Il saggio di imminente pubblicazione presso Odoya Guida al cinema fantasy di Walter Catalano, Andrea Lazzeretti e Gian Filippo Pizzo contiene numerosi box di approfondimento, alcuni dei quali affidati a collaboratori esterni di particolare competenza. Eccone uno.
Uno fra i più celebri (e celebrati) universi fantastici dell’ultimo scorcio del XX secolo (proseguito poi anche nel XXI, fino alla scomparsa del suo creatore, Terry Pratchett, avvenuta nel 2015) il caleidoscopico Mondo del Disco ha avuto una variegata, ma sostanzialmente fallimentare, migrazione verso i media più disparati (dalla radio ai giochi da tavolo, dai videogiochi al teatro, dal fumetto ai giochi di ruolo), compresa la televisione, ma non ancora il cinema (a causa delle resistenze dello stesso Pratchett, giustamente sospettoso verso la cessione del controllo alle major hollywoodiane). Composta da più di quaranta romanzi (e un numero consistente di volumi assortiti, che svariano dalla guida turistica alla cucina!), la saga di Pratchett, iniziata nel 1983 con il romanzo Il colore della magia, è arrivata sul piccolo schermo nel 2006 con Hogfather, miniserie in due episodi (ognuno della durata di oltre 90 minuti), esilarante rilettura del Canto di Natale di Dickens nello stile fantasmagorico e rutilante dello scrittore britannico, che racconta le vicende successive all’eliminazione della creatura del titolo, il Babbo Natale del Mondo del Disco, con la Morte (sicuramente la creazione più geniale della variopinta fauna umana – e non – che affolla le pagine dei romanzi) che si vede costretta ad assumerne le funzioni.
Per quanto ancora inedita nel nostro Paese (come oltre la metà dei romanzi), Hogfather è una trasposizione estremamente fedele al testo originale e sostanzialmente molto riuscita, ma con in sé tutte le difficoltà di trasferire per immagini le sensazioni “indescrivibili” che si ottengono dalla lettura dei romanzi di Pratchett (motivo principe del moderato successo delle sue traduzioni italiane, prive della verve e della frenesia lessicale del testo originale). L’intreccio, abilmente tessuto nelle pagine del romanzo, tiene anche nella stesura per immagini, così come una parte importante dell’umorismo narrativo, ma il tutto somiglia ad acqua gasata con il tappo rimasto un po’ troppo aperto: perde sapore.
Stessa sorte capita alla successiva trasposizione, Il colore della magia (in realtà unione nella trama del romanzo omonimo con il successivo La luce fantastica), altra produzione della TV inglese, del 2008, ancora in due episodi di lunghezza filmica. Meno fedele agli originali di quanto non fosse stato Hogfather, Il colore della magia introduce sullo schermo la prima (e fra le più fortunate) creazioni di Pratchett, il mago Scuotivendo, un bonario pasticcione che tiene in testa, a sua insaputa, uno dei più potenti incantesimi dell’universo, e segue la prima parte delle sue caotiche e irresistibili avventure, ponendo l’accento sull’eclettica congerie di maghi e stregoni che rappresentano i vari ranghi della Unseen University, la meravigliosa scuola di magia di Ankh Morpork (protagonista di parecchi romanzi del ciclo), con un cast attoriale di sicuro spessore – ricordiamo fra gli altri Sean Astin, già Sam Gamgee nella trilogia de Il signore degli anelli, Tim Curry, Jeremy Irons (nel ruolo di Lord Vetinari, il miglior personaggio del ciclo) e Christopher Lee a prestare la voce al personaggio di Morte.
Terza e ultima, al momento, trasposizione televisiva è infine Going Postal (2010), altra produzione britannica, che rispetta lo schema delle precedenti (ovvero miniserie in due puntate da 90′), deludendo però molto la critica e il pubblico, non tanto per il maggior distacco dal testo d’origine (in fondo quasi fisiologico) quanto invece per la marginalità rispetto al ciclo principale (è infatti l’adattamento del 31esimo romanzo della saga) e il minimo appeal per gli amanti del fantasy, visto che si tratta di uno scenario urbano – vi si narrano le vicende di un imbroglione cui viene affidato l’incarico di rimodernare il sistema postale di Ankh Morpork – privo dei canonici elementi del fantasy (di per sé non certo il punto di forza di un ciclo assolutamente sui generis come quello di Pratchett).
Sempre televisivi sono poi alcuni adattamenti a cartoni animati (Soul Music del 1997 e Wyrd Sisters del 1998, sempre di produzione britannica), sicuramente più che decorosi e piuttosto rispettosi dei romanzi d’origine.
Nel complesso, come abbiamo visto, l’intrinseca difficoltà nel trasferire in immagine quello che le parole del baronetto inglese sono state così acute e abili nel trasmettere su carta si ripercuote inevitabilmente sui coraggiosi tentativi di cui abbiamo appena parlato, tutti a suo modo encomiabili e piacevoli, pur con i dovuti distinguo.