: una minima caratterizzazione gli ci voleva. Come sempre, comunque, non mancò di dire la sua.
<<Dick comunque affronta il suo tema tipico: l’inconoscibilità del reale. Chi è umano, chi è artificiale? Dov’è la differenza?>>
“Io sono umano e tu sei artificiale!” pensò Giulio. “Ma ‘sti storditi parlano con te e ignorano me!”
<<Essendo più disincantato di Scott,>> continuò Luciano, <<la sua visione è al ribasso. Mentre nel film è più umano chi più si interroga sui grandi significati dell’esistenza, nel libro è più umano chi è più bravo a fregare gli altri, o se vogliamo ad adattarsi all’ambiguità della realtà.>>
<<Complimenti, una bella coppia di sinonimi,>> approvò Tommaso. <<Adesso ti chiedo il libro da cui è stato tratto il mio film poliziesco preferito, Anatomia di un rapimento del gigante assoluto del cinema, Akira Kurosawa. So che è un romanzo americano, ma non mi ricordo altro…>>
<<È un romanzo della serie dell’87° Distretto, scritta da Ed McBain, e s’intitola Il riscatto di King,>> rispose Luciano.
<<Bel titolo,>> replicò Tommaso. <<King sarà l’equivalente di Gondo, il protagonista del film. Ma dopo aver letto tanti libri m’aspetto di tutto. Chissà… magari King non paga il riscatto!>> E si mise a ridere, come se l’eventualità fosse chissà che divertimento.
Giulio si sentiva un po’ spaesato da questi discorsi, ma almeno un tono culturale ce l’avevano e una certa curiosità intellettuale gliela risvegliavano. Poca roba confronto alla curiosità che provava per l’esito del dibattito parlamentare… In ogni caso il libro fu subito rintracciato e messo a disposizione del Rasta.
Con una certa soddisfazione Giulio vide arrivare la sua utente preferita, Denise. Era una giovane impiegata nell’azienda di un grande stilista – uno di quei nomi famosi in tutto il mondo – e questo spiegava la sua abituale eleganza. Oggi indossava un tailleur color vaniglia che stava addosso a pennello alla sua figura slanciata e risaltava i suoi splendidi capelli rossastri. Era un’appassionata di film hollywoodiani degli anni ’50. Diceva che ammirava l’eleganza degli attori, la femminilità delle attrici, la signorilità dei loro modi. Il romanzo che riportava era Dai morti dei giallisti francesi Pierre Boileau e Thomas Narcejac, che aveva fornito lo spunto a uno dei film preferiti di Denise, La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock.
<<Ha un’atmosfera ancor più tragica rispetto al film,>> commentò Denise. <<Ma allo stesso tempo più epica. L’azione si svolge lungo diversi anni, c’è di mezzo la guerra. E quel finale disperato… Ho notato però che il tema della vertigine è solo un pretesto nel libro, accantonato subito dopo la morte della donna. Invece nel film resta centrale… Tanto che è il suo titolo originale: Vertigo.>>
Tommaso non perse tempo per esibire la sua erudizione: <<Per Hitchcock Vertigo fu quasi una manovra d’avvicinamento per Psycho. Infatti lo girò perché era stato colpito da I diabolici di Georges Clouzot, che era anch’esso tratto da un romanzo di Boileau e Narcejac. Così s’ispirò ad un altro loro romanzo, ma ancora non era quello che voleva. Alla fine arrivò ad elaborare Psycho, la sua vera risposta a I diabolici.>>
Questo piccolo saggio di storia del cinema era fatto per far colpo su Denise, come dimostrò lo sguardo imbronciato e un po’ rabbioso che Silvia scoccò a Tommaso, che aveva smesso di badarle. Era più forte di lui, quando vedeva una donna cercava di impressionarla. Con Denise ci aveva già provato altre volte, ma lei ogni volta lo ignorava. Sembrava una delle poche donne a cui il Rasta non piacesse, e questo aumentava l’ammirazione di Giulio per lei. E a Denise importava poco dei film sui pazzi assassini come Psycho. Se di follia doveva trattarsi preferiva quella romantica di La donna che visse due volte.
Quindi Denise chiese di Il gigante, il romanzo di Edna Ferber che aveva ispirato il film omonimo con Liz Taylor e James Dean, un’altra sua idolatria cinematografica. Tommaso per l’occasione riuscì ad attirare l’attenzione su di sé – anche quella di Denise – raccontando un curioso e un po’ macabro aneddoto. Durante la lavorazione del Gigante James Dean interpretò uno spot televisivo indossando i costumi di scena da cowboy del film. Argomento dello spot? La sicurezza stradale.
LA giornata di lavoro era giunta quasi al termine. Non c’era più nessun utente e così Giulio poté consultare liberamente il sito dell’Ansa. E venne così a sapere che il Parlamento, ancora una volta, aveva spostato l’età pensionabile. A 78 anni, Giulio avrebbe dovuto lavorare fino a 80.
Luciano si girò verso di lui. All’affranto Giulio sembrò che il suo volto avesse una punta di solidarietà e compassione. Fantasia? Suggestione alimentata dallo scoramento? Giulio sapeva che si stava cercando di introdurre nel software dell’ologramma la capacità di esprimere caratteristiche umane come il senso dell’umorismo e l’empatia. Che quel progetto stesse dando i primi frutti? Giulio non avrebbe voluto trovarsi nell’occasione di scoprirlo… però c’era.
<<Mi dispiace molto, Giulio,>> disse Luciano con un’espressione facciale che pareva davvero contrita. <<So quanto ci tenevi ad andare in pensione. Spero almeno che potremo continuare ad essere buoni colleghi e a svolgere il nostro lavoro con la migliore collaborazione ed entusiasmo.>>
“Continuare?” pensò Giulio. “Forse dovremmo dire: cominciare.”